XVII Domenica del Tempo ordinario (C)

ANNO C – 28 luglio 2013
XVII Domenica del Tempo ordinario

Gen 18,20-32
Col 2,12-14
Lc 11,1-13
LA PREGHIERA
GRADITA A DIO

Ci sono libri che segnano per sempre la vita interiore di una generazione. Uno è certamente L'ultimo dei giusti di André Schwarz Bart. Non so se ancora si fa leggere nelle scuole. Certo, per restarne affascinati bisogna avere familiarità con il Dio della Bibbia, con il Dio di Abramo. Un Dio così distante dalle concettualizzazioni posteriori che ne fanno un Ente a-sintomatico, che non può essere coinvolto in nessun tipo di relazione con il mondo, con la storia e con gli esseri umani che sia capace di assumere dentro di sé il dramma della contro-creazione, dell'anti-storia, della perversità degli uomini e delle donne che vengono al mondo.
Il Dio di Abramo è un Dio che accetta di stabilire con gli uomini rapporti di negoziazione: se fosse stato conseguente al suo proposito di sterminare Sodoma e Gomorra, sarebbe stato solo presuntamente giusto perché avrebbe sterminato, insieme agli empi, anche i giusti, sarebbe cioè venuto meno all'amore per tutto quello che ha fatto. Questa logica percorre e intesse tutta la storia biblica che, per questo, è storia di fede, ma anche di fiducia. Storia che arriva fino alla leggenda dei trentasei giusti che per secoli ha nutrito la spiritualità ebraica fino, appunto, al capolavoro di Schwarz Bart. Perché l'orrore della Shoah ha posto ai credenti nel Dio di Abramo interrogativi ancora più drammatici di quelli che il primo dei patriarchi si pone di fronte al desiderio che Dio regoli i conti con gli empi distruggendo Sodo ma e Gomorra.

Nel racconto della Genesi, al Dio che si converte, corrisponde il credente che accetta a sua volta di dare fiducia a un Dio che rinuncia a esercitare una giustizia ingiusta. È il Dio di Gesù, delle sue parabole del Regno che invitano alla pazienza, quella del grano e della zizzania o quella della rete. La fede deve collocarsi nel tempo della storia, che è tempo in cui Dio sospende la sua ira cioè, per non essere ingiusto, sospende la sua giustizia. Per questo una vita di fede senza preghiera non è pensabile. Solo la preghiera converte. Tutta la tradizione religiosa giudaica e quella cristiana, ma anche quella islamica, lo attestano con forza. Per questo Luca è molto attento a fornire nel suo vangelo diverse catechesi intorno alla preghiera. Evidentemente, fin da subito le comunità cristiane sono andate alla ricerca di un modo proprio di pregare, come hanno sentito l'esigenza di restare perseveranti nella preghiera.
Tradurre la preghiera in formule, "dire le preghiere" è facile; pregare è, invece, altra cosa. Tutta la storia della spiritualità cristiana è infarcita di riflessioni, meditazioni, esortazioni sull'importanza della preghiera, sulla necessità della preghiera, sulle difficoltà psicologiche o sociologiche che si oppongono a una vita di preghiera. In un tempo come il nostro, in cui i segnali della preghiera sono stati espulsi dagli spazi della nostra vita quotidiana, il tentativo di tenere vivo il senso della preghiera recuperando forme tradizionali di devozione popolare e formule antiche di preghiere vocali, restituisce forse, ai più anziani, il contatto con un passato di pratiche religiose. Ma non incide minimamente sui giovani.
Nell'Anno della fede, molto si è parlato di "credo". Ed è giusto. Sarebbe giusto però anche domandarsi perché il Padre nostro non venga considerato, almeno, allo stesso livello. Il Padre nostro è un fatto identitario, un gruppo deve riconoscere in quel preciso modo d'intendere il rapporto con Dio l'espressione non tanto dei propri stati d'animo o delle proprie emozioni, inevitabilmente variabili, ma della propria prospettiva di fede. Luca collega l'insegnamento di Gesù sulla preghiera a una precisa domanda di un discepolo che pretende che Gesù stesso insegni ai discepoli non semplicemente a pregare, ma a pregare in modo tale da riconoscersi suoi discepoli, diversi da altri gruppi, come per esempio i discepoli di Giovanni. La preghiera deve dunque esprimere un patrimonio, una specificità, deve ricondurre a una comunità di cui ci si sente parte.

Nel Padre nostro, allora, Gesù richiama i filoni essenziali della sua predicazione, i temi fondamentali, ma anche gli atteggiamenti che sono necessari per fari a propria. Ognuna delle richieste del Padre nostro apre su un universo teologico e religioso, sull'interpretazione che Gesù di Nazaret ha fatto della sua tradizione religiosa e che ha lasciato ai suoi come eredità, ma anche come identità. Per questo, pregare "cristianamente" non è facile. Chiede impegno, conoscenza, preparazione.
Certo, la Chiesa ha vissuto anche grazie a quella che veniva chiamata "la fede della vecchietta" che di Bibbia ne sapeva ben poco. Ma Luca vede con molta chiarezza che, nel momento in cui vuole mettere le radici in un mondo complesso ed elaborato, la comunità cristiana va richiamata a dei "fondamentali" che sono esigenti perché non sono formule o pratiche esteriori, ma richiedono appropriazione identitaria, comprensione, conoscenza.
Certo, noi bussiamo e vorremmo un Dio disposto a intervenire su ciò che ci serve mentre Gesù ricorda che solo con una richiesta noi possiamo importunare Dio, solo un pane possiamo chiedergli e non ci risponderà con una serpe: il suo Spirito. Una preghiera fondata sulla conoscenza di ciò che Gesù ha detto e fatto è l'unica preghiera che egli stesso continua a insegnare ai suoi. Almeno a coloro che ancora gliela chiedono.

VITA PASTORALE N. 6/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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