L'inizio del quarto vangelo restituisce alla liturgia del Natale quello che la retorica dei buoni sentimenti, fatta di ninna-nanne e angioletti, rischia di offuscare: presenta una visione grandiosa e profonda del tempo e dell'eternità, della trascendenza di Dio e della creazione dell'universo, della successione delle generazioni umane e del loro destino, ma parla anche del conflitto che esiste, da sempre, tra la luce e le tenebre. Il Natale acquista, con queste parole, un'altra dimensione perché da memoria della nascita del Messia diviene celebrazione dell'incarnazione di Dio nella storia. Giovanni riconduce tutto, la vita, il cosmo, la storia a quell' ''in principio" che determina e definisce ogni cosa e ogni evento, ogni persona e ogni mondo a partire da Dio e davanti a Dio. A Natale ri-nasce tutto, perché tutto riprende vita, luce, senso, scopo a partire da quell' ''in principio". VITA PASTORALE N. 11/2011
Natale del Signore (Messa del giorno)
Is 52,7-10
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
LA LUCE BRILLA, MA
LE TENEBRE SONO FITTE
Per la Scrittura, Dio preesiste al mondo e alla storia con la sua potenza, con la sua sapienza, con la sua volontà provvidenziale. Egli abita quel principio ed è quel principio perché con la sua Parola dà inizio a un processo creativo che continua per sempre e da cui prende vita l'immensità cosmica e la vicenda umana. Perché il passo dei secoli è guidato dalla forza divina e perché è la luce di Dio che illumina ogni uomo che viene al mondo. La sua presenza nel mondo, Cristo, è pienezza di grazia, è la luce che fa della terra nella quale viviamo il laboratorio della nostra redenzione. Come per il libro della Genesi, anche per il prologo giovanneo, però, a questa prospettiva maestosa e ottimista se ne intreccia un'altra, a noi sicuramente più familiare. Accanto alla luce divina ci sono le tenebre; accanto al bene, il male; accanto alla perfezione, il peccato; accanto alla vita, la morte. L'esperienza della vita ce lo racconta e ce lo conferma senza sosta: la luce brilla nelle tenebre.
Se guardiamo alla storia, a quella piccola, ma vicina, delle nostre vite o a quella grande e lontana che abbraccia i secoli, possiamo negarne forse le meraviglie e, al contempo, gli orrori? Siamo arrivati al dominio sulla materia fino alla fissione dell'atomo e la rapidità delle comunicazioni trasforma di giorno in giorno le relazioni al livello mondiale. D'altra parte, guerre, deportazioni, genocidi, torture di massa provocano sofferenze inenarrabili. Il famoso bambino n. 7 miliardi, venuto al mondo da poco, vivrà nella gioia e nel benessere o piuttosto nella fame e nella malattia? La luce brilla, è vero, ma le tenebre sono fitte.
Ogni uomo e ogni donna venuti nel mondo, in ogni angolo della terra e in ogni momento della storia, portano sulle spalle una croce che, quando non redime, schiaccia. Il ritorno a quell' ''in principio" è, allora, fonte di speranza, perché prima di ogni vita e, quindi, di ogni conflitto e di ogni ambiguità, c'è la Parola, l'unica luce capace di illuminare le tenebre. La "Parola" non è discorso né ragionamento. È sapienza che rivela.
E lascia scorgere che il conflitto permanente tra tenebre e luce non è, come vogliono tante filosofie dualiste, senza soluzione. Con un'espressione datata, ma che non ha perso la sua efficacia, è il "principio speranza" a partire dal quale e con la forza del quale la luce ha e avrà la sua sicura vittoria sulle tenebre.
Per questo la Parola è Gesù, è lui la luce vera che illumina ogni uomo. Gesù non si sottrae alla logica del cosmo, del mondo, della storia, ne assume appieno la straordinaria bellezza e l'orrenda ripugnanza. Ben sapendo che, venuto tra i suoi, i suoi non lo hanno accolto, i cristiani continuano ad applicare a lui la radiosa dolcezza del canto d'Isaia. Ogni esilio vede ritorno, ogni guerra cede il passo alla pace, ad ogni desolazione c'è riscatto. L'attesa del Messia che Israele ha appreso vivendo la sua storia alla luce della sapienza divina è, di nuovo, "principio di speranza". Gesù è Parola perché è il Figlio di un Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva già parlato ai padri per mezzo dei profeti. La sua venuta è stata preparata da una lunga storia di alleanza sancita dalla Parola e nella Parola.
La luce che illumina le tenebre è la parola della Sapienza che esce dalla bocca di Dio perché Dio è amante della vita. Il nostro tempo è certamente tempo di abbondanza di parole. Troppo spesso inutili, a volte perverse, in alcuni casi omicide. Parole, parole, parole... cantava in modo indimenticabile Mina. Tutti, in democrazia, hanno diritto di parola, e siamo convinti che la parola sia un diritto che deve essere restituito anche a quelli che, derelitti della storia, ne sono privati. Parole: è l'unico strumento che abbiamo per raccontare la vita, interpretare la storia, trasformare il caos in ordine. Perché anche noi veniamo da quell' ''in principio".
Pronunciamo parole forbite e discorsi complessi, descriviamo l'universo e raccontiamo la storia, intrecciamo relazioni tra le persone e tra i popoli. Solo parole di pace e canti di gioia, solo buone notizie di consolazione e voci di esultanza vengono però da quell' ''in principio" in cui il Signore amante della vita ha acceso una luce che trionfa su ogni tenebra. E una di queste parole è "Natale".
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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Natale del Signore (B) - Messa del giorno
ANNO B - 25 dicembre 2011