XI Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B - 17 giugno 2012
XI Domenica del Tempo ordinario

Ez 17,22-24
2Cor 5,6-10
Mc 4,26-34

IL REGNO DI DIO
REALTÀ ESPLOSIVA

La ripresa del "tempo ordinario" riporta la liturgia della Parola a ritrovare il ritmo piano della lettura continua di uno dei tre vangeli sinottici, quello che accompagna e scandisce l'anno liturgico, cioè quello di Marco. Dopo l'intensità dei tempi forti, della Quaresima e della Pasqua, dopo la sequenza delle grandi feste che coronano il ciclo pasquale, tornare all'evangelo del Regno che Gesù ha predicato andando per i villaggi della sua terra chiede di riprendere il passo dolce e leggero della strada di pianura. C'è una linea rossa che percorre la Bibbia e va dai profeti a Gesù. Potremmo chiamarla la linea della fiducia. Oggi, in questi giorni così sconsolati in cui, nel nostro Paese come nel nostro continente, tutti percepiscono che, prima ancora del benessere, è stato loro rubata la prospettiva del futuro e, con essa, la speranza, la fiducia viene meno.

Irretiti da schiere di contabili che somministrano ossigeno a un capitalismo ormai gravemente malato, sentiamo più che mai la mancanza di profeti. Qualcuno può parlare oggi di Dio come ha fatto Ezechiele o sarebbero parole che spingono a derisione per l'estraneità delle immagini e l'ingenuità dei toni? Gesù, è vero, ha ripreso lo stesso linguaggio e le stesse metafore per annunciare il regno di Dio molti secoli dopo Ezechiele ma, in fondo, il suo mondo culturale e religioso e quello del grande profeta anticotestamentario erano tra loro in stretta continuità. Nessuno può negare, invece, la grande distanza che intercorre tra il mondo contadino della Palestina antica e quello delle città di oggi. Dal nostro mare di asfalto e di onde magnetiche può venirci offerta un'immagine così suggestiva come quella del ramoscello piantato sul monte che diventa un cedro magnifico o quella, pacificante e rassicurante, del granello di senape da cui prende vita la più grande delle piante dell'orto?

Forse, dobbiamo provare a orientarci a partire dalla fine. Marco conclude il grande discorso parabolico di Gesù in modo fortemente indicativo, perché lascia capire che il rabbi di Nazaret parlava in parabole pubblicamente, ma riservava poi la loro spiegazione solo a un gruppo ristretto di discepoli. Questo ci mette già sull'avviso: la parabola non è mai troppo chiara e, soprattutto, non ha la stessa efficacia sempre e per tutti. È troppo semplice capire le parabole come messaggi di facile consolazione. Per dire veramente qualcosa, esse vanno ascoltate e capite con il cuore e con la mente ed è proprio questo il motivo per cui l'evangelo del Regno viene accettato da alcuni e rifiutato da altri. Avere fiducia nel regno di Dio è possibile, ma si deve accettare il paradosso del ribaltamento: solo ciò che è piccolo e di poco conto produce qualcosa di immensamente grande.
La regalità di Dio si mostra, cioè, nel momento in cui i potenti vengono ribaltati dai troni e gli umili esaltati. È l'aspettativa dei pii israeliti, poveri e miti di cuore, che hanno imparato che è meglio gridare a Dio che attendersi qualcosa dai loro capi. L'attesa del Regno, insieme alla fiducia in Dio, esprime una radicale sfiducia in qualsiasi altro potere politico o religioso.

In un clima fortemente contraddistinto dalla crisi della rappresentanza e dalla sfiducia in troppo facili connivenze tra potere politico e potere religioso, il messaggio evangelico dell'attesa dell'unica governance che può salvare, quella di Dio, non rischia forse di favorire forme di astensionismo e di qualunquismo altamente pericolosi per la vita pubblica che, al di là di strampalati vaticini sulla fine del mondo, non sembra invece destinata a finire in tempi brevi? Governanti ostentatamente cattolici e palesemente non cristiani hanno inferto il colpo di grazia: se, nell'Italia pre-unitaria, la partecipazione alle elezioni politiche veniva proibita ai cattolici da Pio IX per decreto, dobbiamo forse confidare in un decreto pontificio perché i cattolici italiani trovino il coraggio di un'azione politica capace di difendere la democrazia e di promuovere la giustizia?

Il messaggio del regno di Dio non può essere tradotto in un programma politico: tutte le volte che qualcuno ha preteso di confondere teocrazia e regno di Dio, per l'umanità sono venuti solo danni inenarrabili. Come mostra la nostra storia recente, le nuove forme di integrismo hanno inflitto ferite gravi sia al corpo sociale che a quello ecclesiale. L'integrismo tradisce, di fatto, sia Cesare che Dio. Che fare, allora, per non battere in ritirata e rinchiudersi nel proprio orticello sia politico che religioso, reclusi in un individualismo senza storia che si dibatte tra nostalgia di un passato immaginario e paura per un futuro sempre e comunque minaccioso?
Il ramoscello di cedro piantato sull'alto monte, il seme che germoglia e cresce da solo, il granello di senape che diventa pianta dai rami ospitali: possiamo considerarla facile retorica o accoglierla come profezia che apre gli occhi e ammonisce, parola di annuncio e di denuncia, appello ad assumersi la responsabilità di una storia cui apparteniamo e che ci appartiene. Paradossalmente, per un cristiano l'impegno politico è direttamente proporzionale alla vita di preghiera: per capire il significato delle parabole che Gesù pronunciava in pubblico, i discepoli dovevano appartarsi con lui e farsele spiegare.

VITA PASTORALE N. 5/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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