La figura del diacono nelle omelie di C.M. Martini



Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

FOCUS


La figura del diacono nelle omelie di C.M. Martini
di Renato Locati


Ripercorriamo in queste pagine l'avventura del diaconato permanente in Diocesi, attraverso le parole che il card. Carlo Maria Martini pronunciò negli anni, in occasione delle ordinazioni. Vi si ritrovano gli intendimenti iniziali, in linea con il Vaticano II e la progressiva delineazione del ruolo del diacono all'interno della Chiesa. Parto, come deve essere ovvio e non solo per una questione emotiva, dall'omelia che il card. Martini tenne il 20 ottobre 1990 in occasione della prima ordinazione quando, con altri quattro miei amici, venni ordinato diacono.
Vi si ritrovano gli intendimenti dell'Arcivescovo nel reintrodurre in Diocesi il ministero diaconale nella sua forma permanente. Anzitutto si coglie il riferimento alla mens espressa dal Concilio Vaticano II e voluta per tutta la Chiesa da papa Paolo VI. Un secondo passaggio è definibile attraverso quella categoria martiniana che abbiamo imparato a conoscere sotto il nome di "discernimento pastorale". Ancora oggi, a quasi cinquant'anni dall'inizio del Vaticano II, siamo presi da timore nel pensare ai cambiamenti di mentalità che l'azione dello Spirito aveva suggerito ai padri conciliari. Pensiamo solo cosa ha voluto dire affiancare al mistero di comunione che è la Chiesa l'immagine di Popolo di Dio e, di conseguenza, il ruolo che si veniva delineando riguardo ai suoi ministri. Martini aveva ben chiaro cosa premeva alla porta.
Diceva infatti nel 1990: «È dunque questo un momento di grande gioia per noi che restituiamo la forma del diaconato, del servizio a imitazione di Cristo Signore, come ministero permanente nella nostra Chiesa. Celebriamo e viviamo un evento che resterà nella storia futura della Diocesi ambrosiana. I diaconi permanenti in mezzo a noi rappresenteranno un segno grande e visibile dell'opera dello Spirito santo nel Concilio Vaticano II. Voi state per entrare in quella schiera di uomini santi (Stefano, Lorenzo, Vincenzo), che agli inizi della Chiesa sono detti, dal libro degli Atti degli Apostoli, "pieni di Spirito e di saggezza" (At 6, 3). In questo Spirito e in questa saggezza voi sarete servi dei misteri di Cristo e, nello stesso tempo, servi dei vostri fratelli e sorelle in questa Chiesa locale per la sua costruzione ed edificazione nella carità. Il vostro non è uno dei tanti ministeri, ma deve essere come lo definì Paolo VI: "la forza motrice" per la diaconia della Chiesa. Con l'ordinazione dovrete essere segni viventi del servizio del Cristo alla sua Chiesa». Inoltre affermava, due anni dopo, durante il pontificale di san Carlo, mentre ordinava altri cinque diaconi: «Questo [del vescovo, ndr] è il ministero di Gesù, è la gloria di Gesù, è l'unico servizio pastorale pieno e definitivo, che è fatto da Dio stesso, da Gesù per la sua Chiesa. Ed egli, nella sua bontà, ci associa a tale ministero, che è anzitutto e primariamente suo; ha associato a sé san Carlo nello spendere la vita per questa Chiesa, morendo ancora giovanissimo, stremato dalle fatiche; associa me, tutti i miei collaboratori, Vescovi ausiliari, Vicari episcopali, sacerdoti; associa oggi anche voi. Il diaconato infatti vi conferisce una partecipazione privilegiata al ministero della Chiesa, che è totalmente relativo al ministero di Gesù e fa voi diaconi a imitazione della diaconia di Cristo Signore crocifisso e risorto in favore della sua Chiesa».
Sembra proprio che il diacono sia chiamato a completare nella Chiesa il compito di servire l'umanità, che da sempre essa ha svolto seguendo il comando di Gesù. La stessa diaconia del Signore ora chiede di essere espressa in quegli ambiti della società in cui tradizionalmente non è ministerialmente presente. In un'altra occasione (Venegono, 10 ottobre 2007), Martini aveva fatto riferimento all'intuizione che Giuseppe Dossetti aveva suggerito nel periodo conciliare riguardo alla figura diaconale: un ministero che vedeva sempre più plausibile dentro la complessa rete di rapporti della società moderna, così povera di richiami al sacro. Non tanto e non solo per parlare del Vangelo all'uomo di oggi, quanto piuttosto per fare da tramite autorevole (ministeriale) tra il mondo secolarizzato e la dinamica missionaria della Chiesa che, da dopo il Concilio, era sempre più chiamata a uscire dai tradizionali ambiti pastorali.
Prendo spunto, per accennare qualche considerazione sull'aspetto più operativo riguardo all'inserimento dei primi diaconi nelle nostre comunità, dal titolo di una relazione tenuta da mons. Giuseppe Colombo ad un seminario della CEI sul diaconato. Già a partire dal discernimento operato per l'avvio dei primi candidati, è risultata determinante la risposta alla questione relativa allo stretto rapporto Chiesa-diacono. Uomini adulti, con personalità ben strutturate, ma con ritmi e progetti di vita che lasciavano ben pochi spazi alla prospettiva di un ministero ordinato nella linea tipicamente diocesana, si sono sentiti dire di "no". Prospettandosi un "discernimento esigente", la scelta di Martini fu di affidare al Seminario la formazione dei futuri diaconi. La sua decisione si basava sulla convinzione che, incaricando gli educatori della medesima struttura (rettore, insegnanti, padri spirituali) della preparazione dell'unico clero diocesano, si poteva giungere più efficacemente alla sintonia di intenti e di vedute che i preti e i diaconi erano (e sono) chiamati ad esprimere nel concreto comune operare pastorale.
L'attesa era grande, soprattutto riguardo all'accoglienza che le comunità cristiane avrebbero riservato a questi primi ordinati. Non si sottovalutava certo il rischio di fraintendimenti, di eccessive aspettative, di sovrapposizioni di ruoli; ma la linea di Martini era chiara. «Che sia così il vostro ministero [di sperimentare la sobria ebbrezza dello Spirito, ndr] e che, in collaborazione armonica con tutti gli altri ministeri (Vescovo, presbiteri, ministeri laicali), contribuisca fortemente al futuro della nostra Chiesa locale. Io confido molto nel futuro della nostra Chiesa dalla moltiplicazione del ministero diaconale in mezzo al popolo di Dio. La presenza capillare vostra e di altri Diaconi permanenti che si impegneranno a vivere in mezzo alla gente farà di noi una Chiesa sempre più mossa e guidata dallo Spirito del Risorto, una Chiesa capace di promuovere un discernimento realistico sulle condizioni positive e negative della fede oggi».
Con il progressivo aumento dei diaconi inseriti nelle comunità diocesane, emergeva sempre più anche il desiderio di meglio configurare la fisionomia e lo specifico diaconale. Martini non dimenticava di ricordare che l'avvio ufficiale del ripristino del diaconato nella Diocesi ambrosiana prese avvio dalle indicazioni emerse al termine del Convegno "Farsi prossimo" del 1986, poi codificato nelle proposizioni del Sinodo 47° (1995).
«Mi piace in proposito citare il nostro Sinodo 47° diocesano al n. 517: "I rapporti dei diaconi con i presbiteri delle parrocchie e con il presbiterio decanale e diocesano siano improntati alla stima per il comune dono dello Spirito ricevuto nell'Ordinazione e a una collaborazione convinta e docile, paziente e costruttiva". Stima, collaborazione, comunione sono significate qui dalla presenza di numerosi presbiteri che attorniano il Vescovo nel gesto consacratorio» (8.11.1997).
«In un mondo dove la mediocrità avanza - come scrivo nella mia ultima lettera pastorale sulla Trinità -, in un mondo dove il calcolo egoistico prende il posto della generosità, l'abitudine ripetitiva e vuota rischia di sostituire la fedeltà vissuta come continua novità del cuore e della vita, voi volete donare a tutti gratuitamente ciò che gratuitamente vi è stato dato, volete testimoniare la bellezza di una vita disponibile verso gli altri, di una vita che si dona ai fratelli, sull'esempio di Gesù. La gente che avvicinerete, le persone che incontrerete nel vostro ministero e anche nel vostro lavoro quotidiano, le comunità a cui sarete inviati, vedranno in voi la carità infinita di Gesù, la sua assoluta disponibilità, vedranno l'amore del Padre che perdona e salva; dovranno percepire nella vostra testimonianza di servizio una gioia sorgiva e attraente» (3.10.1999).
Martini delinea, così, tre caratteristiche dell'operare pastorale del diacono: la comunione, la gratuità, la perpetuità. Con l'ultima ordinazione diaconale del 7 ottobre 2001, il Cardinale si congedava, come Arcivescovo, dal suo magistero riguardo al ministero diaconale con un'intensa esortazione a cogliere la sfida originaria: «Sorretti e animati dalla grazia dell'ordinazione, prendete coraggiosamente il largo con le vele spiegate al soffio dello Spirito. Non abbiate paura! Come scrivo nell'ultima lettera pastorale, il tempo che stiamo vivendo è proiettato verso la grande missione che ci aspetta, verso l'avventura gioiosa di calare ancora le reti per la pesca e di sperimentare, più che nel passato, la potenza della parola di Dio che ci guida».


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