III Domenica di Quaresima (B)


ANNO B - 11 marzo 2012
III Domenica di Quaresima

Es 20,1-17
1Cor 1,22-25
Gv 2,12-25

DISTANZA TRA L'IDEALE
EVANGELICO E LA VITA

Mentre gli evangelisti sinottici pongono l'episodio della cacciata dei mercanti dal tempio poco dopo il solenne ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, e quindi poco prima del suo arresto, Giovanni preferisce raccontarlo come uno dei primi gesti rivelativi compiuti da Gesù all'inizio del suo ministero. Per il quarto evangelista esso getta un fascio di luce sull'esperienza storica di Gesù: il suo modo di presentare la volontà di Dio, il suo modo di capire la chiamata definitiva d'Israele, il suo modo di vivere il rapporto con Dio sono stati una pretesa e una provocazione. Al centro della fede non c'è più il luogo sacro, il tempio, ma una relazione santa, quella tra i credenti e il Risorto.

Per Gesù, l'osservanza dei precetti è sempre stata accompagnata da una straordinaria vigilanza critica. Egli vedeva con grande chiarezza che la religione può diventare qualcosa che, invece di rivelare il volto di Dio e di favorire un rapporto preferenziale con lui, imprigiona Dio stesso dentro una rete di pratiche e di abitudini che non hanno nessun significato e nessun valore spirituale. L'evangelista Giovanni, poi, è particolarmente preoccupato di far capire alle sue comunità che anche coloro che credono in Gesù Cristo possono rischiare di trasformare il rapporto di intimità strettamente individuale, che lega il discepolo al maestro come i tralci alla vite in un formalismo che fomenta se stesso e si autoassolve anche quando trasforma la casa di preghiera in luogo di mercato.

Che intenzione aveva dunque Gesù quando ha scacciato con una frusta di cordicelle i mercanti dal tempio e ha fatto rotolare a terra le monete dei cambiavalute? Aveva in mente di riformare il culto istituito dalla tradizione mosaica o auspicava una trasformazione radicale dei sacrifici di animali offerti a Gerusalemme in onore di Dio? Certamente si è trattato di un gesto di rottura. La novità delle sue parole e la libertà delle sue azioni operava una cesura con la tradizione di Israele perché modificava radicalmente il ritmo della prima alleanza: non a caso le autorità religiose lo hanno giudicato la goccia che ha fatto traboccare il vaso e, a partire da quel momento, hanno deciso di condannare Gesù a una morte violenta. Quando parla della distruzione del tempio Gesù si serve di un linguaggio simbolico. Vuole esprimere che per lui il suo corpo glorioso e risuscitato ha il valore di un nuovo santuario. Il suo corpo esaltato, di cui entrano a far parte tutti i credenti formando così la Chiesa, sarà il nuovo tempio in cui si celebrerà il nuovo culto in spirito e verità, la nuova Gerusalemme.

Nella seconda parte del racconto, la prospettiva cambia. L'evangelista presenta la purificazione del tempio come "segno", cioè come realtà che non esaurisce in se stessa il suo significato, ma rimanda ad altro. È il secondo segno compiuto da Gesù. Il primo, quello dell'acqua trasformata in vino, voleva indicare che nel tempo messianico vengono definitivamente abrogate le usanze di purificazione con acqua che scandivano la pratica religiosa del popolo di Israele. Il secondo segno è più eclatante, più provocatorio per gli avversari e più difficile da capire per i discepoli. La purificazione del tempio vuole dunque indicare l'inizio di una nuova economia religiosa, centrata ormai solo sulla persona di Gesù: è lui il nuovo santuario e la fede in lui è il nuovo culto. Non si tratta di sostituire il culto del tempio con la venerazione di un uomo, una sorta di culto della personalità. La nuova economia prende senso solo a partire dalla risurrezione.

La celebrazione eucaristica contiene già tutta la forza salvifica del nuovo tempio e del nuovo culto che Cristo e la sua Chiesa offrono al Padre. Non è un atto formale, è un dono d'amore e un progetto di salvezza offerto a ciascuno. Richiede assenso e obbedienza e, come la Legge che Dio ha dato sul Sinai al suo popolo, dovrebbe indurre timore. Il grado del nostro assenso deve essere verificabile, deve avere effetti tangibili. L'amore di Dio ci spinge a essere solidali con coloro che lottano per la giustizia, con i perseguitati, con quelli che piangono, con i poveri, gli umili, quelli che lavorano per la pace. Anche alla crisi che attanaglia i nostri Paesi occorre imparare a guardare con altri occhi, forse. Quello che ad alcuni viene tolto è molto. Ma resta il fatto che per molti nascondersi dietro la paura della crisi può divenire un alibi pericoloso. Possiamo forse dimenticare che molta della nostra ricchezza ha significato l'impoverimento di altri popoli e continenti?

Per capire la risurrezione, bisogna distruggere il tempio delle nostre false sicurezze, delle nostre indifferenze ed egoismi. Un primo passo verso la conversione è prendere coscienza della distanza che c'è tra l'ideale evangelico e le nostre vite e aspirare a una coerenza maggiore, a una dignità individuale e collettiva che corrisponda davvero al corpo di Cristo, quel corpo che deve sostituire definitivamente i templi costruiti dalle mani degli uomini. Guardare alle nostre vite, guardare alla vita delle nostre comunità, alla vita della nostra Chiesa come al corpo di Cristo: il cammino quaresimale, certo, diventerà più impegnativo, ma è l'unico modo per poter celebrare la risurrezione dai morti del Figlio di Dio.

VITA PASTORALE N. 2/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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