Nei vangeli la tradizione del giudizio di Gesù sull'atteggiamento di quelli che, allora come sempre, fanno del loro ruolo all'interno della comunità motivo di ostentazione e di privilegio è ricorrente. Misericordioso con i peccatori, Gesù è stato invece implacabile con quelli che si credevano giusti; disponibile con i lontani, è stato invece inflessibile con coloro per i quali la religione favoriva la crescita dei propri interessi e del proprio prestigio personale. C'è davvero da domandarsi perché queste parole, che risuonano ancora con forza nelle nostre chiese, oltre che nei nostri cuori, sembrano sempre dirette "ad altri", e nessuno si scandalizza più nel vedere che atteggiamenti analoghi serpeggiano nelle nostre comunità, sia civili che religiose, con impudente arroganza. La videocracy è una malattia antica quanto l'uomo che il nostro regime mediatico ha soltanto amplificato a dismisura. Sembra che l'umanità non possa fare a meno di politici ed ecclesiastici che si pavoneggiano di qualsiasi status symbol cui hanno affidato la loro immagine. VITA PASTORALE N. 9/2012
XXXII Domenica del Tempo ordinario
1Re 17,10-16
Eb 9,24-28
Mc 12,38-44
VEDOVA AL TEMPIO
Per questo, lo sforzo didattico di Gesù nei confronti della sua comunità insiste sempre su questo punto. Può essere riassunto nell'ammonizione: "Ma voi non così". I veri pericoli per la comunità vengono infatti prima di tutto dal suo stesso interno, a causa di atteggiamenti di autoaffermazione, sopruso, ostentazione. La conversione all'umiltà e al servizio da parte di coloro cui le comunità riconoscono un ruolo di guida passa, d'altro canto, solo e unicamente dalla decisione del cuore. Per questo, forse, è tanto difficile. La riflessione sul sacerdozio della Lettera agli Ebrei segna con decisione la distanza tra il sacerdozio di Gesù e ogni altra forma di sacerdozio, ricordando così che non c'è nessun tipo di potere, neppure la potestas in sacris, che possa attribuirsi caratteristiche divine. Anzi, proprio il sacerdozio di Cristo sancisce la fine del regime dei sacrifici e, con esso, di qualsiasi sacerdozio. Ricondotti alla sfera dell'umano, come possono alcuni arrogarsi privilegi proprio in virtù del loro ruolo religioso?
Significativamente allora l'evangelista Marco combina insieme due insegnamenti di Gesù, quello che mette sotto accusa gli scribi e quello che prende lo spunto dal comportamento di una vedova. L'atteggiamento degli scribi non è diverso da quello di altri che attribuiscono al loro ruolo un carattere di mondanità, mentre per Gesù religione e mondanità sono del tutto inconciliabili. I criteri che devono guidare la vita e le scelte della comunità discepolare sono esattamente opposti a quelli mondani. È un punto dolente con il quale le Chiese di tutti i tempi hanno dovuto confrontarsi. Non si tratta certo di prediligere fughe in avanti di tipo misticheggiante. Né si tratta di separare ciò che è corporeo, storico, concreto da quanto è religioso e spirituale.
La linea di demarcazione non passa tra il corpo e l'anima, perché sia l'anima che il corpo possono essere affetti dalla "mondanità", cioè dalla tentazione a ragionare, sul corpo come sullo spirito, sul denaro come sulla preghiera, in termini mondani. Si può fare sfoggio e pavoneggiarsi anche degli status symbol più decisivi dell'appartenenza religiosa e della vita spirituale. Alle comunità cristiane come a ciascun credente è chiesto di non confondere testimonianza e ostentazione. Fare della preghiera o della carità motivo di vanto è odioso e, al contempo, dannoso.
Anche se è duro da riconoscere, è poi anche vero che ostentazione e violenza sui più poveri vanno insieme: per questo Gesù li combina in un unico capo d'accusa. Spesso, siamo disposti a tollerare o addirittura a guardare con condiscendenza, come se fosse una tassa da pagare alla visibilità della religione, forme di ostentazione della fede che ne alterano invece la verità più autentica. Perché siamo così disposti ad accettare le arroganze dei potenti, perché l'assuefazione qualunquista alle regole del gioco mondano diventa, troppo spesso, la condizione del nostro vivere ecclesiale?
Messo a confronto con l'atteggiamento della vedova il comportamento degli scribi risulta ancora più odioso. Loro che divorano la casa delle vedove, cioè che fanno i forti con i deboli, facendo leva, per di più, sull'autorità che viene loro dalla conoscenza delle Scritture, hanno ribaltato la logica profonda della fede, confondendo il superfluo con il necessario. L'insegnamento che viene dall'obolo della povera vedova è teologico, prima ancora che etico: o la fede appartiene al necessario e mette in gioco il necessario e non il superfluo oppure, se resta superficiale, se tocca solo l'esteriorità, non è fede.
Certamente, il messaggio che Marco intende dare alla sua comunità con la composizione ravvicinata di questi due insegnamenti di Gesù, apparentemente distinti ma in realtà complementari, tocca ancora oggi le nostre comunità e le interpella sul punctum dolens della vita religiosa e della vita di fede. Da dove viene alle Chiese il criterio per purificare costantemente la fede e la testimonianza di fede? Può venire dalla mondanità del mondo o può venire dalla fede seria dei poveri: alle Chiese spetta scegliere di volta in volta e, forse, non sarebbe male che, nell'anno della fede, la vedova e il suo obolo al Tempio divenissero un'autentica icona di ciò che la comunità cristiana è chiamata a essere.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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XXXII Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 11 novembre 2012
L'OBOLO DELLA POVERA