Quale evangelizzazione per il ministero diaconale?


Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

ANALISI


Quale evangelizzazione per il ministero diaconale?
di Andrea Spinelli

Il primo riferimento alla Parola, quando ho chiesto allo Spirito di illuminarmi, è stato il passo seguente: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18). Naturalmente ho sentito questa esortazione rivolta a me e ad ogni cristiano, uomo o donna, piccolo o grande, povero o ricco, senza alcuna distinzione, proprio per il solo e semplice, ma fondamentale fatto di essere creature nuove, che vogliono rispondere all'esigenza originaria, insita nel proprio cuore, sottoposta però alla tentazione continua di fare il contrario.
Addirittura l'esortazione mi appare possibile che sia rivolta a tutti, cristiani e non, credenti e non, tuttavia l'ho sentita da subito e continuo a sentirla rivolta in modo del tutto particolare a chi ha scelto di consacrarsi al Signore per essere Vangelo vivente, a chi ha fatto del servizio il modo quotidiano di testimoniare il Vangelo perché sia accolto da tutti coloro che incontra. In questa "categoria" (passi il termine) scorgo una lunga "teoria" di diaconi, dalle origini della Chiesa ad oggi, per qualche secolo ministri ordinati nel grado proprio, poi per più di un millennio inseriti in contesti molteplici e dal Concilio, ossia da mezzo secolo tornati ad essere "permanenti", segno visibile della diaconia, obiettivo e realtà per tutti, nessuno escluso.
Che il diacono, oggi, debba trovare nell'evangelizzare la sua identità ritengo sia inconfutabile, ma il problema, se così ci si può esprimere, è scoprire, con l'aiuto dello Spirito, quale sia la modalità. Come il diacono evangelizza? Per definizione il diacono è ministro della Parola, della Liturgia e della Carità e in teoria era sembrato, con il ripristino di tale ministero, che fosse facile nel complesso tradurre tale ripartizione nella realtà del ministero. La prassi, senza generalizzare, ha dimostrato invece le difficoltà, dopo l'entusiasmo iniziale, nell'essere equilibrati tra i tre ambiti e gestirli unitariamente, perché strettamente connessi.
Così l'aspetto liturgico, il più "visibile" a occhio nudo, spesso è prevalso e, nonostante la forza intrinseca dell'atto, non sempre ha consentito al diacono di essere evangelizzatore, testimone credibile del servizio a 360 gradi! Non sono in grado certo di esprimere un giudizio assoluto e soprattutto l'esame di coscienza serve a me per riflettere su tale aspetto: che posto ha avuto e ha lo studio approfondito della Parola, perché l'eco fedele della stessa risuoni nella meditazione profonda e nel servizio prestato? Nella mia diocesi la rilevanza dello studio, già presente all'inizio del cammino, ha acquistato nel tempo grande importanza, fino ad assumere una fisionomia ben determinata e qualificata. Se il diacono deve evangelizzare, deve essere in grado di farlo, ossia affrontare e portare a termine il percorso teologico nei suoi vari settori. Questo può sembrare eccessivo rispetto alla testimonianza della Carità, ma oggi la realtà in cui viviamo lo richiede perché, oltre che con i poveri di beni materiali, il diacono si troverà a vivere, esprimersi e confrontarsi con chi sperimenta forme assai diverse dalle povertà materiali.
Ecco l'ambito dove il diacono è chiamato ad evangelizzare, con la Parola, ma soprattutto con la vita. La professione, anzi le professioni, varie in ogni direzione, portano il diacono a trovarsi immerso in realtà "lontane" in apparenza dalla comunità cristiana, quasi estranee al Vangelo addirittura contrarie: qui il diacono trova la sua identità nell'evangelizzare, «non a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità».
In questa direzione mi sembra vada la scelta del Vescovo e dei suoi più stretti collaboratori (per la diocesi di Milano ben 7 vicari episcopali di zona) con i responsabili della formazione al diaconato, riguardo alla destinazione. La parrocchia rimane un ambito considerato, ma non esclusivo, specie negli ultimi anni. Pastorale familiare cappellania di ospedali e di RSA, pastorale sociale, Caritas decanale, cimiteri… davvero l'orizzonte si è ampliato secondo la previsione già dell'arcivescovo Martini, per dare al diaconato un respiro ampio e non un ruolo predeterminato e identico per tutti.
Anche il presbitero può esprimere diverse inclinazioni e una chiamata nella chiamata, ma la sua figura conserva sempre la caratteristica di presidente della celebrazione eucaristica e della comunità; per il diacono, credo, le diversità siano insite nella sua stessa figura. Penso ad alcuni diaconi ambrosiani presenti in realtà specifiche quali ad esempio un cimitero della città, un presidio ospedaliero di tipo psichiatrico, un consultorio familiare e così via. E i diaconi in parrocchia? Non trovano l'identità nell'evangelizzare? Certo che la trovano, a patto di non limitarsi al piccolo gregge, che pur a bisogno di essere evangelizzato o rievangelizzato.
Un esempio, che, forse o senza forse, ho già fatto: le campane suonano ancora per chiamare i fedeli e sono segno necessario per l'ora delle celebrazioni eucaristiche, ma la risposta sappiamo qual è in percentuale. Allora il movimento da centripeto deve diventare anche centrifugo: dalla chiesa alle case, ai quartieri, alle vie. Come? Attraverso le occasioni più disparate, ufficiali e non, programmate e libere, addirittura improvvise: là dove la famiglia vive, dove sperimenta la gioia, ma spesso il dolore, la crisi di un membro o di tutti o quasi. Sono convinto di ciò e dopo più di due decenni ne ho la conferma: così ho trovato e trovo la mia identità in tale modalità di evangelizzazione.
Vorrei chiudere con un pensiero del vescovo che mi ha ordinato: «Tra la prima comunità cristiana e le nostre di oggi, pur a distanza di duemila anni, ci sono molte somiglianze; ci sono persone deboli, smarrite, litiganti, bisognose di riconciliazione e di correzione fraterna, pretenziose e refrattarie a farsi piccole; ci sono tante persone umili, che servono nella gioia, capaci di farsi piccole, che pregano, si sacrificano nascostamente, che perdonano. Dunque la sostanza non è cambiata; la Chiesa è sempre attraversata da entrambe le forze del male e del bene, segnata dalla lotta, che non consiste semplicemente nel contrapporre il bene al male, ma nel trarre dal male il bene, nel vincere il male con il bene… c'è continuità tra il passato e il presente: il Signore ha vegliato sulla sua Chiesa; Satana, d'altro canto, non ha dormito» (C.M. Martini, Che cosa dobbiamo fare, Ed. Piemme, p. 153 ss).

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