Nel quarto vangelo il "segno" della moltiplicazione dei pani ha la funzione di richiamare coloro che si confrontano con la persona di Gesù a tornare al tempo fondativo della storia e della fede d'Israele come popolo di Dio, il tempo del deserto, della peregrinazione in cerca di terra e d'identità. Anche Gesù richiede ricerca e peregrinazione. La sua rivelazione avviene nella storia e non può, quindi, che essere ambigua. VITA PASTORALE N. 6/2012
XIX Domenica del Tempo ordinario
1Re 19,4-8
Ef 4,30,5-2
Gv 6,41-45
LA CHIAMATA ALLA FEDE
È ALLA LIBERTÀ
Il problema centrale della fede è l'identità di Gesù: anche i Giudei nei confronti di Gesù "mormorano" come il popolo ha mormorato nel deserto nei confronti di Dio. Nonostante la manna. Il problema della fede biblica è sempre lo stesso. Perché il Dio della Bibbia non è un concetto o un'idea plasmabile a proprio piacimento. Non è una dichiarazione che si può riempire di tutti i contenuti possibili a seconda dell'interesse o della convenienza. È il Dio che agisce e si rivela nella contraddittorietà della storia. Come si può accettare che il Dio dell'elezione si riveli nell'ostilità del deserto e che il Figlio di Dio si riveli in un nazareno figlio di un uomo e di una donna di cui tutti conoscono la vita e la storia? Chi sa sempre, da prima, chi Dio è e come agisce, coloro per i quali Dio non può essere inedito non possono che mormorare.
Aver scelto la storia fino all'incarnazione come luogo della sua rivelazione comporta invece aver scelto lo spazio dell'inedito e dell'imprevedibile, del plurale, dell'inclusivo e del non controllabile. Anche rispetto alle attese religiose del suo tempo Gesù ha rappresentato l'inedito. Gesù rivendica la sua continuità con l'esperienza fondativa d'Israele, quella dell'elezione, ma porta con sé la novità di un Dio che si consegna alla logica dell'imprevisto e dell'imprevedibile della storia che non è deterministicamente condotta dal destino ma vede in azione la libertà degli uomini. E accetta il rifiuto. Anche il profeta Elia si è sentito rifiutato e perseguitato a causa della sua parola e dei suoi miracoli. Minacciato di morte fuggiva dal suo paese e non poteva più dare senso alla propria vita. Una presenza superiore lo conforta, l'alimenta. Con la forza di quel cibo cammina fino all'Oreb.
Anche Gesù, che aveva sfamato una moltitudine di persone, si sente rifiutato dai suoi contemporanei: la sua parola e i suoi miracoli, come quelli dei profeti, possono condurre alla fede come provocare incredulità. Diversamente da Elia, però, Gesù non fugge, ma accetta una morte violenta. E la sua donazione fino alla morte ha portato al mondo l'inedito di una vita che tra sforma l'essere umano, la vita nello Spirito. Gesù identifica sé stesso con il pane di vita, con la nuova manna: segno di un'elezione non più vincolata soltanto alla terra della promessa o a un popolo tra gli altri. Perché la vita di cui parla Gesù non è più soltanto la vita destinata alla morte, ma la vita che non muore ed è ormai per il mondo. Parola e pane: la vicenda che ha travolto, ormai più di 500 anni fa, il cristianesimo occidentale ha portato a separare l'uno dall'altra come se fosse possibile dividersi il Cristo. Gesù, che è sapienza di Dio, non può essere capito se la sua parola viene separata dalla sua carne esattamente come Dio non può essere capito se viene alienato dalla storia.
La chiamata di Gesù alla fede è per ciascuno ed è chiamata alla libertà. Durante la sua vita sulla terra, alcuni lo hanno accolto come inviato di Dio, e hanno accolto il suo messaggio. Molti altri hanno rifiutato la sua persona e il suo insegnamento. Reazioni positive e negative che hanno continuato a ripetersi nel corso della storia fino ad oggi. Il primo ad accettare il mistero della libertà è Dio stesso. Quando crea l'uomo e la donna a sua immagine, sa molto bene quello che fa. Sa che è possibile obbedire all'invito di Paolo e che alcuni si faranno suoi imitatori come figli carissimi. Sa che è possibile vivere nella benevolenza, nella misericordia e nel perdono. Sa che è possibile. Ma non può né vuole che sia obbligatorio. È certamente importante, dunque, lottare per la libertà di religione, ma ancor di più lo è lottare per la libertà di credere o di non credere.
Molti passi sono stati fatti sulla strada del riconoscimento del diritto all'incredulità. Il concilio Vaticano II ha saputo confrontarsi con il mondo dell'incredulità come con quello delle tante e diverse fedi religiose. Ad Assisi, due Papi hanno cercato di dare voce e storia a una fede che accetta con gioia la ricchezza della libertà, perfino quella di chiamare Dio con altri nomi. E le mormorazioni di tanti hanno davvero rattristato lo spirito. In un luogo quanto mai significativo come un istituto oncologico per la cura e la ricerca sui tumori, a Marsiglia, è stato costruito uno spazio laico d'incontro e condivisione, che esprime la pluralità delle dimensioni spirituali e che, rispettando le differenze tra le varie fedi religiose, raffigurate dal simbolo proprio di ciascuna di esse, rimanda alla possibilità di vivere la propria opzione religiosa nella trasparenza e, quindi, nella libertà. Accanto a quello delle diverse fedi religiose, c'è anche uno spazio riservato all'agnosticismo e all'ateismo. Forse, questo è possibile capirlo solo in un luogo in cui s'intrecciano la lotta per la vita e l'obbedienza alla morte, un luogo dove tutto, anche Dio, torna all'essenziale.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
XIX Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 12 agosto 2012