Comincia la "prima giornata" di Gesù in Galilea, quella nella quale Marco compone insieme una serie di episodi per tratteggiare gli elementi che caratterizzano l'intero ministero di Gesù. I primi due sono l'autorità che viene a Gesù dal suo insegnamento e il suo contrasto con lo spirito immondo. Anche i luoghi sono paradigmatici e la loro importanza supera sempre la semplice ricostruzione storica. Gesù insegna non in un posto qualsiasi, ma in un luogo deputato a questo, una sinagoga; non nella sua città, Nazaret, ma da un'altra parte, a Cafarnao. Lo sfondo si colora subito di ostilità: è possibile che Gesù abbia scelto Cafarnao e non Nazaret per avviare il suo ministero perché, come viene esplicitato più avanti, la sua famiglia e i suoi concittadini sono stati i primi a non capirlo e a osteggiarlo e, anche per lui, il rapporto tra il profeta e la sua patria è stato carico di tensioni. Nella "giornata di Cafarnao" Marco presenta gli elementi che connotano la vicenda del Messia anche con il preciso intento di richiamare a quella che sarà, dopo di lui, la missione della sua Chiesa: insegnare, scacciare i demoni e guarire i malati sarà infatti la consegna che Gesù darà ai suoi discepoli. VITA PASTORALE N. 1/2012
IV Domenica del Tempo ordinario
Dt 18,15-20
1Cor 7,32-35
Mc 1,21-28
LA PRIMA GIORNATA
DI GESÙ A CAFARNAO
Gesù insegna lì dove normalmente aveva luogo l'istruzione religiosa del popolo, nella sinagoga. Paolo e Barnaba faranno lo stesso. È però solo il primo passo perché poi, progressivamente, sia Gesù che gli apostoli sceglieranno le piazze e le case. Le sinagoghe erano luoghi di ascolto. La Legge veniva proclamata, commentata, attualizzata. Per un popolo che voleva vivere nell'obbedienza alla legge di Dio il momento della proclamazione della Legge e dell'insegnamento nel giorno dello shabbat, il giorno che Dio stesso aveva riservato a sé, aveva un'importanza fondamentale. Il credito di cui i maestri e gli scribi godevano presso il popolo veniva loro dal fatto che proclamavano e interpretavano la Parola. Fin dalle prime battute Marco ci tiene allora a sottolineare che tanto Gesù quanto la Chiesa mettono al centro del loro ministero la spiegazione della Scrittura. A essere "autorevole" non è la loro parola, ma la loro parola diviene autorevole in forza dell'autorità della Scrittura.
La fatica con cui si riesce a esprimere nelle nostre assemblee domenicali la centralità dell'insegnamento scritturistico è un problema che dovrebbe farci riflettere seriamente. Per un certo tempo, in modo molto miope, la colpa della rimontante disaffezione nei confronti della Scrittura da parte dei cattolici italiani è stata attribuita ai professori di esegesi e agli studiosi della Bibbia perché era difficile tradurre rapidamente il loro insegnamento in una predicazione attraente. In realtà, questi ultimi due decenni hanno mostrato con sufficiente chiarezza che il disagio del nostro clero a insegnare con l'autorevolezza che viene dalle Scritture ha radici molto profonde. Storiche, ma anche teologiche.
La resistenza a recepire il concilio Vaticano II si è infatti espressa anche nel progressivo abbandono di garantire una robusta formazione biblica sia per il clero che per il laicato. Alcune scuole bibliche continuano, spesso con grande qualità, il loro impegno di formazione, ma solo molto raramente esse hanno una ricaduta efficace sulla predicazione e si preferisce ritenere che, se oggi alla Chiesa non viene riconosciuta autorità, tutta la colpa sia da attribuire alla secolarizzazione. Che l'autorità non venga riconosciuta come un a-priori è certamente una caratteristica del pensiero contemporaneo, ma questo non riguarda soltanto la Chiesa né va ritenuto un fatto del tutto negativo: abbiamo visto dove può condurre la delega dell'autorità e quali abissi di orrore possa comportare il sonno della ragione critica.
A Gesù l'autorità non deriva né da un ruolo né da uno status, perché non è sacerdote, né rabbi, né scriba. Gli viene piuttosto dalla sua capacità di interpretare la rivelazione di Dio e di indicare da dove passa il cammino di fedeltà alla sua Legge. Egli parla con autorità perché aiuta a distinguere tra la tradizione di Dio e le tradizioni degli uomini. Troppo spesso, invece, il consenso religioso (e non solo) si regge sulla pretesa di consolidare alcune tradizioni conferendo loro un'assolutezza che non possono avere. Il testo del Deuteronomio non lascia dubbi in proposito: può esistere anche il profeta che parla con presunzione di autorità oppure in nome di altri dei.
Gesù non è, però, un grande affabulatore. Coloro che sono presenti nella sinagoga di Cafarnao, allo stupore per il suo insegnamento, devono ancora aggiungere lo stupore per la sua capacità di fronteggiare gli spiriti immondi e di sottometterli. La sua autorità non è quella di un carismatico che abbindola con la forza della sua parola, ma comporta un dominio su forze oscure da cui si può restare travolti. Per l'evangelista, allora, la prima confessione di fede nella messianicità di Gesù esce proprio dalla bocca dello spirito immondo. Paradossale, infine, il fatto che la misericordia di Dio, quando si manifesta, crei nemici. Sono in troppi a preferire un Dio dal volto spietato perché da esso fanno derivare il proprio potere e perché attraverso di esso sperano di conquistare un ascendente sugli uomini fatto di paura e di sudditanza. Non è questo, però, il Dio di Gesù.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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IV Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B - 29 gennaio 2012