Più si avvicina la celebrazione dell'evento della morte di Gesù e più il clima liturgico si fa serio. Serio, non cupo. Gesù è morto perché è stato messo a morte, non perché volesse morire. Il testo della Lettera agli Ebrei riesce a evocare con forza il clima interiore di un uomo nato per vivere e non per morire. Traccia anche però, con decisione, il profilo drammatico di un problema che la riflessione cristiana ha sempre posto e mai è riuscita a risolvere del tutto: perché Dio ha permesso che il suo prediletto imparasse l'obbedienza alla missione addirittura bevendo fino al fondo il calice di una violenza inaudita e ingiusta? La Lettera tenta una risposta nei termini della teologia sacrificale: solo una vittima perfetta, totale, poteva liberarci dall'economia sacrificale, poteva definitivamente svuotare di significato un rapporto religioso legato a forme "antiche", in cui il valore espiatorio del rito rischiava di avere un peso maggiore di quello comunionale. VITA PASTORALE N. 3/2012
V Domenica di Quaresima
Ger 31,31-34
Eb 5,7-9
Gv 12,20-33
LA STRENUA LOTTA
TRA LUCE E TENEBRE
Eppure, anche il profeta Geremia aveva spinto Israele a un rapporto più maturo con il suo Dio, quel Dio che l'aveva preso per mano e lo aveva instradato verso la liberazione, e diventare capace di accogliere l'alleanza nuova nata dal perdono definitivo e sancita nell'obbedienza del cuore alla legge. In questa stessa linea, infine, va la comprensione della missione di Gesù da parte dell'evangelista Giovanni.
La celebrazione annuale della morte di Gesù, allora, non può risolversi per noi in una sacra rappresentazione che ci fa rivivere i fatti avvenuti in quel lontano passato, né semplicemente in uno psicodramma collettivo che mira a mettere ciascuno di fronte alle proprie colpe. Ci impone di guardarci intorno e di chiederci: cosa continua ad avvenire oggi nel mondo intorno alla persona e al messaggio di Gesù di Nazaret? Accompagnare Gesù lungo la sua strada di rivelazione significa scontrarsi con il fatto che coloro che dovrebbero credere in lui lo rifiutano mentre alcuni, considerati "distanti", chiedono invece di vederlo; c'impone, cioè, di prendere posizione, volta per volta, rispetto al dipanarsi del suo mistero e all'avanzare della sua luce.
Certo, è molto facile in questi tempi, in cui l'ostilità contro qualsiasi sistema, politico o religioso è crescente, tradurre tutto questo in facile qualunquismo. Va allora ribadito a tempo e fuori tempo che nessuna forma di qualunquismo può andare d'accordo con l'atteggiamento che Gesù ha avuto nei confronti della vita e della morte.
Scegliere da che parte stare è dunque un compito cui i discepoli di Gesù, che vivono con lui la Pasqua di risurrezione, non possono sottrarsi. Non diversamente dalla storia umana anche la storia della salvezza procede nell'ambivalenza, è attraversata dalla lotta tra luce e tenebre.
Non è un caso che Giovanni ponga l'autorivelazione di Gesù, suggellata dalla teofania che annuncia il senso della sua morte come glorificazione, a conclusione della prima parte del suo vangelo che è dominata, in un significativo crescendo narrativo, proprio dall'ambivalenza. Cresce la fede in lui, ma crescono pure i propositi di morte. Ai greci, che partecipano alla festa e che desiderano entrare in contatto con lui, Gesù rivela che la sua morte è in realtà una glorificazione e, per questo, principio di vita eterna, ma la folla non va oltre la percezione di fantomatiche visioni di angeli o di un tuono.
Nella richiesta da parte dei greci di vedere Gesù l'evangelista riconosce un momento di svolta quanto mai significativo. All'inizio del suo vangelo Gesù stesso aveva invitato alcuni che desideravano vederlo ad andare da lui e a "vedere". Proprio nel momento in cui un complotto definitivo che si sta chiudendo intorno a lui per metterlo a morte, altri chiedono di "vederlo". Comincia così, con l'accenno ad alcuni stranieri, che sono a Gerusalemme per il culto e non hanno preclusioni nei confronti di quel rabbi galileo, la seconda parte della storia. Il rifiuto, il complotto, l'opposizione, la morte non avranno la meglio. I "suoi" non l'hanno accolto, ma ci sono altri che hanno creduto in lui.
Gesù è stato glorificato dalla sua morte perché molti hanno creduto in lui. Per questo la sua morte coincide con un'ora che non sta nelle mani degli uomini e non ha il significato che ad essa danno gli uomini. Basta guardarsi intorno per vedere che anche questa Pasqua che ci stiamo preparando a celebrare non avviene in un mondo segnato soltanto dalla morte. Nel momento stesso in cui il buio dell'opposizione e del rifiuto sembra avere la parola definitiva perché riesce a mettere a morte il giusto, la luce comincia invece a trionfare di nuovo perché alcuni si aprono alla salvezza.
Questo paradosso consente all'evangelista di raggruppare un insieme di parole di Gesù che, in modo diverso, presentano la sua morte come vittoria della luce. Giovanni non narrerà l'episodio dell'agonia del Getsemani. Per lui, il turbamento di Gesù è occasione per la manifestazione di Dio. La voce dal cielo non deve confermare e sostenere d'altra parte lui, ma coloro che lo seguono. Per l'evangelista il turbamento di fronte all'uccisione del giusto, che in ogni momento spinge il mondo nelle tenebre, è il luogo dell'epifania di Dio.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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V Domenica di Quaresima (B)
ANNO B - 25 marzo 2012