La parresìa di un vescovo



Il diaconato in Italia n° 168
(maggio/giugno 2011)

ATTUALITÀ


La parresìa di un vescovo



«Non possiamo lasciare soli i giovani. Hanno diritto a parole chiarificatrici relative ai temi del corpo, del matrimonio e della famiglia. Cerchiamo una via per parlare in modo più accurato del matrimonio, del controllo delle nascite, dell'inseminazione artificiale e della contraccezione». A 81 anni, il cardinale Carlo Maria Martini, può permettersi il lusso di parlare apertamente anche di argomenti considerati tabù all'interno della chiesa. Lo fa con la libertà spirituale di cui è capace, in Conversazioni notturne a Gerusalemme, a colloquio con un confratello austriaco, il padre gesuita G. Sporschill. Perché il cristianesimo non affascina più l'Occidente? Se Gesù vivesse adesso, tratterebbe l'attuale Chiesa cattolica come a quel tempo i farisei? E poi ci sono le questioni spinose, come il sesso prematrimoniale, la pillola, i preservativi. «La Chiesa dovrebbe sempre trattare le questioni di sessualità e famiglia in modo tale che alla responsabilità di chi ama spetti un ruolo portante e decisivo». E, citando i mea culpa di Giovanni Paolo II sui temi della scienza e dell'ebraismo, si augura un ripensamento, addirittura un'«ammissione di colpa» sugli errori della Chiesa nella materia delicatissima dei rapporti familiari, come il divieto a usare i preservativi come strumenti di prevenzione.
Martini non esita a denunciare i «danni» e gli «sviluppi negativi» dall'Humanae Vitae. «La cosa più triste è che l'enciclica è corresponsabile del fatto che molti non prendono più sul serio la Chiesa come interlocutrice o come maestra. Soprattutto la gioventù nelle nostre nazioni occidentali non pensa ormai affatto di rivolgersi a rappresentanti della Chiesa per questioni che hanno a che fare con la pianificazione familiare o con la sessualità. Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa si è allontanata dagli uomini». Martini conobbe molto da vicino Paolo VI, autore dell'enciclica «della pillola», come venne poi etichettata. Nelle conversazioni di Gerusalemme, il cardinale descrive la «solitudine» di papa Montini nella stesura di quel testo da cui furono esclusi i padri conciliari.
Oggi, a 40 anni di distanza, è possibile «uno sguardo nuovo. Sono fermamente convinto che la guida della Chiesa possa mostrare una via migliore». Il cardinale – malato di Parkinson e rientrato dopo sei anni a Gerusalemme - parla del mistero del corpo, dell'uomo e della sua capacità di giudizio. Che cosa lo preoccupa di più? «Mi angustiano le persone che non pensano… Vorrei individui pensanti. Questo è l'importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti». Ben lontano da ogni intellettualismo, qui appare che cosa significa vita spirituale: significa pensare e poi decidere. Infatti «chi non prende decisioni si lascia sfuggire la vita», mentre «solo gli audaci cambiano il mondo».


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