Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008
• Giobbe 7,1-4.6-7 • 1 Corinzi 9,16-19.22-23 • Marco 1,29-39
È PASSATO TRA DI NOI FACENDO IL BENE
Siamo ancora all'interno del sabato trascorso da Gesù a Cafarnao, aperto dal suo entrare al mattino nella sinagoga, dove aveva guarito un uomo malato nella psiche e nello spirito (cfr. Mc 1,23-28). E Gesù continua a incontrare uomini e donne feriti nella loro salute, oppressi dalla sofferenza e dalla malattia; li incontra quali persone prossime, come la suocera di Pietro che è preda della febbre, li incontra perché accorrono a lui da ogni parte. Si potrebbe dire che la giornata di Cafarnao è soprattutto incontro di Gesù con i malati, sempre presenti: presenti alla liturgia nell'assemblea dei credenti, presenti in casa, presenti nelle città e nei villaggi...
A loro Gesù non predica rassegnazione, non chiede di offrire la sofferenza a Dio, né, d'altra parte, incoraggia atteggiamenti di ricerca dello straordinario e del miracolo. No, Gesù incontra i malati, non teme di avvicinarli e anche di toccarli; fa dunque innanzi tutto gesti di comunione, si piega su quei corpi per curarli, lotta contro il male per farlo arretrare e così ridona agli uomini salute e pienezza di vita. Va detto con chiarezza: la malattia - questa terribile situazione in cui prima o poi tutti ci imbattiamo - e, con essa, il dolore non ci inducono automaticamente a essere più buoni, ma sovente ci spingono alla chiusura, all'egoismo, all'assenza di fiducia negli altri e nella vita...
Eppure anche la malattia è un luogo in cui è possibile far risuonare la buona notizia del regno di Dio. Mentre restituiscono all'integrità della salute le persone malate, le guarigioni operate da Gesù vogliono infatti testimoniare soprattutto che nella malattia l'uomo è sempre oggetto di amore e di cura da parte di Dio: nella malattia è chiesto semplicemente a ogni persona di accettare di essere amata e di cercare a sua volta di amare! Attraverso queste azioni di cura e guarigione dei malati, Gesù ci racconta l'amore di Dio, annuncia il Vangelo con gesti e azioni - così come nella sinagoga l'aveva annunciato a parole (cfr. Mc 1,21-22) -, e ci insegna quale deve essere il nostro servizio verso i malati che incontriamo. Questi miracoli sono dunque segni che devono lasciare il posto alla quotidianità della carità, della fede e della speranza, perché solo così si compie la verità dell'uomo: il vero miracolo operato sui malati consiste nel fatto che essi possono conoscere l'amore!
Por avendo scritto un vangelo che è occupato per quasi un terzo dalla narrazione di miracoli, Marco non chiede ai lettori di interessarsi al miracolistico o al prodigioso. È per questo che Gesù, pur operando tali azioni, non si esalta mai, né si attarda su di esse; al contrario, esige silenzio in proposito (cfr. Mc 1,43-44; 5,43; ecc.) e vigila affinché le folle non deducano da questi gesti la sua santità né giungano a conclusioni affrettate sulla sua identità, prima della manifestazione definitiva che egli darà di sé sulla croce. Solo allora si potrà dire: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39).
Va ancora notato che Gesù non si lascia travolgere né dalle folle che vogliono guarigioni né dalla sua attività di pastore (cfr. Mc 6,34): Gesù cerca e trova spazi e tempi di solitudine, per dedicarsi alla preghiera, all'ascolto del Padre e alla comunione con lui. Nel deserto, nella notte, al mattino presto, egli cerca tenacemente di preservare il tempo essenziale per nutrire la relazione con Dio che lo ha mandato e che gli dà la forza e l'ispirazione per il suo «passare tra di noi facendo il bene» (cfr. At 10,38).
Così Gesù ha speso la vita, così ha insegnato a spenderla a noi, suoi discepoli: una vita che trova la propria forza nella preghiera e nel dialogo con Dio e che diviene vita per Dio e per gli altri, diviene un farsi carico delle sofferenze del fratello, una compassione che non si ferma davanti alla malattia e che senza pretendere guarigioni miracolistiche, sa farsi carico del dolore dell'altro e riesce così ad alleviarlo. Perché se alcune malattie sono ancora oggi inguaribili, nessuna persona è mai incurabile: basta che noi ce ne prendiamo cura, manifestandogli la cura che il Signore si è preso dell'umanità.
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