Giovanni il battezzatore è figura-chiave per cogliere lo spirito del tempo di Avvento. In modo particolare nel quarto vangelo. Per Giovanni, infatti, prepararsi al compimento dell'economia divina nel mondo e per il mondo non chiede soltanto un esercizio di virtù ascetiche. D'altra parte, se i vangeli ci presentano il profeta del Giordano come un asceta non è per esaltarne le virtù morali, ma per farne risaltare la vicinanza con Elia, il primo dei profeti. In lui, l'ultimo dei profeti, la rivelazione della promessa arriva al termine. L'Avvento è dunque tempo in cui comprendere che, senza l'ascolto delle profezie, nulla è possibile capire di colui che rivelerà in modo visibile, pienamente umano, il volto benevolo di Dio e la sua volontà di salvezza. VITA PASTORALE N. 11/2011
III Domenica di Avvento
Is 61,1-2.10-11
1Ts 5,16-24
Gv 1,6-8.19-28
L'ASCOLTO
DELLE PROFEZIE
Isaia guarda al Messia da lontano. Quattro secoli prima della nascita di Gesù, il profeta della consolazione vagheggia la risposta che solo Dio è in grado di dare al suo popolo dopo un lungo tempo di desolazione. L'unto di JAHWEH porterà la buona notizia ai poveri, verrà a guarire i cuori affranti, proclamerà ai prigionieri la libertà, annuncerà il giorno della giustizia di Dio.
Dal canto suo, l'apostolo Paolo guarda invece al Messia a partire dall'inizio del tempo nuovo instaurato dalla sua vittoria sulla morte ed esorta perciò alla gioia, alla serenità di un vivere pacificato in Dio e nel compimento della sua opera. Con la sua attività profetica Giovanni Battista delimita invece la soglia attraverso la quale il Messia fa il suo ingresso nella storia. Per questo per la tradizione cristiana egli non è soltanto un profeta, ma il precursore, e incarna perciò lo spirito dell'avvento come tempo interiore che "precorre", che anticipa ciò che sarà.
Secondo l'evangelista Giovanni, la testimonianza del Battista rappresenta l'incipit della rivelazione messianica. Tutto il quarto vangelo è costruito come progressivo svelamento della persona e della condizione di Gesù. Dopo il Battista, sarà Natanaele a confessare Gesù come Messia e poco dopo Gesù manifesterà la sua gloria con il miracolo delle nozze di Cana. A partire da qui, la trama del quarto vangelo si sviluppa come un crescendo che, in modi differenti, mira a rivelare chi sia la persona di Gesù, quale sia la sua condizione e in che termini vada capita la sua missione. Essa è più che una felice costruzione letteraria, perché risponde a una precisa intenzione kerigmatica: ingenerare nel cuore di coloro che ascoltano un processo di maturazione progressiva della fede come adesione sempre più consapevole alla persona di Gesù di Nazaret.
L'evangelista sa molto bene che l'indifferenza nei confronti del messaggio della Scrittura mette a serio rischio la fede: forme di superstizione popolare possono anche avere un forte ascendente, ma credere nel Messia impone lo sforzo di una fede che cerca, capace di entrare in una tradizione che rivela la pedagogia di Dio nei confronti del suo popolo e di tutti i popoli, una fede non si conforma alla superficie di un vivere ordinario, irriflessivo o indifferente.
Il messaggio della Scrittura, d'altra parte, non è riducibile a un'interiorizzazione personale, intima, privata. Implica una responsabilità collettiva che ciascuno assume nel momento in cui è consapevole, nel proprio cuore e nella propria intelligenza, della sua posizione personale nei confronti delle questioni che hanno a che fare con la fede e con i comportamenti.
La crisi economico-finanziaria che sconquassa il pianeta mette il nostro Occidente che si dice cristiano di fronte alla responsabilità di aver costruito un sistema che fa sempre godere i ricchi sulle spalle dei poveri e che fa pagare ai poveri le colpe dei ricchi. È il meccanismo che stritola persone, famiglie, gruppi sociali, popolazioni e interi continenti perché pressione economica e sfruttamento dei beni della terra portano beneficio sempre e soltanto a una minoranza.
Come è possibile vivere "sempre lieti", come chiede Paolo ai cristiani di Tessalonica, quando l'egoismo incontrollato contamina il pianeta e con cinica ferocia si accetta che, per far star meglio dieci, è necessario che ne periscano un milione? La gioia, per Paolo, non è certo a basso costo, perché affonda le sue radici in tre imperativi fondamentali: non spegnere lo Spirito, non disprezzare le profezie, saper vagliare ogni cosa per tenere solo ciò che è buono.
Custode della soglia che il Messia varca per entrare nella storia, Giovanni Battista è testimone delle condizioni necessarie perché questo avvento definitivo di Dio si traduca in fede consapevole e responsabile. L'evangelista lo presenta affermando che «non era lui la luce» e la testimonianza che egli dà di se stesso non è meno esplicita: non è lui il Cristo, non è lui Elia, non è lui il profeta. È un passaggio irrinunciabile nel tempo dell'attesa del natale del Signore: quanti messia, quanti unti dal Signore, quanti profeti affollano la nostra vita individuale e collettiva? Rinnegarli è condizione previa senza la quale riconoscere il Messia è impossibile e senza la quale non si arriva a capire che i poveri, gli afflitti e i prigionieri sono coloro per cui il Messia è entrato nella storia.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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III Domenica di Avvento (B)
ANNO B - 11 dicembre 2011