Il femminile e la spiritualità



Il diaconato in Italia n° 168
(maggio/giugno 2011)

PAROLA E SERVIZIO


Il femminile e la spiritualità
di Elisabetta Granziera


"Quel che importa è non mancare la propria vita"
Ho riportato questa espressione di Simon Weil perché mi sembra particolarmente significativa per esprimere ciò che la dimensione spirituale è per la vita di ciascuno. Non mancare la propria vita per il credente significa scoprire la propria identità spirituale: è lo Spirito che muove e guida la vita umana, che fa nascere nella Chiesa donne e uomini che sanno aprire strade nuove di spiritualità. Se guardiamo alla storia della spiritualità ci accorgiamo che è stata scritta principalmente attraverso un'interpretazione maschile condizionando anche le donne nel leggere una spiritualità "al femminile".
A volte la preoccupazione di mettere in guardia le donne contro difetti e problematiche più specificatamente maschili come l'aggressività, la violenza, l'orgoglio, la lussuria o la disobbedienza non ha aiutato a evidenziare e superare sufficientemente difetti femminili, come la timidezza, la pusillanimità, la sottomissione cieca e l'attitudine alla manipolazione. Una maggiore importanza data alla sfera intellettiva ha sminuito quella affettiva, un particolare rilievo dato al valore del metodo ha portato in secondo piano l'intuito, aver proposto uno stile di vita ascetico ha svalorizzato la mistica. Le donne sono state esortate spesso ad essere virili: era l'uomo il modello a cui far riferimento, soprattutto per quanto riguarda l'epoca martiriale.
Oggi la donna deve conoscere la sua storia di donna universale, individua propria, ritrovare la sua identità unica e differente, per poter dare il suo contributo e diventare così insostituibile, come afferma Giovanni Paolo II «È l'ora di guardare con il coraggio della memoria e il franco riconoscimento delle responsabilità alla lunga storia dell'umanità a cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini, e il più delle volte in condizioni ben più disagiate» (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29 giugno 1995).
La donna deve collocare la sua esperienza nell'ambito dell'opera e dei frutti dello Spirito, unico autore della spiritualità. È lo Spirito che dà la vita, che genera la vita, è il «frammento di vita divina nell'uomo, anzi nell'umanità che poi si specificherà come uomo e donna e fa capire che l'uomo e la donna non esistono da se stessi, ma dipendono continuamente dal soffio di Dio che li mantiene in vita»1.
Se la spiritualità può correre il rischio di sovrapporsi alla vita ordinaria, cercando in fatti "straordinari" la presenza di Dio, la straordinarietà, invece, è vivere con la possibilità di aprirci al dono dello Spirito che "imbeve" la nostra quotidianità di uomini e donne, in una tensione continua, nella possibilità di una reciprocità che ci ponga uno di fronte all'altra.
È con l'unzione crismale, sia che ci si riferisca all'iniziazione crismale, sia che si guardi al sacerdozio ordinato, che ciascun battezzato, ciascuna battezzata, partecipa al mistero di Cristo nella sua triplice funzione di sacerdote, re e profeta, così come viene proclamato nelle due formule di benedizione del crisma.
Un sacerdozio che si esprime nell'offerta di se stessi nella quotidianità: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerte, un corpo invece mi hai preparato» (Eb 10,5), con tutta la valenza di significato che il termine "corpo" ha nella mentalità ebraica. Una profezia che non è solamente chiamata per qualcuno, ma è prospettiva per tutto il popolo di Dio, già preannunciato nell'Antico testamento (Nm 11/29), portato a compimento nel Nuovo (At 2,16ss).
In questa ottica parlare di spiritualità significa parlare di «vita nuova nello spirito» dove scompare l'opposizione tra dimensione spirituale e quella corporale, tra vita e spiritualità. La spiritualità, allora, è circolazione dello Spirito nell'ordinarietà. E l'unzione, come afferma Isidoro di Siviglia nel De ecclesiasticis officiis, è la conditio sine qua non perché possiamo chiamarci cristiani.

Come hanno interpretato le donne il loro battesimo?
Guardando alla storia della spiritualità non troviamo una linea specifica, ma nella storia possiamo cogliere alcune linee di spiritualità. Nella prima età cristiana, il modello martiriale è segno della assoluta parità: il cristiano muore per Cristo e non c'è differenza tra uomo o donna, ne abbiamo testimonianza nel canone romano più antico (prima preghiera eucaristica) dove, accanto ai nomi di martiri, troviamo elencate Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia.
Nei primi secoli, soprattutto durante le persecuzioni vi era il superamento delle differenze di genere, ruoli, gerarchie varie, oltre le stesse discussioni teologiche e il culto dei martiri era la più bella testimonianza di unità della Chiesa. Come citato sopra per esempio, il nome di papi e grandi vescovi, a volte antagonisti come Cornelio, vescovo di Roma, e Cipriano, vescovo di Cartagine, entrambi martiri, sono uniti a quelli di semplici i cristiani e cristiane nell'unica uguaglianza data dal versare il sangue per il Signore Gesù per la loro fedeltà al battesimo. Ciò che conta è identificarsi con Cristo.
Significativo è il martirio di Blandina, una giovane schiava cristiana, arrestata insieme alla sua padrona nel 177 a Lione, durante una persecuzione contro i cristiani secondo gli editti dell'imperatore Marco Aurelio. Il Martyrologium Romanum riporta al 2 giugno un gruppo di 48 martiri, uccisi più o meno nello stesso tempo in odio alla fede cristiana, sia a Lione sia a Vienna, ma che comunque sono denominati "Martiri di Lione". Il loro glorioso martirio è narrato da testimoni contemporanei. Il racconto completo era contenuto in una lettera, che la Chiesa della Gallia, inviò poco dopo gli avvenimenti, ai confratelli dell'Asia e della Frigia e che lo storico Eusebio di Cesarea, incluse integralmente nella sua Historia Ecclesiastica. Il gruppo menzionato è capeggiato da S. Fotino vescovo e il secondo nome è quello di Blandina. Nonostante i timori che gli altri cristiani nutrivano sulla sua saldezza nella fede, ella dimostrò invece una fermezza straordinaria nell'affrontare il martirio, che a lei non fu risparmiato in crudeltà; ripeteva: «io sono cristiana e tra noi non c'è nessun male».

Una testimonianza attuale
Nella storia della Chiesa attuale mi ha particolarmente colpito la figura di Sorella Maria (Valeria Pignetti 1875-1961)2, animatrice di una iniziativa particolarmente significativa in ambito ecclesiale: l'eremo di Campello. Sorella Maria, detta "la Minore", entra nel 1901 nella congregazione francese della francescane missionarie, vi rimane per 18 anni portando avanti impegni particolarmente delicati e di responsabilità: direzione di opere per donne in difficoltà a Firenze e di case della congregazione ad Assisi, responsabile a Roma del laboratorio Fides per l'accoglienza di giovani senza famiglia e di una scuola per giovani trasteverine, queste ultime, anticlericali e di linguaggio duro, mettono a dura prova la pazienza di Sorella Maria.
Durante la guerra è superiora dell'ospedale angloamericano, soprattutto quest'ultimo incarico diventerà importante per il futuro impegno ecumenico. Quando, il 28 dicembre 1918, Maria è ricevuta in udienza da Benedetto XV per ottenere il consenso di lasciare la congregazione e iniziare il progetto che le sta a cuore, la vicaria generale piange e la chiama "nostro gioiello".
Maria lascia la congregazione definendo il distacco con questo paragone: «Maddalena si stacca e va ad annunziare... bisogna staccarsi da lui... per annunziare lui». Dopo aver vagato per vari luoghi Maria assieme a Immacolatella (un'orfana del terremoto di Messina che aveva accolto da francescana), a Amy Turton, anglicana, a Clelia Allegri, cieca dalla nascita (diventerà la compagna più vicina a Maria) si stabilisce nell'eremo di Campello, una località tra Spoleto e Trevi, sopra le fonti di Clitunno. All'eremo "appartiene" anche Miriam Shaw, episcopaliana, "sorella non convivente", ma considerata membro effettivo, anche se risiedente negli Stati Uniti. Miriam vive a Boston e ha trasformato la sua casa in un eremo a somiglianza di quello di Maria. Periodicamente Miriam soggiorna all'eremo di Campello e la sua intesa con Maria è profonda. L'eremo di Campello anticipa ciò che di nuovo porterà il Concilio Vaticano II nella Chiesa Cattolica: il ritorno alle fonti della Scrittura e del Vangelo, l'ecumenismo, il dialogo interreligioso, la cordialità e il rispetto verso i non credenti, l'apertura spirituale, la dignità e l'iniziativa dei laici, il primato della fraternità.
Di sorella Maria mi colpisce la sua profonda libertà spirituale che la porta a una fedeltà interiore che ha dello straordinario pur vivendo una vita ordinaria. Così Maria si esprime a proposito del sacro: «Altri trasferiscono tutta la vita nei sacramenti e negli atti religiosi. Io trasferisco i sacramenti e gli atti nella vita». Maria sente come sacra la realtà quotidiana e ordinaria dei sentimenti, del lavoro, della natura. Sacra è ogni creatura, la vita del cosmo, la musica, la poesia, la sofferenza. Particolarmente sacra è l'amicizia: «che sacramento di ogni momento è l'amicizia! Tre volte santo, è il sacramento di Gesù per eccellenza: "Non vi chiamerò più servi ma amici". Possiamo ricevere [il sacramento dell'amicizia] fino all'estremo, e sentirne il debito»3.
Certamente è stata sacra per lei l'amicizia con le innumerevoli persone che ha incontrato e accolto all'eremo o con le quali ha tenuto collegamenti epistolari (Sadhu Sundar Singh, la scrittrice anglicana Evelyn Underhill, il pastore anglicano Elwin Terrier, amico di Gandhi, lo stesso Gandhi e molte altre persone). In particolare l'amicizia con Ernesto Buonaiuti, accusato di modernismo e la cui storia ha segnato la Chiesa Cattolica italiana della prima metà del Novecento. Maria è stata l'amica spirituale di Buonaiuti, il loro incontro, avvenuto durante la prima guerra mondiale, è capitato in un momento in cui entrambi sognavano una vita cristiana più vicina alla comunità primitiva apostolica.
A Maria non interessavano le idee moderniste, ciò che le stava più a cuore era rimanere fedele alla voce dello Spirito che guida la sua vita e che Buonaiuti l'aveva aiutata a cogliere incoraggiandola a portare avanti il suo progetto; questo avveniva qualche mese prima l'incontro di Maria con Benedetto XV.

L'unzione dello Spirito
In conclusione vorrei ricordare il battesimo di Cornelio da parte di Pietro (At 10). Vorrei commentare a mio modo questo fatto raccontato negli Atti degli Apostoli e per me molto significativo. Non ci sarebbe battesimo e unzione crismale senza l'azione dello Spirito Santo. A volte ci possano essere battezzati che non vivono pienamente secondo lo Spirito e non battezzati che sono visitati dallo Spirito Santo. Cornelio viene battezzato da Pietro perché già visitato dallo Spirito (At 10, 44-46) e Paolo incontra battezzati che non conoscono Gesù (At 18,25; 19,3-4), ma che nulla impedisce che lo siano se credono in Lui. L'unzione dello Spirito precede e segue il battesimo, secondo il disegno della Grazia di Dio abbondantemente riversata su chi crede per opera di Gesù Cristo. Nella teologia tradizionale si parla del battesimo di desiderio, anche implicito, quindi potrebbe essere inteso così anche per l'unzione, si può parlare di presenza dello Spirito oltre il campo di chi è stato effettivamente battezzato.
La spiritualità di Hetty Hillesum ne è un caso eclatante. Con una vicenda simile ma anche completamente diversa nella vita da quella di Edith Stein, questa donna ha manifestato il comune fondamento: la sete di Dio che ha fatto bruciare di spiritualità la rozza baracca del campo di sterminio e la comune morte nel martirio dell'olocausto, entrambe unte dallo Spirito, testimoni eroiche dell'amore di Dio. Hetty Hillesum, giovane ebrea, nonostante il suo controverso cammino di avvicinamento a Dio è riuscita a "non mancare alla vita" che le abitava interiormente e, pur non essendo battezzata, penso possa essere accomunata alle giovani martiri romane. Così pregava dieci mesi prima di essere deportata ad Auschwitz. «Preghiera della domenica mattina. Mio Dio, viviamo tempi di terrore. Questa notte, per la prima volta, sono rimasta sveglia nel buio, con gli occhi brucianti, e immagini di sofferenza si snodavano davanti a me, senza sosta. Ti voglio promettere una cosa, mio Dio, una piccola cosa: mi guarderò dal far pesare sul momento presente, come altrettanti fardelli, le preoccupazioni che suscita in me l'avvenire. Ma questo richiede un certo allenamento. Per il momento, a ogni giorno basta la sua pena. Ti aiuterò, mio Dio, a non spegnerti dentro di me, ma non posso garantirti niente in anticipo. Tuttavia, una cosa mi appare con sempre maggiore chiarezza: non sei tu che puoi aiutarci, ma siamo noi che possiamo aiutare te e, facendo questo, aiuteremo noi stessi. È tutto quello che è possibile salvare in questa epoca, ed è anche la sola cosa che conta: un po' di te in noi, mio Dio. Forse potremo anche contribuire a riportarti alla luce nei cuori devastati degli altri» (12 luglio 1942).


(E. Granziera fa parte della Comunità Sorelle della diaconia della Pia Società di san Gaetano)



Note:
1 D. Vivian, Dio disse... in ascolto della Genesi, ed. ISG.
2 R. Morozzo Della Rocca, Maria dell'eremo di Campello, Ed. Guerini e Associati, Milano 1999.
3 Ib., p. 105.

Per continuare la lettura: M.T. Porcile, Con occhi di donna, EDB; C. Militello, La Chiesa il "corpo crismato", EDB; Id., Donna e teologia. Bilancio di un secolo, EDB; P. Lebeau, Etty Hillesum, un itinerario spirituale Amsterdam 1941 - Auschwitz 1943, Ed. Paoline.



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