Lettera aperta sulla carità



Il diaconato in Italia n° 168
(maggio/giugno 2011)

EMERGENZE


Lettera aperta sulla carità
di Virginio Colmegna


È la nostra storia a parlare di noi, rispondere alla questione di fondo. È una storia fatta di anni di esperienze di condivisione, di comunità, di lotta a qualsiasi forma di disagio, di innovazione sociale, partendo da una scelta umana e culturale che dà valore evangelico al camminare al fianco dei "poveri". Molti slogan sono entrati nel sentire comune ("dal volontariato alla cittadinanza", "condividere e non solo aiutare", "comunità in alternativa a istituzioni totali", "educare e non punire",...). Anni di "utopia quotidiana", vissuti per molti di noi all'interno di una Chiesa conciliare che incontra il mondo e non ha paura delle sfide che la storia ci pone. È questa la Chiesa che sentiamo possa essere viva anche oggi, che condivide (come dice il documento conciliare Gaudium et spes) le fatiche, le gioie e le speranze dei tanti che non smettono di impegnare la vita per un mondo più fraterno e più giusto. In questi anni partendo dagli "ultimi" (come recitava il famoso documento La Chiesa e le prospettive del Paese 1981) abbiamo vissuto la laicità, lo stare con tutti con lo stile della gratuità evangelica. Per noi la laicità non è un corollario, ma è il modo di essere credenti nel mondo. Le nostre realtà hanno sempre impresso questo stile di apertura, di incontro, di cammino comune con quella sete di radicalità evangelica che può e deve diventare ancora profezia di speranza e di pace.

Le sfide e i rischi
E abbiamo imparato molto da questo cammino comune (credenti e non credenti) nella condivisione di un impegno per un mondo più giusto e fraterno. Le molteplici nostre esperienze sono presenti nella società in modo laico. La divisione non è dunque tra cattolici e laici, ma tra modalità di presenza e di risposta. Rompere l'assistenzialismo, qualificare i diritti, respingere concezioni che privilegiano visioni assistenzialistiche e convivono con politiche che riducono la solidarietà a egoismi corporativi più o meno mascherati, è una scelta ancora più attuale oggi. Per questo usciamo dal silenzio.
Non possiamo ridurci ad esperienze marginali che, per sopravvivere devono essere autoreferenziali, non esprimendo tutte la potenzialità di cultura e politica che sono alla sorgente della nostra dimensione operativa che chiede innovazione. Non possiamo accettare una visione di Chiesa come istituzione arroccata solo nella difensiva, letta unicamente nella sua visione gerarchica. La condivisione con i poveri, il cammino delle tante comunità locali radicate nel territorio, oggi più che mai, hanno bisogno di visioni, di dialogo, di crescita di etiche solidali, orientate a quel bene comune che è valore fondamentale. La Chiesa sa che, se cresce nel tessuto sociale solidarietà competente e diffusa, si feconda un terreno che apre a inedite possibilità di annuncio e testimonianza. Per questo usciamo dal silenzio. Si tratta di ripensare in modo urgente al nostro compito, restituire il coraggio di una parola che acquisti in modo originale anche la sua valenza politica, senza rinunciare alla testimonianza di una fedeltà liberante al Vangelo nella condivisione con i deboli. Si tratta di educarci a un cammino di Chiesa che spinge "oltre l'emergenza" la propria utilità e convenienza, una Chiesa che sta nel mondo e che, esperta di umanità, sa entrare in modo laico nelle vicende della storia, ascoltandone tutte le fragilità e camminando a fianco dei poveri. Una religione di cui si appropriano visioni politiche per una propria utilità, pensando così di proteggere la Chiesa, non solo non ci interessa, ma ci preoccupa e rende urgente il nostro uscire dal silenzio, essere nell'oggi.
"La politica come più alta forma di carità" non è un concetto che si possa piegare a convenienza di parte. Non una politica qualsiasi, ma una politica che punta alla promozione del bene comune, partendo da questa difesa dei più deboli e di impegno per superare le ingiuste disuguaglianze sociali. Sappiamo che la politica non è altro che il riflesso della società, ma proprio per questo ci sentiamo impegnati per una vera trasformazione sociale, economica, come anche dei comportamenti quotidiani. Vorremmo contribuire ad una politica partecipata, intesa davvero come servizio, vissuta con stile di gratuità e sobrietà, come esigente responsabilità per vivere solidarietà e bene comune, per consolidare quel tessuto democratico che trova il suo fondamento di valori condivisi nella nostra carta costituzionale. Per questo non vorremmo essere "confusi" tra i tanti testimoni di una cosiddetta "bontà sociale" che solo chiedono aiuti alla politica per sostenere il proprio impegno, ma diventare attivi protagonisti e attori del cambiamento. Imprimere un nuovo ritmo alla politica, radicando lì il valore della quotidianità, che condivide e libera speranze di cambiamento promozione di legalità e coesione sociale. Non possiamo per questo correre il rischio di rinchiuderci "nel recinto" del Terzo Settore, favorendo un utilizzo strumentale del nostro impegno volontario.
Riprendiamoci la parola e ripensiamo al legame forte tra condivisione e politica, alimentati da quella tensione spirituale e contemplativa che sola è in grado di respingere la tentazione di un utilizzo strumentale della religione, per ridare anche solidità a quell'etica della responsabilità che, oggi più che mai, è fondamentale per lo sviluppo armonico ed equo del nostro Paese. Vorremmo allora ripensare al legame tra condivisione, esperienza politica e contemplazione, alimentati da quell'utopia del quotidiano che deve essere ancora la spinta del nostro operare e che può essere un grande luogo di dialogo appassionato. La grande speranza di pace e cambiamento si sostengono se non manca il lasciarci affascinare ancora dalle utopie che stanno in un quotidiano di condivisione e di fraternità.


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