Del termine "mistero" si fa un uso abbastanza discutibile, soprattutto quando ci si imbatte in questioni o problemi che ci trovano impreparati. Molte cose sono inspiegabili, certo, molte sono "misteriose", perché riguardano sfere che esulano dal controllo dei nostri sensi o anche della nostra stessa conoscenza. La celebrazione della solennità dell'Epifania, però, ci obbliga a guardare ai "misteri della fede" in modo diverso. VITA PASTORALE N. 1/2012
Epifania del Signore
Is 60,1-6
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12
UN DIO "EPIFANICO"
CHE SI RIVELA AI POPOLI
Ci ricorda, infatti, che il Dio biblico è un Dio "epifanico", un Dio che si rivela, si manifesta. Non in modo criptico, non a gruppi di iniziati, non con riti e cerimonie indecifrabili, ma con parole, immagini e racconti limpidi. Il Dio di Abramo e di Gesù si è manifestato nella storia degli uomini. Sempre, però, in modo chiaro.
A partire dalla sua esperienza, Paolo può addirittura dire di avere comprensione del mistero di Cristo, dato che ha visto con i suoi stessi occhi quello che Isaia aveva preconizzato con parola profetica e che Matteo preferisce invece trasporre in racconti: i pagani, le genti, riconoscono in Cristo la luce che illumina il mondo e la storia. L'Epifania di Dio è per tutti, anche per coloro che vengono da molto lontano.
La fede nel Dio che in molti modi ha parlato agli uomini, fino a manifestarsi nella pienezza del tempo in Gesù, non può essere patrimonio tribale di un clan, appannaggio di una o più conventicole di devoti né identity marker di alcuni gruppi che tracciano confini di separazione ed esclusione nei confronti di tutti gli altri. Paolo ha ragione quando dice che il vero mistero della nostra fede è solo uno, cioè che: il Dio di Gesù è il Dio di tutti.
Come ricorda Isaia, bisogna essere capaci di alzare gli occhi e guardare. Il profeta del post-esilio sa che nessuna deportazione e nessun esilio durano: c'è sempre un "ritorno". La luce è più forte della tenebra e squarcia qualsiasi nebbia. Quando Israele è stato disperso in mezzo agli altri popoli, quando ha sperimentato la logica del più debole e si è sentito perduto, solo una fede robusta e lungimirante poteva arrivare a capire che gli altri popoli non rappresentavano una minaccia, ma una ricchezza, non costituivano un pericolo, ma una risorsa. Per dirla nel linguaggio di Paolo, che ha saputo vedere nel vangelo della croce la gloria del Signore, i popoli sono chiamati a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a essere partecipi della stessa promessa.
Matteo, invece di affermarlo, lo racconta. La storia della venuta dei Magi dall'Oriente è un piccolo capolavoro teologico che, posto all'inizio del suo vangelo, ne chiarisce fin dalle prime battute l'orientamento: la vicenda di Gesù si svolge tra l'Epifania ad alcuni sapienti venuti da molto lontano per adorarlo (2,1-12) e il comando di portare l'evangelo a tutte le genti che il Risorto dà ai discepoli che si prostrano davanti a lui (28,1755.).
Israele, il più piccolo e insignificante dei popoli del bacino del Mediterraneo, è stato investito di una missione universale, come Gesù, che nasce in un villaggio della terra di Giuda e sente di essere inviato soltanto alle pecore perdute della casa d'Israele, rivela il volto di Dio a tutte le nazioni. Quei sapienti indagatori dei segni del cielo, che vengono dall'Oriente e si prostrano ad adorare un bambino nel quale riconoscono il re dei Giudei, prefigurano la realizzazione del regno di Dio sulla terra.
La tradizione popolare ha ingabbiato il racconto dei Magi dentro alcuni stereotipi che ne dirottano il significato mettendo al centro i bambini, invece del Bambino, e i doni, invece del compimento delle profezie. Soprattutto, ha cancellato il protagonismo di Erode che rappresenta, invece, un elemento decisivo della storia. Confondere i cosiddetti racconti dell'infanzia, con i quali Matteo apre il suo vangelo, con una sorta di letteratura per l'infanzia a finalità didascalica snatura profondamente il senso dei testi, ma pure il valore della festa.
Se volessimo trarre dal racconto dei Magi un insegnamento pedagogico, dovremmo invitare i nostri figli a saper riconoscere quali sono le ricchezze che i popoli che vengono da lontano e sono entrati nelle nostre case portano con sé. E dovremmo anche ammettere che tutti, anche coloro che li respingono, sanno bene che coloro che vengono senza imbracciare armi da guerra hanno sempre seguito una stella e realizzano, così, una profezia.
Per Matteo, Erode non segna soltanto il momento storico in cui Dio ha scelto di manifestare la sua gloria, ma raffigura soprattutto l'incompatibilità radicale tra il potere, rinserrato nella conservazione del proprio privilegio, e la profezia, sempre aperta alla novità di un futuro di pienezza per tutti. Erode, e con lui tutti i capi di Gerusalemme, conoscono le profezie e vedono i segni che le prefigurano. Sanno che Dio invierà il suo Cristo e fingeranno perfino di volersi inginocchiare ad adorarlo. Molti re e imperatori, giunte militari e capi politici, affiancati spesso anche da capi religiosi, hanno fatto lo stesso nel corso della storia. Per fortuna, però, Dio trova sempre il modo di indicare "un'altra strada": chi ha visto la manifestazione del Messia non ha più nessun vincolo di sudditanza nei confronti di qualsiasi Erode di questo mondo.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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Epifania del Signore (B)
ANNO B - 6 gennaio 2012