Il ministero ordinato esercitato da celibi e coniugati



Il diaconato in Italia n° 168
(maggio/giugno 2011)

STUDIO


Il ministero ordinato esercitato da celibi e coniugati
di Piero Meroni


Riceviamo e volentieri pubblichiamo alcune pagine tratte da Il diacono (Ed. Aracne, Roma 2010). Il libro offre una panoramica sullo sviluppo del ministero diaconale secondo la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa e dei pontefici, cercando di evidenziarne le radici per comprenderne la specificità. ministeriale e le potenzialità di sviluppo nella vita pastorale ecclesiale e nella società. odierna. L'autore, Piero Meroni, è stato ordinato diaconato nel 2008, svolge il suo ministero nella comunità. pastorale Santa Teresa Benedetta della Croce in Lissone (MB) e ha conseguito la laurea magisteriale in Scienze Religiose presso la Pontificia Università della S. Croce.

La tradizione latina ci consegna il dato del valore riconosciuto al celibato ecclesiastico, mentre la disciplina orientale, sia cattolica che ortodossa, condivide questo carisma, ma ha conservato anche la prassi del ministero ordinato uxorato. Il processo complessivo di formazione della vita delle antiche comunità cristiane è dovuto alla compresenza di prassi liturgiche, di linee teologiche, di abbozzi della struttura ecclesiale che si preciseranno nei secoli in un percorso mai finito di fedeltà-tradizione, talvolta con cedimenti-tradimenti, delle consegne del Signore Gesù, nel suo Spirito. la Chiesa dei primi tre secoli ha mantenuto la prassi di chiamare alla cura e guida delle comunità cristiane sia celibi che sposati. La legislazione circa il celibato sarà successiva e diventerà obbligatoria solo per una parte del mondo cristiano, quello latino. Dall'epoca apostolica e dalla Chiesa antica viene confermata un'unica prescrizione riguardo lo stato di vita dei ministri, in base a cui devono essere «uomini di una sola donna», cioè mariti esemplari che amino la loro moglie senza divisione, e dei buoni padri di famiglia che sappiano condurre virtuosamente la propria casa e farsi rispettare dai figli (cf. 1Tm 3,1-12).
Secondo le indicazioni dell'apostolo Paolo nelle sue Lettere pastorali (cf. 1Tm 3,2-12; 2Tm 2,24; Tt 1,6), Clemente Alessandrino, la Didascalia degli Apostoli e molti altri testimoni confermano che il matrimonio è la situazione normale del vescovo e degli altri ministri, anche se non mancano e sono stimati i ministri ordinati celibi. La ragione di questa scelta è legata strettamente all'autocoscienza che la Chiesa primitiva aveva di sé e alle embrionali strutture che si stava dando, in continuità-discontinuità con il contesto socio-religioso dal quale era nato il cristianesimo e verso il quale si espandeva l'annuncio. Nei primi secoli, la ecclesìa, o comunità dei fedeli, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli, soleva adunarsi nella casa di qualche cristiano ospitale (cf. At 20,20-21; 11,15; 16-12-15, 19-34;18,18). È per questo che le lettere apostoliche esigono ospitalità soprattutto nei presbiteri e nei vescovi, significando, dunque, che essi devono ricevere amabilmente un cristiano che si trovi in viaggio e ospitare la comunità dei credenti nelle loro case in occasione delle adunanze (cf. 1Tm 3,2; Tt 1,7-9). Ciò esigeva nell'ospitante un contegno particolarmente pieno di attenzioni. Ai primordi del cristianesimo, perciò, la Chiesa era strettamente legata alla famiglia: non c'era ancora, come avvenne più tardi, una domus ecclesiae, una casa ceduta da qualche ricco cristiano alla comunità dei credenti, da destinare esclusivamente alle loro adunanze. Il ministero della Parola, la frazione del pane e i molteplici servizi carismatici, avevano luogo in casa. Questo legame tra vita di famiglia ed ecclesìa era talmente stretto che le buone qualità desiderate in un buon ministro ecclesiastico (vescovo-presbitero, diacono) erano quelle stesse di un buon padre di famiglia, in somma armonia con la propria moglie (cf. Tt 1,6).
L'immagine del ministro ecclesiastico del periodo apostolico ci presenta, dunque, uomini maturi, sposati, che, come padri, sono modelli nel governo della propria famiglia e, proprio per queste buone qualità, venivano eletti diaconos, presbyter, episcopos o per altre mansioni ecclesiastiche. Non si parla mai di incompatibilità e avversione verso la moglie o la sessualità in connessione con il sacerdozio1. Tale realtà, però, non va assolutizzata, quasi che l'intera vita della Chiesa primitiva si svolgesse attorno alle ecclesìe radunate nelle case dei presbiteri. Sappiamo, infatti, che esiste ed esisterà sempre la dimensione dell'annuncio "fino ai confini della terra", e anche forme di vita comune e di eremitaggio nella solitudine: insieme costituiscono il modo complessivo in cui il Corpo ecclesiale segue Cristo Signore e Capo. Esaminando lo sviluppo delle tradizioni in oriente e in occidente, si verifica che l'oriente tra il I e il II sec. conosce figure autorevoli che hanno dato personalmente l'esempio di una vita vissuta nella verginità, tra cui Giovanni Crisostomo, Basilio, Gregorio di Nazianzo, ma ciò non porta ad un cambiamento delle regole per la scelta dei presbiteri e dei vescovi, così come era stata ereditata dall'epoca apostolica.
Prosegue la linea che deprezza le seconde nozze e, di riflesso, si insiste sulle buone qualità che deve avere il ministro ordinato sposato una sola volta, a tal punto che restano esclusi dall'ordinazione gli uomini risposati, coloro la cui donna non era vergine al momento delle nozze (vedove, donne ripudiate, cortigiane). Dopo la loro ammissione nel ministero ordinato, gli uomini sposati dovevano guardarsi da ogni caduta contro la castità e coloro che si rendevano colpevoli di adulterio o di fornicazione erano deposti. Il ministri ordinati minori, ovvero quello che ricevevano solo i gradi minori in preparazione all'ordinazione, poteva accedere alle nozze, mentre i ministri ordinati maggiori non potevano più sposarsi dopo la loro ordinazione2. Circa il matrimonio contratto legittimamente prima dell'ordinazione, non c'era alcuna legge che obbligasse l'astensione dai rapporti coniugali, vivendo la continenza perfetta.

Note:
1 Cf. E. Schillebeecks, Il celibato nel ministero ecclesiastico, Paoline, Roma 1972, pp. 19-22.
2 Cf. J. P. Audet, Matrimonio e celibato nel servizio pastorale della Chiesa, Queriniana, Brescia 1966, p. 52ss.



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