III Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B - 22 gennaio 2012
III Domenica del Tempo ordinario

Gn 3,1-5.10
1Cor 7,29-31
Mc 1,14-20

FARSI CARICO
DELLE CECITÀ ALTRUI

Il tempo ordinario, che scorre tra i periodi liturgici forti, permette di approfondire la conoscenza, un anno dopo l'altro, delle tre narrazioni sinottiche. La lettura continua del vangelo può dunque favorire una catechesi biblica sistematica, legata alla conoscenza del testo più che alle ricorrenze dell'anno liturgico. È una delle possibilità con cui la liturgia accompagna la fede della comunità cristiana e la radica in quanto essa ha di più autenticamente proprio, la conoscenza dei misteri di Dio.

Per Gesù tutto comincia quando Giovanni viene arrestato ma, soprattutto, perché Giovanni viene arrestato. Dal punto di vista storico, il rapporto tra Gesù e Giovanni il battezzatore è stato decisivo. Per questo ogni evangelista conserva il ricordo e ne approfondisce i significati. Esso infatti colloca Gesù nella storia del suo popolo, nella vicenda ideale che, animata dalla profezia, spinge la fede dal passato della promessa verso il futuro della realizzazione messianica.
Gesù ha scelto come suo maestro non un famoso rabbi, non un sacerdote, non uno scriba, ma un profeta, amato e odiato come solo i profeti possono essere. Alla scuola del Battista, Gesù matura la sua missione, e quando si separa da lui per iniziare il suo ministero itinerante di annuncio del regno di Dio sa che tocca a lui realizzare quanto la predicazione dell'ascetico profeta del Giordano aveva solo annunciato.

C'è una continuità tra Giovanni e Gesù, come c'è una continuità tra Gesù e tutti i profeti cui Dio ha assegnato il compito di chiamare a conversione il suo popolo o anche, come nel caso di Giona, "la grande città". Per Gesù, del resto, tutto comincia lì dove nessuno si aspetta che cominci, lontano dal cuore sacro di Israele, fuori dalla città santa, lontano dal tempio, in Galilea, una terra ritenuta ormai distante dall'osservanza giudaica. Oggi diremmo "secolarizzata".
Nel vangelo di Marco, invece, la Galilea gioca un ruolo decisivo: è lì che tutto ha inizio, la missione di Gesù e, dopo la risurrezione, quella della Chiesa. Il Vangelo nasce, potremmo dire, in partibus infidelium. Diversamente da Giona, Gesù non oppone nessuna resistenza. Fin dalle prime battute del suo ministero è chiaro che per lui il luogo dell'evangelizzazione è la profanità della vita. Per Dio, forse, la secolarizzazione non è un ostacolo, ma un'occasione.

Tutto comincia con un annuncio e sulla riva di un lago. Lì dove la gente fa la vita di sempre. Il luogo del Vangelo, sembra dirci Marco, è lì dove la profanità della vita svolge il suo corso: che proclamazione di una notizia inattesa ci può essere infatti lì dove tutti sono già convinti di sapere come Dio agisce, lì dove il divino è tenuto sotto controllo, lì dove la presenza di Dio è confusa con il suo simulacro? Solo quando è davvero annuncio di novità, il Vangelo chiama a conversione. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni sono disposti a "convertire" le loro vite, da pescatori di pesci a pescatori di uomini. Accolgono una chiamata e accettano una "dislocazione": lasciano una situazione per andare verso qualcosa che ancora non conoscono.

La chiamata dei primi quattro discepoli riproduce così i tratti fondamentali delle vocazioni bibliche: si è disposti a lasciare la situazione di partenza e a mettersi in cammino senza sapere con chiarezza verso dove si sta andando, ma sapendo bene chi si sta seguendo. La coincidenza tra l'inizio del ministero di Gesù e la chiamata alla sequela dei discepoli ha un significato preciso: la missione della Chiesa non può essere diversa da quella di Gesù, non può cioè essere altro che annuncio del Vangelo. Una tale evidenza non esonera dal carico di problemi che essa porta con sé: chi di noi non ha dovuto fronteggiare accuse mosse alla Chiesa per aver messo al centro dei suoi interessi ben altro che non la predicazione del Vangelo? Non è un caso se fin dai suoi inizi la tradizione cristiana ha avuto bisogno di "apologeti", cioè di teologi capaci di difendere i cristiani dalle accuse rivolte loro.
Da sempre e per sempre sul cammino della Chiesa nella storia pesano errori e inadempienze, tradimenti e mistificazioni. Non è forse vero che la Chiesa ha capito l'invito di Paolo a vivere" come se", a comprare come se non si possedesse e a usare i beni del mondo come se si usassero rinserrandosi dietro un muro di ipocrisia ormai millenaria?

È difficile sottrarsi a interrogativi incalzanti che ci impongono di prendere posizione. Chi sono oggi gli "apologeti", che significa difendere la fede, cosa comporta la consapevolezza di un passato che non passa, di un'infedeltà grossolana, di un'ipocrisia così smaccata da rasentare a volte perfino il ridicolo? L'altro giorno in metropolitana c'era un giovane non vedente. Quando un'orchestrina improvvisata da tre rom ha animato il vagone con piccoli brani musicali, ha sorriso e ha perfino accennato, sorretto dal suo immancabile bastone bianco, alcuni passi di danza. Il suo atteggiamento era un pronunciamento di fede nei confronti della vita e il fatto che l'handicap, il limite, la mutilazione non gli impedissero di prendere parte alla vita, era davvero un'apologia della vita stessa.

VITA PASTORALE N. 1/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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