Natività di san Giovanni Battista




ANNO B - 24 giugno 2012
Natività di san Giovanni Battista
Is 49,1-6
At 13,22-26
Lc 1,57-66.80

LA RECIPROCITÀ
GERMOGLIO DI PACE

Nei secoli antichi l'interesse per i parenti di Gesù ha incrementato la curiosità e la fantasia. Ci sono raffigurazioni medievali della "famiglia di Gesù" affollate da un'infinità di personaggi, tutti raccordati tra loro da un ipotetico legame di parentela naturale o acquisita. Lasciano intravedere quanto fosse importante, per l'immaginario cristiano, collocare Gesù dentro uno spazio familiare nel quale comporre in un'unica cornice figure effettivamente nominate nei racconti evangelici, magari solo marginalmente, insieme a personaggi che si andavano progressivamente accreditando nell'incipiente tradizione cristiana. Il bisogno di riempire gli ampi spazi che le narrazioni evangeliche lasciano totalmente vuoti non comporta però sempre un'operazione di spiccato valore teologico.
Celebrare la memoria liturgica di Giovanni Battista non significa tanto insistere su un legame di parentela, deciso, tra l'altro, in modo arbitrario, ma significa piuttosto prendere coscienza della chiara linea di continuità teologica tra il profeta di Nazaret e quello del Giordano. Dal discorso kerigmatico di Paolo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia risulta chiaro che fin da subito la predicazione apostolica ha fatto riferimento a Giovanni come al precursore che ha avuto il compito di preparare la strada al Messia.
Nello stesso senso vanno le tradizioni evangeliche sul battesimo di Giovanni che insistono tutte e quattro, sia pure con accentuazioni diverse, sul fatto che ogni presunzione da parte dei discepoli di Giovanni di considerarlo come il Messia era del tutto infondata. Il profeta del Giordano è consapevole di non aver avuto altro ruolo se non quello di riconoscere il Messia e di aggregare al suo seguito alcuni dei suoi discepoli. Quanto lega teologicamente i due personaggi è, però, ben di più.

La relazione tra Giovanni e Gesù va capita all'interno dell'intersezione tra grande tradizione profetica di Israele e attesa messianica. Lì sta la loro "parentela". Pur essendo di famiglia sacerdotale, Giovanni prende le distanze dal tempio e sceglie la strada del ministero profetico, in continuità con l'ormai secolare tradizione profetica d'Israele. Il suo stile di vita e la sua predicazione rappresentano il punto di arrivo della tensione escatologica che, progressivamente, aveva innervato la predicazione profetica anticotestamentaria. Giovanni, perciò, non è figlio soltanto di due anziani giudei, entrambi di stirpe sacerdotale, ma è figlio dell'attesa accorata di un intero popolo, di cui è segno eloquente la sterilità di Elisabetta, verso la quale Dio ha usato misericordia, e di cui è conferma l'esultanza dei vicini e il timore che incute loro l'esperienza di trovarsi di fronte a un intervento diretto di Dio.
Come mostrano i richiami espliciti al secondo canto del servo di Isaia, il racconto della nascita di Giovanni intende portare a compimento la storia del popolo come storia di vocazione e di elezione. Come Israele si fonde e sovrappone alla figura del servo, così Giovanni non è solo figura singolare, ma espressione di un intervento di Dio che fa arrivare la storia del suo popolo a un punto di non ritorno. La nascita di Giovanni contiene implicitamente un annuncio e una promessa, perché segna l'inizio di un evento di rivelazione: Dio ha cominciato a farsi presente, la sua definitiva epifania è alle porte. Il clima di meraviglia che ingenera attesa ne è prova evidente.

La nascita di Giovanni Battista appartiene dunque ai primi segni che annunciano il compimento messianico. Impone perciò di riflettere sull'ebraicità di Gesù, sull'appartenenza del Messia alla storia delle promesse, sull'irrinunciabile continuità che lega i discepoli di Gesù all'alleanza stabilita da Dio con Israele. Impone anche, di conseguenza, di guardare a ogni forma di antisemitismo con lo stesso orrore con cui si guarda a un fratricidio. Le forme di violenza cieca e assassina sono tante e, tutte, disonorano l'umanità. Le ricorrenti persecuzioni contro un popolo che, anche se disperso tra i popoli, non vuole rinunciare alla chiamata antica rivoltagli da Dio, mettono però a nudo il potenziale perverso dell'odio religioso.

I motivi per cui in Europa non si riesce a estirpare del tutto la piaga dell'avversione verso gli ebrei sono tanti. L'orrore della strage di Tolosa del 19 marzo scorso ci ha obbligati a riconoscere quanta strada ancora manca perché l'Europa diventi capace di ospitare nella pace le tre fedi abramitiche e prenda finalmente coscienza della vocazione a cui la chiama la sua stessa storia.
Non si tratta soltanto di saper esercitare le giuste pressioni diplomatiche o di mettere in campo le giuste scelte politiche per far sì che il Medio Oriente non resti vittima della sua stessa storia religiosa. Si tratta di lavorare per radicare la consapevolezza della reciprocità che intercorre tra le tre fedi monoteiste, si tratta di favorire una laicità della conoscenza e non dell'ignoranza, si tratta di credere che la libertà religiosa può far germogliare frutti di pace.
Forse, la ricerca un po' ingenua di un legame di "parentela" tra Gesù e Giovanni può dirci qualcosa di molto importante: la diversità delle tradizioni religiose, anche di quelle tra loro "gemelle" come ebraismo e cristianesimo, deve arrivare finalmente a comporsi nell'appartenenza a un'unica famiglia, quella umana.
VITA PASTORALE N. 5/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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