Diaconi apostoli della nuova evangelizazione



Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

PASTORALE

Diaconi apostoli della nuova evangelizazione
di Enzo Petrolino

Chiudendo i lavori dell'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, papa Benedetto XVI ha messo in modo chiaro il tema della nuova evangelizzazione al primo posto nell'agenda della Chiesa. Per questo, dopo aver consultato l'episcopato del mondo e dopo aver sentito il Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, ha deciso di dedicare la prossima Assemblea Generale Ordinaria, nell'ottobre di quest'anno, al seguente tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
E i Lineamenta, che portano lo stesso titolo della riflessione sinodale, dedicano l'ultimo Capitolo, ai soggetti chiamati alla nuova evangelizzazione: "Evangelizzatori ed educatori perché testimoni". «Qualsiasi progetto di "nuova evangelizzazione", qualsiasi progetto di annuncio e di trasmissione della fede non può prescindere da questa necessità: avere uomini e donne che con la loro condotta di vita danno forza all'impegno evangelizzatore che vivono. È proprio questa loro esemplarità il valore aggiunto che conferma la verità della loro dedizione, del contenuto di quanto insegnano e di ciò che chiedono di vivere. L'attuale emergenza educativa fa crescere la domanda di educatori che sappiano essere testimoni credibili di quelle realtà e di quei valori sui quali è possibile fondare sia l'esistenza personale di ogni uomo, sia i progetti condivisi del vivere sociale». Come ogni capitolo anche questo si conclude con delle domande. In fondo troviamo questo interrogativo che ci interpella come diaconi e come comunità ecclesiale e ci richiama ad un corale esame di coscienza: in che modo il ministero del diaconato, ripristinato di recente, ha trovato in questo mandato evangelizzatore uno dei contenuti della sua identità?
Prima di tentare di dare una risposta, se pure personale, vorrei richiamare il percorso storico dell'espressione "nuova evangelizzazione". Giustamente è stato detto che "nuova evangelizzazione" - o, meglio, "evangelizzazione nuova" - è ormai la formula tipica che il pontificato di Giovanni Paolo II, significativamente iniziato con l'esortazione a non temere di spalancare le porte a Cristo, perché solo Lui fonda e tutela l'umanesimo integrale. È il papa stesso a ricordare quelle parole, undici anni dopo, nella esortazione postsinodale Christifideles laici (n. 34). Certamente, la formula "nuova evangelizzazione" era allora all'inizio del suo cammino e andò sviluppandosi progressivamente, con l'incalzare degli eventi più disparati. Attraverso di essi infatti, letti come provvidenziali "segni dei tempi", Giovanni Paolo II ha individuato non solo le varie coordinate di quella formula, ma anche l'interno articolarsi di esse. In ogni caso, "nuova evangelizzazione" è una formula che, meglio di altre - per esempio l' ''aggiornamento'' di Giovanni XXIII o la "civiltà dell'amore" di Paolo VI -, mette subito a fuoco quale dev'essere la risposta della Chiesa alle sfide del terzo millennio.
Una formula, peraltro, che sviluppa nella continuità tanto l'ispirazione originaria del Vaticano II - la quale si proponeva di «mettere in contatto con le energie vivificanti del Vangelo il mondo moderno» (cf. costituzione apostolica d'indizione, Humanae salutis) -, quanto la sua ricezione nella fase postconciliare, culminata nella Evangelii nuntiandi di Paolo VI. Una formula che, nella pienezza dell'articolazione cui è ormai pervenuta, intende rilanciare quell'eredità a livello personale e comunitario, teorico e pratico.
Nuova evangelizzazione, piuttosto che rievangelizzazione, per indicare che la svolta epoca le in atto richiede di annunciare con nuovo slancio e ricorrendo a nuove espressioni, metodiche o strategie, il messaggio di sempre: Gesù Cristo e la sua Buona Notizia, infatti, sono la risposta alla crisi dell'uomo contemporaneo, suggestionato dall'onnipotenza tecnocratica, ma in balìa del nichilismo etico-spirituale, invano attenuato dai miraggi delle sètte e dei nuovi movimenti religiosi. Dire "rievangelizzazione" significherebbe alludere soltanto a qualche ritocco accidentale o alla semplice correzione delle imperfezioni umane. "Nuova evangelizzazione" significa, invece, collaudare forme teoriche e pratiche nuove, per annunciare efficacemente il kerygma di sempre nel mutato contesto socioculturale. Quindi, non ricominciare da zero, bensì edificare, con necessari assestamenti e ristrutturazioni della realtà precedente, un altro piano sopra quelli esistenti. Perciò una evangelizzazione nuova sia nel fervore dei protagonisti, sia nelle mediazioni culturali e nelle strategie pastorali. Innegabilmente l'urgenza di tale evangelizzazione nasce dal fatto che l'umanità oggi sta vivendo una impressionante svolta epocale che, già intuita dalla Gaudium et Spes (n. 54), si è molto accelerata dopo gli avvenimenti del crollo dei muri (fine del socialismo reale), la crisi del razionalismo illuminista (fine della modernità) e l'avvento ormai inarrestabile del villaggio globale (fine dell'eurocentrismo). E come alle precedenti svolte e relative sfide «la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha risposto con generosità e lungimiranza», trovando nuove inculturazioni della fede e adeguate metodiche pastorali, così oggi deve affrontare con non minore generosità le nuove sfide, «proiettandosi verso nuove frontiere» (Redemptoris missio, n. 30).
Non basta quindi ritoccare superficialmente l'opera evangelizzatrice, né migliorare tatticamente i vari ambiti della pastorale: viene richiesta una strategia globalmente nuova, che non solo investa le varie componenti personali e le realtà strutturali della Chiesa, ma che si cali anche nelle più diverse situazioni o circostanze, tanto in Europa quanto nel resto del mondo.

Evangelizzazione nuova nel fervore
La novità sta anzitutto nel fervore, ossia nella santità: vocazione di tutti i battezzati e anima di ogni apostolato. Perciò Cristo stesso ci chiama a rinnovare il nostro "ardore apostolico". Per questo invia il suo Spirito: per infiammare anche oggi, come a Pentecoste, il cuore della Chiesa. L'ardore apostolico della nuova evangelizzazione scaturisce da una radicale conformazione a Gesù, il primo evangelizzatore. Ciò postula sia una fede matura, che abilita a leggere e valutare tutte le cose secondo il pensiero di Cristo, sia una fede motivata attraverso un serio e costante aggiornamento: una fede coerente e impegnata, che si traduce in operatività apostolica coraggiosa e non priva di fantasia creatrice. Questo fervore, poi, dev'essere non solo personale, ma anche comunitario; ossia deve coinvolgere tanto i singoli protagonisti - presbiteri, diaconi, laici e religiosi, quanto le diverse comunità, specialmente intensificando le «mutue relazioni» a tutti i livelli, come richiesto dalla vocazione universale alla santità (cf. Lumen Gentium, 5).
Da parte sua i Lineamenta ribadiscono (n. 22 ) quale debba essere l'apporto specifico dei «cristiani che perseguono la santità. [...] Sarà utile dedicare spazio e tempo ad un confronto sulle istituzioni e gli strumenti di cui le Chiese locali dispongono per rendere i battezzati consapevoli del loro impegno missionario ed evangelizzatore. Di fronte agli scenari della nuova evangelizzazione, i testimoni per essere credibili devono saper parlare i linguaggi del loro tempo, annunciando così dal di dentro le ragioni della speranza che li anima (cf. 1Pt 3, 15). Un simile compito non può essere immaginato in modo spontaneo, richiede attenzione, educazione e cura».
Già Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio (n. 90) scriveva che il migliore evangelizzatore è il santo - ossia l'uomo tanto delle beatitudini quanto della comunione e partecipazione, sottolineando il "primato della santità". In breve, l'evangelizzazione sarà nuova se e nella misura in cui ogni componente ecclesiale sarà al meglio se stessa e realizzerà la migliore interazione con tutte le altre, evitando di rinchiudersi nei ghetti o di procedere in ordine sparso (come nella pastorale improvvisata). Perciò il nuovo fervore richiede uno sforzo generoso di ciascuno e a tutti i livelli, così da realizzare nei fatti la pregnanza etimologica della "sinodalità" (affettiva ed effettiva) indicata dal sun (=con: convegno, concilio): maggior fervore, quindi, nel con-venire, con-vergere e con-laborare di ciascuno e tutti, e ad ogni livello
I protagonisti della nuova evangelizzazione perciò sono tutti i battezzati. Si tratta quindi di un protagonismo globalmente ecclesiale, che coinvolge tutti i cristiani - presbiteri, diaconi, laici e religiosi -, anche se con ruoli e in situazioni non omologabili. Perciò nella Christidifeles laici (n. 34), descrivendo la molteplice e specifica articolazione del protagonismo laicale, il papa ne sottolinea l'obiettivo comune: «La nuova evangelizzazione è destinata a formare comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio».
Rivolto invece ai presbiteri scrive: «Il prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione, che riguarda tutto il popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una nuova espressione per l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige sacerdoti radicalmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale, segnato dalla profonda comunione con il papa, i vescovi e tra di loro, e da una feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto della promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all'interno della comunità ecclesiale» (Pastores dabo vobis, n. 18). Perciò è importante approfondire l'ecclesiologia pneumatologica e trinitaria del Vaticano II, proprio in ordine alla nuova evangelizzazione che ogni battezzato e i rispettivi stati di vita dovrebbero realizzare in osmosi con gli altri.
A questo proposito bisogna ricordare due fondamentali principi, anche rivisitando i tria munera (sacerdotale, profetico e regale) di ciascun battezzato: il principio di reciprocità (tra le persone) e quello di sussidiarietà (tra le funzioni). Secondo tali principi, nessun cristiano (e relativo stato di vita) può realizzarsi né attuare la propria funzione se non in rapporto con gli altri e le rispettive funzioni nella Chiesa: l'uno, infatti, si attua di fronte e in rapporto con l'altro. La nuova evangelizzazione perciò richiede più che mai una reciproca collaborazione. E come non tutti possono fare tutto - ma ciascuno deve fare la sua parte e interagire meglio che può con l'altro -, cosi ogni stato di vita (con relativi doni, ministeri e tria munera) non può operare senza gli altri. Si pensi alla triplice rifrazione del munus sacerdotale, profetico e regale nei presbiteri, nei diaconi, nei fedeli laici e nei religiosi. La nuova evangelizzazione richiede quindi il coinvolgimenti di tutti, ma valorizzando i carismi e ministeri di ognuno.
Il problema cruciale della nuova evangelizzazione riguarda quindi anche il ministero del diaconato e il modo nel quale fargli prendere coscienza del suo protagonismo, tanto nella Chiesa quanto nel mondo. Questo è un compito specifico dei diaconi: intensificare la formazione e coordinarne le tante forze nella pastorale d'insieme, specie attraverso il "laboratorio" della parrocchia la quale «vicina al vissuto delle persone e agli ambienti di vita, rappresenta la comunità educante più completa in ordine alla fede. Mediante l'evangelizzazione e la catechesi, la liturgia e la preghiera, la vita di comunione nella carità, essa offre gli elementi essenziali del cammino del credente verso la pienezza della vita in Cristo» (Educare alla vita buona del Vangelo = EVBV 39).

Evangelizzazione nuova nelle strutture
Ancora, l'evangelizzazione deve essere "nuova" per le strutture: ossia per il modo nuovo di impostare tanto le strutture territoriali o "stabili", come le parrocchie, quanto le strutture più recenti o "mobili", come i gruppi e movimenti; senza dimenticare quelle che potremmo dire "trasversali": non solo perché attingono da entrambe le precedenti, ma anche perché le servono indiscriminatamente (pensiamo alle opere socio-assistenziali che, analogamente, servono trasversalmente parrocchie e movimenti). In questi anni, poi, si è fatta strada la tematica delle "unità pastorali" o "comunità pastorale", ossia del come fronteggiare la scarsità dei presbiteri che, via via, sguarnisce soprattutto le parrocchie più piccole (le microparrocchie italiane, con meno di 500 abitanti, sono oltre il 35 % del totale, 6.873 su 25.542, mentre da un sondaggio effettuato in 143 diocesi risulta che 3.284 parrocchie, pari al 17,2 % del totale, non hanno parroco residente).
Orientamenti e norme sviluppa il rapporto di reciprocità e lo stretto legame tra condizione del diaconato e condizione di chiesa, tra modello di diaconato e modello di chiesa, mettendo in risalto non solo che la presenza del diaconato può favorire un cammino di chiesa più vivace e fecondo nella missione, ma anche un percorso inverso, cioè che «il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministro ordinato sia chiamato ad animare e a guidare - non a sostituire - la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio» (ON 9). Una rilevante conseguenza pratica viene dedotta dal fatto che il «diacono può essere impegnato anche nelle comunità [...] affidate in solidum ad un gruppo di sacerdoti, per la cura di quegli ambiti che sono propri del ministero diaconale» (ON 44).
Non mancano certo altre ipotesi e proposte per i diaconi, l'importante è avvertire sempre più e meglio che si tradisce la nuova evangelizzazione abbandonando quelle microparrocchie o ricorrendo a uno stressante quanto poco fruttuoso "viaggio eucaristico domenicale a tappe forzate". Uno dei fenomeni dell'attuale momento storico ecclesiale è la diminuzione del numero dei presbiteri e, conseguentemente, il progressivo moltiplicarsi di comunità parrocchiali senza la presenza del sacerdote. Anche se la restaurazione del diaconato nella chiesa non nasce da motivi dovuti alla scarsità di vocazioni presbiterali, i vescovi italiani, nel delineare gli spazi dove il diacono può esercitare il suo ministero, dicono primariamente che esso si caratterizza come servizio attivo nel piano pastorale diocesano e come apertura e disponibilità per i bisogni dell'intera chiesa particolare. Ciò non toglie dunque che il diacono possa essere anche impegnato nelle comunità parrocchiali senza presbitero residente (ON 39, 44). Davanti a tali situazioni la Chiesa non è rimasta indifferente: sia da parte dei vescovi sia da parte delle stesse comunità cristiane si è avuta una certa preoccupazione tesa ad assicurare soprattutto la tradizione cristiana della Domenica, come giorno del Signore. Questo per ribadire primariamente che i cristiani, in tale giorno, si riuniscono con il Risorto da cui sempre viene l'iniziativa della convocazione. Questo incontro, fondamentalmente, è la celebrazione dell'eucaristica. Quando però non può aver luogo questa pienezza sacramentale, è tuttavia possibile incontrarsi con il Signore attraverso altre forme della sua presenza reale nella Chiesa: la parola di Dio, l'assemblea stessa dei credenti. Una risposta in tal senso è stata data dalla Congregazione per il Culto Divino con la pubblicazione del Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero.
Intorno al nostro ministero, c'è inoltre da riconsiderare attentamente quanto i vescovi hanno scritto nella Nota pastorale "Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia" (n. 12), là dove si afferma che «è importante definire gli ambiti ministeriali da affidare ai diaconi permanenti, secondo una figura propria e non derivata rispetto a quella del sacerdote ma coordinata con il suo ministero, nella prospettiva dell'animazione del servizio su tutti i fronti della vita ecclesiale». Il diacono non deve, per questo, essere un sostituto dei preti mancanti, ma un segno vivo che la Chiesa non esiste per se stessa ma per andare incontro ai poveri, ai soli, agli ignoranti, a quelli che cercano, ai malati e morenti e a quelli che vivono come se fossero già morti, perché non vi è significato alcuno nella loro vita. «I diaconi - ha scritto il cardinale Kasper - non dovrebbero fare uno scopo dell'attirare una fetta più ampia possibile dei compiti del presbitero. Il loro compito è completamente diverso da quello del prete ed è a suo modo abbastanza importante e pressante. [...] è nelle aree marginali e frammentate della società che il diacono ha il suo posto. Egli dovrebbe non solo [...] essere là per coloro che "ancora" sentono ancora l'appartenenza, ma anche invitare quelli che potrebbero appartenere alla Chiesa in futuro. Dovrebbe "orientare" la diaconia-comunione in modo tale da contribuire a costruire la Chiesa del futuro. Si tratta di un contributo essenziale e indispensabile alla nuova evangelizzazione che emerge in questo tempo. [...] Il lavoro pastorale diaconale è missionario per sua natura. Le azioni sono più convincenti di qualsiasi altra cosa».
Ritornando alla parrocchia media e tradizionale - che resta tuttavia una struttura indispensabile, benché da sola non possa affrontare la crescente mole di problemi che sfidano la Chiesa oggi -, per la nuova evangelizzazione ricordiamo almeno tre direzioni lungo le quali il diacono può muoversi:
1. Anzitutto vanno realizzate innovazioni nelle stesse realtà parrocchiali esistenti, specie quelle urbane, macroscopiche e anonime, grazie, ad esempio, a piccole comunità. Proprio per questo i vescovi, nel documento Norme e direttive, affermano che si «ritengono più confacenti al ministero diaconale le comunità di non grande dimensione, dove l'autenticità dei rapporti umani facilita l'esercizio della carità e del servizio».
L'episcopato italiano auspicava una trasformazione delle nostre comunità parrocchiali così che, «articolandosi in comunità minori, acquistino una più profonda fisionomia comunitaria, e quindi un maggior slancio nell'evangelizzazione capillare, diretta a tutti». Da tutto ciò emerge che il diacono, come sua caratteristica di servizio, è chiamato ad animare capillarmente le comunità ecclesiali. Esigenza che in questi anni non ha dato vita, se non sporadicamente, a comunità ecclesiali "cellulari" nel senso espresso dal documento di Paolo VI Evangeli Nuntiandi (n. 58), in cui si dice che queste comunità «nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire», riunendo così «per l'ascolto e la meditazione della Parola, per i sacramenti e il vincolo dell'Agape, gruppi che l'età, la cultura, lo stato civile o la situazione sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti, ecc.; persone che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l'aiuto fraterno ai poveri, per la promozione umana».
Grazie cioè a un decentramento che favorisca sia l'annuncio (kerygma) pure ai lontani, sia la nascita di comunità a misura d'uomo redento (koinonia). Perciò, dopo un'adeguata fase kerygmatica, nei singoli nuclei si celebra pure l'Eucaristia, fons et culmen della vita cristiana; ma l'unità parrocchiale non è affatto minacciata, data la "comunione di comunità" intesa dal modello ecclesiologico qui soggiacente. «In un ambiente spesso indifferente se non addirittura ostile al messaggio del Vangelo, la Chiesa riscopre il linguaggio originario dell'annuncio, che ha in sé due caratteristiche educative straordinarie: la dimensione del dono e l'appello alla conversione continua. Il primo annuncio della fede rappresenta l'anima di ogni azione pastorale. Anche l'iniziazione cristiana deve basarsi su questa evangelizzazione iniziale, da mantenere viva negli itinerari di catechesi, proponendo relazioni capaci di coinvolgere le famiglie e integrate nell'esperienza dell'anno liturgico. Il primo annuncio è rivolto in modo privilegiato agli adulti e ai giovani, soprattutto in particolari momenti di vita come la preparazione al matrimonio, l'attesa dei figli, il catecumenato per gli adulti» (EVBV 40).
2. L'altra direzione in cui urge muoversi è quella del Consiglio Pastorale, considerato non solo una "cerniera" tra le diverse realtà ecclesiali, ma quasi come laboratorio teorico della nuova pastorale d'insieme e prima forma operativa concreta della mutua collaborazione tra i battezzati presenti sul territorio. Anzitutto in questo luogo teologico-pastorale si deve verificare (etimologicamente) l'effettiva e affettiva sinodalità, dalla quale far scaturire la nuova osmosi (e non concorrenza) tra le realtà ecclesiali più incentrate sulla parrocchia (territorio) e quelle più mobili o trasversali (gruppi, movimenti, ecc.).
Veniamo così ai gruppi e movimenti, senza dubbio tra le "novità" più significative della Chiesa di questi ultimi decenni anche perché in essi troviamo molte forme dell'auspicato nuovo protagonismo del ministero diaconale. Infatti, se molti luoghi e forme di presenza e di azione sono oggi necessari per recare la Parola di vita all'uomo contemporaneo, e molte altre funzioni d'irradiamento religioso e di apostolati di ambiente - nel campo socioculturale, educativo, professionale, ecc. - non possono avere come centro e punti di partenza la parrocchia, allora questa situazione diventa un'opportunità provvidenziale perché essa adatti le sue strutture, dando spazio alle piccole comunità, operando una ben intesa comunione e collaborazione con le altre forme di presenza ecclesiale ed evangelizzatrice. Ma questo suppone che tutti intendano collaborare seriamente, anche rinunciando a essere i primi della classe. «Questo obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita a una "pastorale integrata" secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze» (EVBV 41).

Evangelizzazione nuova nelle espressioni
In terzo luogo, la nuova evangelizzazione si qualifica tale per le espressioni, ossia perché Cristo stesso ci chiede di proclamare la Buona Notizia con un linguaggio che renda il Vangelo di sempre più vicino alle odierne nuove realtà culturali. Si tratta come scrivono i vescovi di «Educare alla vita buona del Vangelo per farci discepoli del Signore Gesù, il Maestro che non cessa di educare a una umanità nuova e piena. Egli parla sempre all'intelligenza e scalda il cuore di coloro che si aprono a lui e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della bellezza del Vangelo. La Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione. Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, significa portare a pienezza l'umanità e quindi seminare cultura e civiltà. Non c'è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa».
Occorre, allora, cercare le nuove espressioni che consentano di evangelizzare gli ambienti caratterizzati dalla cultura urbana e di inculturare il Vangelo nelle nuove forme della cultura che si sta imponendo. Siamo ormai di fronte alla città postindustriale, che non rappresenta soltanto una variante dell'habitat umano tradizionale, ma produce un tipo umano diverso: consumista, di cultura audiovisiva, anonimo e sradicato. C'è qui sottesa la vexata quaestio circa il passaggio dall'epoca fondata su parola e concetto a quella fondata su immagine e contesto. E quando mutano i fondamenti di una cultura, cambiano anche la mentalità e i relativi modi di esprimere la nuova cultura: non è più la realtà che, attraverso i suoi modi di presentarsi, si fa conoscere per quello che è, ma è "il ciò che appare" (della realtà) che viene preso per realtà. Di conseguenza, i mass media stanno generando una nuova "civiltà", in cui si esige tanto una nuova forma mentis, quanto nuove forme di linguaggio e di mediazione per comunicare. Inoltre, c'è da rinnovare la reciprocità "evangelizzazione-promozione umana" attraverso nuove proposte culturali e traduzioni pratiche anche in ambito sociopolitico: memori che la dottrina sociale della Chiesa non solo è un capitolo della teologia, ma anche uno strumento di evangelizzazione. Sicché l'incontro tra Chiesa postconciliare e mondo postmoderno può avvenire, sulla frontiera delle priorità etiche, ribadendo che nella centralità dell'uomo la Chiesa individua la possibilità di convergenza tra credenti e non credenti. In questo modo, la nuova evangelizzazione attua quanto raccomandava il Concilio riguardo al dialogo sia ecumenico, sia con le altre grandi religioni, sia infine, ma non ultimo, con tutti gli uomini di retto sentire e buona volontà. Questo multiforme dialogo, infatti, «non esclude nessuno: né quelli che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano la sorgente, né quelli che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere» (Gaudium et spes nn. 92 e 21).
Perciò, avendo scelto come via privilegiata la riconciliazione e il dialogo, la compagnia e la solidarietà, la nuova evangelizzazione si rapporta tanto alle varie forme assunte dalle realtà ecclesiali quanto all'ambiente socioeconomico, culturale e politico odierno con atteggiamenti costruttivi. Scrive Benedetto XVI nella Deus Caritas est (n. 30) che «nelle Comunità ecclesiali sono sorte nuove forme di attività caritativa, e ne sono riapparse di antiche con slancio rinnovato. Sono forme nelle quali si riesce spesso a costituire un felice legame tra evangelizzazione e opere di carità».

Evangelizzazione nuova nei metodi
Passando poi ai metodi della nuova evangelizzazione, non possono mancare la testimonianza e l'incontro personale, la presenza del diacono in tutto ciò che inerisce all'umano, come pure la fiducia nell'annuncio salvatore di Gesù e nell'azione dello Spirito. Occorre impiegare, sotto l'azione dello Spirito creatore, l'immaginazione e la creatività, affinché il Vangelo giunga a tutti, in maniera pedagogica e convincente. In breve, è necessario utilizzare tutti quei metodi che consentano al Vangelo di arrivare al centro della persona e della società. Di qui le tante metodologie presenti sul campo e variamente riconducibili alle diverse indicazioni magisteriali. E se prima abbiamo visto le modalità nuove dell'annuncio (kerygma), che inculturano la Buona Notizia secondo le categorie e le sensibilità di oggi, adesso la questione riguarda le metodologie operative (pastorali in senso lato) da metter in atto, per cogliere le ricchezze esistenti e per orientarle verso le prospettive strategiche, ossia i poli e valori fondamentali della nuova evangelizzazione: cosicché, pur nel rispetto delle varie identità, personali e di gruppo, la strategia della mutua collaborazione possa concertare azione kerygmatica e pastorale d'insieme.

La finalità della nuova evangelizzazione
Quanto abbiamo esaminato ci introduce nell'ultima ma fondamentale coordinata della nuova evangelizzazione: la sua finalità. La nuova evangelizzazione, infatti è tale perché ha come fine l'annuncio della morte e risurrezione di Gesù, dal quale discende, tra l'altro, la necessità di riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana, come il bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli trascende in valore tutto il mondo naturale perché:
1. la dignità umana, qual è annunciata dalla Rivelazione, manifesta tutto il suo fulgore quando ne consideriamo l'origine e la destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza, redento dal sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato a essere "figlio nel Figlio", "tempio vivo dello Spirito", e destinato all'eterna vita di comunione beatificante con Dio;
2. l'uomo "è sempre un valore in sé e per sé", e come tale deve essere trattato: mai quindi come un oggetto utilizzabile, uno strumento, una cosa. Inoltre tale dignità personale costituisce «il fondamento sia dell'uguaglianza di tutti gli uomini, sia della partecipazione e della solidarietà tra di loro: il dialogo e la comunione si radicano ultimamente in ciò che gli uomini "sono", prima e più ancora che su quanto essi "hanno". Si mostra così la rilevanza antropologica dell'educazione cristiana e si favorisce una considerazione unitaria della persona nell'azione pastorale» (EVBV 33).
Certamente, queste grandi linee dell'annuncio sono il Vangelo di sempre, ma la nuova evangelizzazione deve farsene carico in modo nuovo, vista la crescente minaccia della spersonalizzazione. Perciò dappertutto e incisivamente la Chiesa deve annunciare la verità rivoluzionaria della Buona Notizia della morte e risurrezione di Gesù: una delle sue principali conseguenze è che la persona umana è unica e irripetibile. La persona - come è rivelata dalla verità cristiana - non è un anonimo ingranaggio del sistema, né un più o meno felice consumatore, bensì "consorte della natura divina", per l'incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria.
Allora il compito dei diaconi adesso è vivere la nostra chiamata profeticamente e assumerci la responsabilità che ci spetta nell'evangelizzazione. Il papa Giovanni Paolo II ha incoraggiato i diaconi nel suo discorso durante le celebrazioni del Giubileo dei diaconi dell'anno 2000 dicendoci: siate apostoli attivi della nuova evangelizzazione.

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