Enzo Bianchi
OGGI SI COMPIE PER VOI LA SCRITTURA
Il vangelo festivo (Anno C)
Edizioni San Paolo, 2009
• Geremia 17,5-8 • 1 Corinzi 15,12.16-20 • Luca 6,17.20-26
Nelle Sante Scritture leggiamo sovente delle affermazioni che proclamano la felicità, la beatitudine riservata al credente che vive determinate situazioni e assume comportamenti precisi. È detto beato «chi trova gioia nell'insegnamento del Signore e lo medita giorno e notte» (Sal 1,5); è «beato chi discerne il povero» (Sal 41,2; cfr. Pr 14,21); è «beato il popolo che ha come Dio il Signore» (Sal 33,12)... Vi sono però anche dei «Guai!», cioè degli avvertimenti, delle messe in guardia, dei forti richiami, soprattutto nei libri profetici: «Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia» (Ger 22,13); «Guai al popolo peccatore» (Is 1,4)...
Anche Gesù, in continuità con i profeti, ha proclamato alcune beatitudini e ha annunciato dei guai severi. Nella sua predicazione che è sempre invito alla conversione, al cambiamento di mentalità e di vita, in vista del regno di Dio che in lui si è fatto vicinissimo (cfr. Mc 1,15), Gesù ha pronunciato più volte parole riguardanti la povertà e la ricchezza, la fame e la sazietà, il pianto e il riso, l'ostilità e l'applauso corale. Se è vero che non conosciamo con esattezza quale sia stata la forma delle beatitudini sulla bocca di Gesù, ne abbiamo però due testimonianze fedeli nei vangeli secondo Matteo e secondo Luca. Avviene così che uno stesso messaggio ci è pervenuto in due forme: le parole di apertura del «discorso della montagna» in Matteo (cfr. Mt 5,1-12) e quelle con cui inizia il discorso in un luogo pianeggiante, ossia il brano lucano su cui oggi meditiamo.
Perché due forme diverse delle parole di Gesù? Perché gli evangelisti nel trascrivere queste parole pensavano alle loro comunità cristiane, in cui esse sarebbero state predicate. Ecco perché Matteo, che conosce la sua chiesa come chiesa di poveri, attualizza le parole di Gesù proclamando beati quelli che sono «poveri in spirito» (Mt 5,3), cioè poveri anche nel cuore; Luca invece, nella cui comunità vi sono molti che continuano a essere ricchi, guarda ai discepoli poveri e a loro indirizza le beatitudini: «Beati voi discepoli che siete poveri; beati voi che siete affamati; beati voi che piangete; beati voi che siete osteggiati dal mondo. Al contrario, guai a voi che siete ricchi e sazi, a voi che ridete e che tutti applaudono: state attenti!».
Sono parole taglienti come una spada (cfr. Eb 4,12; Ap 1,16), rivolte al «voi» dell'assemblea cristiana riunita e in ascolto, e, come tali, capaci di provocare un salutare discernimento in ciascuno di noi. Chi si trova in una condizione di povertà e di pianto sente rivolta a sé la promessa di un capovolgimento della sua situazione; chi si riconosce ricco o sazio deve sapere con chiarezza che pende su di lui un «Guai!», un avvertimento accorato oggi, che domani potrebbe essere una maledizione! Certamente questo messaggio è scandaloso, è agli antipodi del sentire mondano, del pensiero della maggioranza; anzi, è letteralmente incredibile, non-credibile... Se però poniamo a capo di quella folla di credenti, di quel «voi», lo stesso Gesù, il Povero, il Piangente, il Perseguitato, allora comprenderemo anche la possibilità della beatitudine: colui che ha vissuto in pienezza le beatitudini è Gesù Cristo, e a noi è chiesto semplicemente di seguire la via da lui tracciata.
Ripensando alla vita di Gesù, possiamo dunque domandarci con franchezza: chi è beato, felice? Il ricco che giorno dopo giorno vede aumentare la sua solitudine e il suo amore per se stesso, o il povero che nella sua indigenza forse deve aprire la mano per implorare un'elemosina, ma in quel gesto esprime il suo bisogno dell'altro, e così apre vie di condivisione e di comunione? È beato chi è sazio e non cerca né attende più nulla, o chi è sempre alla ricerca di giustizia umana e in attesa di un intervento di Dio? È felice chi nella sua follia ride, o chi piange sapendo di avere una ragione per cui spendere la vita a caro prezzo, fino a donarla per gli altri, fino a morire?
Sì, le beatitudini devono risuonare così come sono, senza essere attutite o smorzate. Esponendoci alloro annuncio nell'assemblea domenicale, noi dobbiamo percepire in queste parole la spada che divide ricchi, sazi e gaudenti da coloro che sono poveri, affamati, piangenti. Fino a chiederei: e noi dove stiamo?
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