La verità della fede ebraico-cristiana non sta in idee, principi, valori, ma nell'obbedienza a quanto Dio ha detto. In un'obbedienza che si fa storia, carne e sangue. Celebrare il corpo e sangue di Cristo significa allora prima di tutto riconoscere questo: il luogo dell'obbedienza della fede è la carne di un uomo, di un popolo, di un'umanità intera. Un luogo fragile, corruttibile, mortale: quel popolo che s'era impegnato al rispetto dell'alleanza sarà incapace, di fatto, di sostenere il peso del proprio impegno; quel Messia che ha annunciato il regno definitivo di Dio non potrà sfuggire a un destino di morte. Eppure, l'alleanza nuova si suggella nella carne e nel sangue di Gesù di Nazaret, come già l'alleanza antica era stata sancita dentro le vicende di un popolo. Nel momento in cui mette al centro questa fragilità della carne, la celebrazione del corpo e del sangue di Cristo prende su di sé una grande potenzialità di significati. VITA PASTORALE N. 5/2012
SS. Corpo e Sangue di Cristo
Es 24,3-8
Eb 9,11-15
Mc 14,12-16.22-26
PANE BENEDETTO
SPEZZATO, CONDIVISO
Forse, piuttosto che di "corpo", oggi dovremmo parlare di "carne". Il nostro tempo vive infatti nel culto ossessivo di tutto ciò che riguarda il corpo. Almeno nel nostro angolo di mondo, troppo bulimico per sapere cosa significa che il cibo è un bisogno e troppo anoressico per capire che il cibo è fatto per la gioia di un banchetto comune. "Carne" è termine meno compromesso e, soprattutto, meno addomesticato o adulterato. Nel linguaggio biblico esso indica quanto è radicalmente diverso da Dio, che è eterno e spirituale, perché è invece finito e creaturale.
Purtroppo, nelle molteplici tappe della sua inculturazione, il messaggio cristiano non ha sempre saputo salvaguardare e difendere il valore alto di questa diversità che è, invece, condizione stessa della fede. Se l'uomo non fosse irriducibilmente uomo, cioè finito e mortale, e Dio non fosse irriducibilmente Dio che senso avrebbe l'alleanza? Essa infatti è relazione che compone la diversità senza negarla o annullarla, non armistizio tra due contendenti, tra due nemici che si fanno la guerra. Solo su tale base, che fa della fragilità e della finitezza la condizione per l'alleanza diviene possibile parlare di incarnazione di Dio e di risurrezione della carne.
Come l'alleanza antica, anche quella definitiva è suggellata con il sangue. Non più, però, con il sangue estraneo e anonimo di un animale, ma con il proprio sangue, cioè con l'implicazione della propria stessa vita. Le parole significative pronunciate da Gesù nel contesto della sua ultima cena con i suoi dicono però molto di più: l'obbedienza di fede che passa attraverso la carnalità dell'esistenza umana e, per questo, è siglata dal proprio stesso sangue, intimamente connessa al rendimento di grazie. Per esprimere con grande forza l'imminenza della venuta definitiva del Regno, Gesù sceglie, alla vigilia della sua morte, il simbolo del proprio corpo, della propria carnalità e, in quel preciso momento, di tutta la sua fragilità e della sua impossibilità di negarsi alla morte. Un segno eloquente di ciò che la vita umana diventa nel momento in cui Dio regna: pane benedetto, pane condiviso, pane mangiato.
Senza i suoi gesti, le parole che Gesù pronuncia sul pane resterebbero enigmatiche. Per lui proprio in quel momento in cui misura tutta la sua impotenza, la carne dell'esistenza, il suo corpo, è motivo di rendimento di grazie e di condivisione, è garanzia di sopravvivenza e di festa. Se il pane eucaristico perde questi significati, anche se lo conserviamo con onore e riguardo e ne adoriamo l'ostensione tra ori e gemme, non è presenza viva del corpo di Cristo tra noi.
Benedire e rendere grazie per la carne della vita umana è molto meno facile di quel che sembra. Perché la vita porta sempre impresse sulla sua carne le stigmate della sconfitta e della morte. La "carne della storia", quella degli individui, quella dei popoli e dell'intera umanità chiede redenzione dal suo destino di sofferenza e morte e la redenzione può cominciare solo con il rendimento di grazie. Se sappiamo però a mala pena dire "grazie" per i doni che riceviamo, come possiamo benedire chi ci maledice e rendere grazie per quanto ci opprime? Eppure, nella notte in cui fu tradito, Gesù ha insegnato ai suoi questo: la benedizione va pronunciata sul pane che è il suo corpo, sulla sua carne di uomo, sapendo che è votata alla morte, ma che solo il rendimento di grazie potrà redimerla dalla morte e farla divenire pane spezzato e cibo per la vita.
Tutta l'organizzazione economica in cui siamo immersi, che con un termine onnivoro si chiama "mercato", segue una logica che è esattamente contraria a quella del pane condiviso e del cibo per la festa di tutti. Pensiamo alla catena alimentare, con i suoi sprechi strutturali, o alla filiera della ristorazione con i suoi obblighi tassativi di gettare via un superfluo che supera di gran lunga quanto viene consumato: al di là del fatto che viene dilapidato per legge ciò che potrebbe salvare dalla fame gli "altri due terzi" dell'umanità, si tratta di due metafore del sistema nel quale siamo immersi e in cui la carne della vita non potrà mai tradursi in pane condiviso. Nella festa del corpo e del sangue del Signore riconosciamo invece che Dio non ha paura della carne e della sua fragilità. Non l'ha solo scelta e amata, ne ha fatto pane benedetto e condiviso. "Per voi e per tutti".
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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SS. Corpo e Sangue di Cristo
ANNO B - 10 giugno 2012