Nel primo giorno della settimana in tutte le chiese, apertamente, come nei paesi in cui le campane suonano a distesa, oppure nascostamente, dove i cristiani sono soggetti a odiose discriminazioni se non, addirittura, a brutali persecuzioni, risuona l'annuncio: «Cristo è risorto". Originariamente, i cristiani se lo rivolgevano l'un l'altro come un saluto cui si assentiva rispondendo: «È veramente risorto!». Non c'è nulla di più da dire, perché quel saluto, di fatto, è la confessione di fede per eccellenza. «Urbi et orbi»: simbolicamente, il vescovo di Roma lo rivolge alla sua Chiesa e al mondo intero per raccogliere in un'unica voce la confessione di fede che i cristiani pronunciano in tutte le lingue del mondo. VITA PASTORALE N. 3/2012
Domenica di Pasqua
At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 [1Cor 5,6-8]
Gv 20,1-9
L'ANNUNCIO
DI UNA TOMBA VUOTA
Può essere solo un annuncio, una confessione di fede. La vicenda terrena di Gesù di Nazaret, uomo buono e giusto che passò in mezzo agli uomini facendo del bene, è qualcosa di plausibile, di simile a quella di molti altri e, quindi, di raccontabile. Fa parte di una narrazione necessaria per non trasformare Gesù in un mito. Non è difficile, però, crederci. L'annuncio della sua risurrezione dai morti è, invece, tutt'altra cosa. Bisogna superare una soglia, operare un passaggio dall'economia dei fatti riscontrabili e comprovabili a quella dei "fatti" operati da Dio, il passaggio dall'esperienza interna, allo spazio e al tempo all'esperienza delle "cose di lassù". È un passaggio che impone un salto radicale. Ad alcuni è dato di farlo, ad altri no. Per alcuni è possibile, per altri no. Né gli uni né gli altri possono fornire verifiche, prove, conferme. Dipende solo in parte, infatti, da loro.
Alla risurrezione nessuno, assolutamente nessuno, neppure Pietro, è chiamato ad assistere. È una realtà di cui si sperimentano solo le conseguenze. E perciò solo questo può essere raccontato, trasmesso, annunciato. Per questo, la liturgia del tempo pasquale è un lungo e articolato susseguirsi di racconti brevi che narrano, appunto, storie di apparizioni. La Chiesa c'invita a seguire passo dopo passo il racconto degli effetti della Pasqua di risurrezione, ben sapendo che su quella soglia, deputata solo e soltanto alla fede, può esserci solamente il silenzio, ma sapendo altrettanto bene, per esperienza ormai secolare, che dopo quella soglia si aprono le mille strade della testimonianza.
Per l'evangelista Giovanni, Maria di Magdala arriva fino al punto oltre il quale nessuno può andare, fino a vedere, cioè, la tomba vuota. E dà voce allo sconcerto che nasce dalla privazione cui i discepoli sono costretti prima dalla morte di Gesù e poi perfino dalla trafugazione del suo corpo: nulla più resta loro del rapporto che avevano vissuto con il Maestro. Giovanni ci tiene a rendere conto, prima del racconto della protofania del Risorto a Maddalena, di un periodo di incertezza. La tomba vuota non costituisce in nessun modo infatti la prova della risurrezione di Gesù. Non convince, perché, appunto, della risurrezione non può esserci prova.
Nel momento in cui viene interpellata dall'annuncio della risurrezione, la comunità dei discepoli di Gesù si trova, potremmo dire, in stato confusionale. Pietro e perfino il discepolo amato, che nel quarto vangelo riveste il ruolo di protagonista della trasmissione della memoria su Gesù, sono imprigionati nella logica, tutta intraumana, della ricerca di prove, logica che lentamente deve cedere il passo a un'altra forma di approccio. L'esperienza dei due discepoli non è senza senso né senza valore. Resta, però, al di qua della soglia e s'interroga sulle prove e sui significati. Arriva a "vedere" qualcosa, ma ha bisogno di tempo per "capire". Deve passare per l'interpretazione dei segni e, soprattutto, per la riappropriazione delle Scritture.
Solo la conoscenza della Scrittura può consentire infatti di leggere i "segni" e d'interpretarli. È un elemento fisso di tutti i racconti di apparizione: vale per le donne, vale per i due di Emmaus e deve valere per tutti coloro che vogliono credere in Gesù. È nella Scrittura e attraverso la Scrittura che si può entrare nella conoscenza di Dio, è attraverso questa conoscenza del modo di agire di Dio nei confronti del suo popolo e dell' intera umanità che si può arrivare a guardare Gesù e riconoscere in lui il Cristo, che si può guardare il crocifisso e riconoscervi l'esaltato, guardare una tomba e riconoscerci i segni della risurrezione. È la Scrittura che rende possibile il passaggio dal vedere al credere.
L'annuncio di una tomba vuota è già di per sé inquietante. Pensiamo a quanto parlare si è fatto per Mike Bongiorno. Il giorno di Pasqua comincia da lì: tra l'esperienza della morte di Gesù e quella delle apparizioni del Risorto c'è necessariamente qualcosa in mezzo. Un qualcosa che nessuno può fare al posto di un altro. La Pasqua comporta sempre di mettersi in viaggio. Né è solo una bella metafora perché comporta, per esempio, di sapere dietro a chi andare. Pietro e il discepolo amato hanno prestato orecchio a Maria, hanno accettato di uscire e di andare a vedere. Si sono lasciati interpellare e, per di più, da una discepola. Senza superiorità, senza supponenza, senza diffidenza. Tre malattie epidermiche che hanno infettato il nostro vivere quotidiano.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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Domenica di Pasqua (B)
ANNO B - 8 aprile 2012