Fondamenti teologici per una chiesa missionaria



Il diaconato in Italia n° 168
(maggio/giugno 2011)

APPROFONDIMENTO


Fondamenti teologici per una chiesa missionaria
di Gianni Colzani


Molti, anche cristiani, hanno l'impressione che le chiese, con il loro annuncio ed i loro sacramenti, rappresentino un'area residua di sacralità, priva di agganci reali con il mondo moderno; se mai, i valori cristiani possono costituire una comoda riserva etica a cui ricorrere nelle circostanze più gravi. Non sono pochi i cristiani che legittimano la loro presenza nel mondo moderno in base a questo "fare" samaritano, mettendo come tra parentesi la loro fede ed il loro vangelo. In realtà appartiene all'orizzonte della missione l'aver indicato una prima risposta a questo disorientamento: non una risposta alla moda ma una risposta che scaturisce dal dato fondamentale della stessa fede. Per la missione tutta la storia umana va inquadrata nel movimento di amore che dal Padre, quale sua sorgente, arriva alla storia umana attraverso il Figlio e lo Spirito. In questa prospettiva in cui tutta la storia è avvolta dall'amore di Dio, si tratta di ricercare i segni della sua attiva presenza tra noi e, animati dalla sua grazia, operare per un mondo ed una società nuova. La comprensione delle vicende umane non può essere fatta sulla base della sola sociologia o della sola politica; noi abbiamo la convinzione che una visione completa e profonda della realtà ha bisogno di essere completata con la ricerca delle dinamiche culturali e religiose; è nel quadro di una fede che sa guardare con misericordia la storia umana che riconosciamo, oltre al peso del peccato e delle strutture di peccato, anche la grandezza dell'agire di Dio e la forza di un amore che riempie il cuore di speranza.
Questa particolare coscienza della realtà, animata da qualcosa che la trascende, ci porta a ricercare con impegno i segni della presenza di Dio, a ricercarli attraverso i semina Verbi presenti e all'opera in ogni cultura, attraverso i "segni dei tempi" intrecciati alle aspirazioni umane, attraverso il sensus fidelium guidato e orientato dallo Spirito ma, anche e soprattutto, attraverso quei poveri il cui grido sale fino a Dio. Per questo guardiamo con preoccupazione l'imporsi non già di un nuovo ordine mondiale ma, piuttosto, di un sorprendente disordine mondiale, segnato da guerre e ingiustizie nel sud del mondo, da ansia e insicurezza nei ricchi paesi del nord.
Parlando di questa drammatica condizione in cui si svolge la vita di molti, il sociologo Z. Baumann ha osservato che «quella che per alcuni è una libera scelta, su altri discende come un destino crudele»; nel sud del mondo e, non di rado, anche al nord le situazioni drammatiche «crescono in maniera inarrestabile» e, conseguentemente, le persone «affondano sempre di più nella disperazione di una vita senza prospettive»1. In altre parole quello che, per alcuni, è apparentemente un destino crudele, in realtà è, per altri, una scelta ed una responsabilità. A questo giudizio severo, noi aggiungiamo la fede in Gesù Cristo salvatore di tutti; alla sua luce abbiamo imparato a guardare la realtà con occhi diversi. Sappiamo di «essere tribolati da ogni parte ma non schiacciati, sconvolti ma non disperati, perseguitati ma non abbandonati» (2Cor 4,8); dovunque portiamo in noi la forza di quel Risorto che è venuto «perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Questo non è il tempo della rassegnazione e del lamento ma del coraggio e della testimonianza: è questo che il Signore ci ha promesso ed è questo che ci ha lasciato come responsabilità. «Voi avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni [...] fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

Il dono dello Spirito e l'armatura di Saul
La lunga marcia della missione dalla periferia al centro della vita ecclesiale è da ritenersi conclusa con l'insegnamento del Vaticano II: «la chiesa peregrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae la sua origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre» (Ad Gentes 2). La missione non riguarda chi è fuori della chiesa, chi non è cristiano, ma l'intera umanità: tutti, anche i cristiani, devono accogliere il vangelo dell'amore di Dio e impegnarsi per viverlo, ognuno secondo la misura che gli è data. La missione non riguarda i pagani ma ogni uomo, battezzati compresi, perché dall'incontro del vangelo con la sua umanità sappia lasciar emergere i frutti di questa economia della incarnazione.
Ne viene la necessità di un profondo riequilibrio tra chiesa e missione: non è la Chiesa che fa la missione ma è la missione che mantiene la Chiesa a disposizione dello Spirito. Sarà soprattutto H. Berkhof a mostrare la priorità della missione sui soggetti cristiani, cioè rispetto ai discepoli ed alle comunità; scriverà che «non possiamo più a lungo concepire la missione come un semplice strumento nell'opera salvifica di Cristo, come la via attraverso la quale i potenti atti dell'incarnazione, morte e resurrezione, sono trasmessi alle generazioni successive e ai popoli più lontani. Naturalmente tutto ciò è anche vero. Ma come la trasmissione degli atti potenti, la missione è essa stessa un fatto potente come la morte e la resurrezione. Tutti gli altri atti non saranno mai conosciuti come atti potenti di Dio senza quest'ultimo: il movimento dello Spirito missionario»2
In una parola non si può considerare la missione come strumento per qualcosa d'altro; è fine, è punto di arrivo e non semplice mezzo; se non fosse così, la missione non sarebbe radicata nell'amore delle persone divine ma si collocherebbe al solo livello umano. Poiché invece Dio è amore che si dona e che fa di questo amore la sostanza della sua vita personale, libera e gratuita, anche il discepolo vive questo amore che si dona come la sostanza della sua personalità e come l'orizzonte della sua testimonianza storica. La missione non va giustificata per i suoi risultati ma è la vita cristiana stessa.
Dovremmo sempre ricordare il monito che Ap 2-3 rivolge alle sette chiese dell'Asia Minore. «chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2,7.11.17.29; 3,8.13.22). Lo Spirito parla continuamente alle chiese ma, per ascoltarlo e accoglierlo, occorre «aver orecchi», cioè occorre avere una capacità sapienziale di ascolto e di discernimento. Così noi abbiamo bisogno di comunità che «abbiano orecchi» e che «abbiano occhi»: occhi per vedere i segni dell'amore di Dio e orecchi per ascoltare il grido dei poveri. Solo allora ascoltiamo ciò che lo Spirito dice e lo lasciamo agire. Potenza d'amore, lo Spirito è la radice della exousía del Risorto (Mt 28,18), è «la presenza e l'azione di Gesù Cristo stesso, le sue braccia stese, egli stesso nella potenza della sua resurrezione»3.
Per questo, al centro della missione, non sta l'appartenenza alla chiesa ma l'appartenenza a Cristo (cf. Rm 8,9) e l'appartenenza a Cristo è appartenenza a colui «che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Naturalmente il battesimo, che ci rende di Cristo, ci introduce anche nella chiesa ma la chiesa, corpo di Cristo, è nient'altro che la comunità di coloro che hanno lo stesso Spirito e vivono lo stesso vangelo. Il limite della chiesa è che quello Spirito, che opera nella chiesa e attraverso la chiesa, opera anche al di là di essa: «semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli uomini e i popoli, guidando la chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli attraverso il dialogo» (Redemptoris missio 29). In questo modo, lo Spirito guida la chiesa alla verità tutta intera (Gv 16,13).
Ne viene una nuova comprensione di Dio, della Chiesa e della missione. Dio non è «Colui che è », non è «Essere» ma «Amore». Poiché «la carità non avrà mai fine» (1Cor 13,8), la fenomenologia dell'Amore deve sostituire la fenomenologia dell'Essere e della Potenza; se ciò che rimarrà è l'amore, allora ciò che rimarrà è la nostra partecipazione all'agápe divina e l'amore che si dona si svela come il segreto ultimo di questo mondo e di tutta la realtà. Dio è amore ed il mondo ne porta la misteriosa impronta. Nella missione la chiesa fa esperienza dello Spirito, fa cioè esperienza dell'amore del Padre: un Amore che si rivela e che, svelando la sua identità, la mostra «come incremento, come drammatica trasformazione» della realtà umana4. Proprio perché nel suo amore crocifisso Dio spalanca a sé e a noi un futuro nuovo e più grande, noi intuiamo che la missione, in quanto Amore, non è al servizio della chiesa ma è la presenza e lo sviluppo di un movimento che non coincide con la chiesa ma è inseparabile da essa5. Ne viene una chiesa che, mentre si raccoglie attorno alla eucaristia, sacramento dell'amore crocifisso, mantiene «una misteriosa relazione» (Redemptoris missio 10) con la grazia di Cristo all'opera nel mondo anche al di là dei confini visibili della chiesa; al tempo stesso, pur riconoscendo questa azione salvifica universale, la chiesa ha «una relazione singolare e unica» (RM 18) con Cristo ed il suo regno. Questa consapevolezza porterà Ch. Duquoc a parlare di «chiese provvisorie»6 o, forse meglio, di «precarietà istituzionale»7. Essenziale alla fede cristiana, la Chiesa non è fine a se stessa ma testimonianza e servizio al regno8; per questo è inserita in un movimento missionario che la supera al tempo stesso che la sostiene. Questo movimento missionario è Dio stesso nel vitale dinamismo con cui si fa dono.
Legato allo Spirito, questo movimento missionario di amore è radicalmente diverso da ogni forma di potenza umana. Un passo biblico può illustrare questa tesi meglio di ogni altra considerazione. Mi riferisco al testo di 1Sam 17,38-40 là dove Davide, deciso ad affrontare Golia, viene rivestito della armatura di Saul per combattere meglio ma è costretto a rispondere: «non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato. E se ne liberò». Andò così incontro a Golia con la sua fionda e «cinque ciottoli presi dal torrente». Questo episodio è emblematico di molti nostri atteggiamenti; pensiamo di affrontare la missione con "armature umane", cioè con soldi, studi, organizzazione, opere... e finiamo così per tralasciare il fatto che la missione è innanzitutto un'opera spirituale. Cinque sassi e una fionda cioè l'amore per la vita, per la famiglia, per la gente, per l'umanità, per gli ultimi e la carità per diffonderli.
La missione ha bisogno di uno stile evangelico che metta il discepolo di Cristo in sintonia con il suo modo di agire. Il vangelo di Matteo ci presenta in Mt 9,35-38 l'icona di Gesù evangelizzatore e, ad essa, fa seguire l'icona di una chiesa apostolica chiamata condividere la vita itinerante del maestro come pure l'ostilità che ha incontrato, i pericoli e le persecuzioni che verranno (Mt 10). Solo questa radicalità senza compromessi sarà all'altezza del compito a cui siamo chiamati e saprà anticipare la radicale decisione per il regno che risuona nel loro messaggio (Mt 10,34-42). Per questo la missione ha bisogno di vita spirituale e di preghiera, di libertà di cuore e di ricentrare la vita attorno al servizio, alla povertà e ad una coraggiosa fiducia.

La missione al centro della vita di ogni chiesa locale
La missione non è quindi uno strumento per la diffusione della chiesa che in questa diffusione si esaurisca ma è l'espressione del patto misericordioso e rivoluzionario che Dio ha voluto stabilire con l'umanità e che ha preso a realizzare nella storia umana. «Affermando che la chiesa è lo strumento della missione, diciamo una mezza verità. La relazione tra le due ha più aspetti. La Chiesa è nello stesso tempo il risultato provvisorio della missione. […] La Chiesa non può essere fine a se stessa: è lo strumento del movimento che continua. Ma come un risultato provvisorio, la Chiesa è un tipo di risultato in cui il movimento ha raggiunto il suo fine»9. Almeno in una certa misura. Una Chiesa statica ed introversa non può accogliere questo movimento e non sa viverlo con il servizio e la testimonianza. Orbene, se «la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque riempiono il mare» (Is 11,9), questo esigerà una chiesa profetica e sacerdotale capace di «aderire indefettibilmente alla fede trasmessa [...], di penetrarla più a fondo con retto giudizio e di applicarla più pienamente alla vita» (LG 12). Possiamo applicare queste tematiche a quella chiesa universale che, quale principio visibile e fondamento dell'unità delle chiese particolari, esiste «in esse e a partire da esse» (LG 23). Senza sviluppare a fondo questo discorso, vorrei solo rimandare alla Eucaristia come al momento in cui ogni Chiesa locale trova la sua origine e la sua missione.
Se «l'eucaristia è, in modo sacramentale, l'attualizzazione e il compendio dell'intero mistero cristiano della salvezza»10, allora «ovunque si celebra l'eucaristia, nessuna comunità celebrante l'eucaristia può isolarsi e ritirarsi autarchicamente in se stessa. Essa può celebrare l'eucaristia soltanto in communio con tutte le altre comunità celebranti l'eucaristia. L'ecclesiologia eucaristica non fonda perciò, ad esempio, l'indipendenza delle chiese orientali bensì al contrario la loro interdipendenza»11. Se Kasper sviluppa questa ecclesiologia eucaristica soprattutto nella linea dell'unità, accontentandosi di qualche cenno soltanto nella direzione della universalità e della cosmicità, la lettera enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003) entra decisamente nel nostro tema. In pratica il capitolo secondo L'Eucaristia edifica la Chiesa ed il terzo L'apostolicità dell'Eucaristia e della Chiesa riguardano la missione: edificare la chiesa e apostolicità sono termini chiave del linguaggio missionario.
Attraverso l'Eucaristia, infatti, «la Chiesa viene saldamente edificata e si esprime ciò che essa veramente è: una, santa, cattolica e apostolica; popolo, tempio e famiglia di Dio; corpo e sposa di Cristo, animata dallo Spirito Santo; sacramento universale di salvezza e comunione gerarchicamente strutturata»12, Basterebbero queste affermazioni a giustificare l'interesse della missiologia. Questa impressione è ulteriormente confermata dall'ultimo lavoro di Wojtyla, la lettera apostolica Mane nobiscum Domine (7 ottobre 2004). La sua quarta parte - L'Eucaristia principio e progetto di missione - è interamente dedicata al nostro tema. Il papa sostiene che l'eucaristia non fornisce solo la forza interiore della missione ma anche il suo "progetto"13. Essa, infatti, comprende un modo di essere ed uno stile di vita che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura. Qui l'interesse missionario dell'eucaristia e della ecclesiologia eucaristica che ne dipende è diventato esplicito. Ora se la liturgia «è il culmine verso cui tende l'azione della chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10), il concilio insegnerà che la celebrazione eucaristica è «la fonte della vita della chiesa» e, al tempo stesso, l'azione attraverso cui «la chiesa di Dio è edificata e cresce» (Unitatis Redintegratio 15).
In modo splendido, il testo di Presbyterorum Ordinis 5 dirà che «nella santissima eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della chiesa, cioè lo stesso Cristo nostra pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata e vivificante nello Spirito Santo, dà vita agli uomini. [...] L'eucaristia risulta così fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione»14. In una parola l'eucaristia edifica la chiesa e la edifica in termini missionari.

Una chiesa missionaria ha una pastorale missionaria
La chiesa italiana ha richiamato con forza le sue comunità a questa rinnovata coscienza di chiesa; gli orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000 ribadiscono che «la missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell'impegno pastorale ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza»15. Non si tratta solo di affermazioni di principio, ripetitive e formali, ma di precise scelte pastorali mirate a fondare un forte impegno formativo in vista di una comunicazione del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l'umanità intera.
La chiesa italiana ha tradotto queste scelte in alcuni comportamenti di fondo che bisogna avere la pazienza di coltivare dentro di sé, se si vuole entrare in sintonia con questa impostazione. Il primo chiede di «vivere da discepoli» per costituire insieme la «comunità dei discepoli» che è la chiesa. Da qui la verifica di come e di quanto il primato della parola e della evangelizzazione, il rinnovamento della catechesi e della liturgia, la testimonianza della carità e la scelta di una incisiva progettualità culturale siano passati nella nostra vita. Non manca nemmeno un richiamo sulla pesante scissione tra comunità battesimale e comunità eucaristica (n. 46); a questa se ne potrebbe facilmente aggiungere un'altra, quella cioè tra comunità domenicale e comunità realmente partecipe della vita della Chiesa. Da qui il bisogno di una pastorale missionaria, in grado di assumere «seriamente e responsabilmente» questi due livelli, mettendo gli uni a servizio degli altri16.
Un secondo, decisivo atteggiamento è quello di favorire «esperienze di vita, personali e comunitarie, fortemente ancorate al vangelo, per dare un avvenire alla trasmissione della fede in un mondo in profondo cambiamento»17. Si tratta di separarsi da una vita cristiana raccolta sul minimo, sul non fare peccati mortali; legata ad un diffuso modo di vivere, questa silenziosa svalutazione della proposta cristiana va sostituita da una vita impegnata a testimoniare il vangelo. Invece di ridurre la fede ad alcuni obblighi normativi, di stampo doveristico, occorre fare del proprio battesimo il fondamento di un cammino popolare di santità. Oggi, forse, dopo una stagione di grandi associazioni e movimenti, sembra venuto il tempo di piccoli gruppi che, come il lievito, sappiano fermentare tutta la vita del popolo.
Il terzo atteggiamento chiede che le comunità diventino «comunità animatrici di speranza». Lo esige la presenza di un diffuso catastrofismo, di una apatia e di una rassegnazione capace, al massimo, di timide forme apostoliche. Non so se è vera quella lettura che coglie dietro a tutto questo una forte diminuzione del senso del peccato; quello che è certo è che va crescendo un vivo senso di ansia e di angoscia. Per questo il documento della CEI richiama la necessità di saper trasmettere la differente coscienza della storia, propria di una personalità credente ed evangelica; incontrando il nodo della cultura, opportunità e sfida, essa abbandona l'abitudine al lamento per intraprendere la strada complessa del discernimento e della creatività pastorale. È questo che permette di cogliere la presenza di una pastorale missionaria.
Tralasciando l'affermazione delle chiese locali e della loro vitalità cattolica18, vorrei qui portare la mia attenzione su alcuni fenomeni culturali che investono le nostre chiese. Da una parte la secolarizzazione ha prodotto un mutamento profondo nelle dinamiche della vita: dal lavoro alla sessualità, dalla politica alla tecnologia. Disfacendo l'unità organica della vita battesimale, ne ha rimesso in questione il valore umanistico, salvandola soltanto come riserva di solidarietà per i più gravi bisogni. Dall'altra l'individualismo libertario, dopo aver mostrato tutta la sua povertà, ha suscitato un vivo bisogno di comunione che, banalizzato nelle forme della discoteca e della droga, ha avuto nel collettivismo marxista e nella solidarietà comunitaria del cristianesimo una più meditata risposta. La nascita della globalizzazione ha ampliato questa sfida dalla antropologia alle istituzioni sociali e politiche; la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite risulta per più versi inadeguata.
Colte nel loro versante ecclesiale, queste sfide hanno messo contemporaneamente in questione sia il valore antropologico e la sensatezza sociale della verità cristiana sia il significato e la struttura di quelle istituzioni ecclesiali che le servono. In questo modo il nostro tempo spinge sia per una verifica della ortodossia cristiana, colta nella sua capacità di orientare la vita dei battezzati e di rispondere alle ragioni dei non-credenti, sia per una verifica delle istituzioni ecclesiali, delle loro regole e della loro capacità di rispondere a queste nuove sfide. Questo toccare insieme l'ortodossia della verità e concretezza storica delle forme giuridiche in cui si presenta spiega la complessità del nostro tempo. A noi, qui, interessa il secondo aspetto, quello istituzionale. Non sfugge a nessuno la serie ampia di novità introdotte in questi decenni post-conciliari; a livello di chiesa universale o regionale sono nati i sinodi dei vescovi e le conferenze episcopali nazionali mentre, a livello locale, varie forme di consigli pastorali e amministrativi hanno provato a dare forma più partecipata ad una chiesa tradizionalmente piramidale. Poiché la missione è una realtà trasversale a tutta la chiesa, essa è intervenuta anche in queste modificazioni: sono così nate varie forme di gemellaggio e di scambio tra le chiese che hanno visto l'invio di presbiteri Fidei Donum, di volontari e di nuclei familiari, in un ambito di rinnovata progettualità ecclesiale decisamente cattolica.
«In virtù di questa cattolicità le singole parti offrono i propri doni alle altre e alla chiesa intera, così che il tutto e le singole parti traggono vantaggio dalla reciproca comunicazione di tutti e dal tendere in unità verso la pienezza. [...] Tra le diverse parti della chiesa si creano legami di intima comunione riguardo alle ricchezze spirituali, agli operai apostolici e alle risorse materiali» (LG 13). La cooperazione missionaria tra la chiesa di S. Severo (FG) e quella di Natitingou (Benin) risponde alle esigenze della testimonianza: «ognuno metta al servizio degli altri il dono ricevuto, da bravo amministratore della multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10). In un quadro di unificazione e di interdipendenza dei destini umani leggiamo questo scambio di doni come espressione dell'orizzonte cattolico della comunione ecclesiale.
Questa prospettiva non può non misurarsi con una globalizzazione che ha prodotto uno sviluppo distorto e poco sostenibile, una lettura mercantile dei rapporti tra i popoli; essa testimonia quella "interdipendenza" e quella "solidarietà" che già Sollicitudo Rei Socialis (1987) aveva indicato come chiavi di lettura della realtà. Le categorie del dono e della gratuità, abitualmente ma falsamente equiparate alla superfluità e confinate nell'inutile, sono qui introdotte per indicare attenzione all'altro e accompagnamento della sua vita; le assumiamo come quadro per ripensare la coesione comunitaria e l'impegno per una società non competitiva ma solidale19.
Applicando queste categorie ai rapporti tra le chiese facciamo un passo nuovo ma pienamente in linea con la realtà della comunione; tradurre la comunione nel dono non minimizza l'unità per spostare verso l'esterno il baricentro della comunità ma apre la comunione alla missione. La comunione non è lo star bene tra se stessi ma è aprirsi agli altri. È dono di sé, è amore. Questa apertura e questo dono dovrebbe animare e modificare addirittura la psicologia delle persone; se ne trova un esempio in Paolo quando scrive ai cristiani di Roma che nemmeno conosce: «ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io» (Rm 1,11-12). Il comunicare attraverso doni spirituali è un rinfrancare la fede personale e la comunione ecclesiale, è un crescere insieme20.

Conclusioni
Il vivere questo cammino chiede, oggi, un saper guardare lontano ed in profondità senza soccombere al senso di fallimento e di rassegnazione che non manca di entrare nei nostri cuori; non di rado il sogno di una società diversa è contrastato dalla perdita di senso e dalla diffusione di un clima materialista ed individualista. Oggi viviamo un impoverimento culturale ed un appiattimento della coscienza quotidiana, una multiformità di condizionamenti ed una frammentazione del sapere, un inaridimento burocratico della vita pubblica ed una perdita di orientamenti decisivi in quella privata che lasciano turbati. Da qui il rifugio nella scienza od il ricorso alle fedi; la sfida riguarda il nostro futuro, il futuro di tutta l'umanità.
Dobbiamo disperare? Vale la pena di rimeditare alcune parole con cui Isaia ha riassunto la sua fede in Dio; scritte durante l'esilio, in una situazione di grande oppressione, il profeta ricordava al popolo che il vangelo di Dio non è mai solo una illuminazione di quello che c'è ma è sempre una promessa di quello che ancora non c'è: «ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). La fede è sempre un cammino in avanti, un sogno che - saldando il vangelo di Dio e la nostra responsabilità - mantiene una salutare tensione tra realismo e profetismo e diventa principio di una nuova saggezza in grado di indicare una misura sobria di fronte all'anarchia dei desideri. Come un seme, questa saggezza di vita è posta dalla fede nei nostri cuori; sta a noi farla fruttificare.


(G. Colzani è presbitero della Chiesa di Milano, docente ordinario presso la Pontificia Università Urbaniana, Facoltà di Scienze della Missione e incaricato presso l'Istituto superiore di Catechesi e Spiritualità missionaria Redemptoris Missio)


Note:
1 Z. Baumann, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 4-8.
2 H. Berkhof, Lo Spirito santo e la Chiesa. La dottrina dello Spirito Santo [1964], ]aca Book, Milano 1971, p. 41-42.
3 K. Barth, Kirchliche Dogmatik, EVZ Verlag, Zürich 1940; IV,2; § 64,4.
4 K. Hemmerle, Tesi di ontologia cristiana. Per un rinnovamento del pensiero cristiano, Città Nuova, Roma 1996, p. 56. Il testo continua: «la vita è identica a se stessa nella misura in cui procede e cresce; la vita rimane vita facendosi più vita» (ivi).
5 Si veda Dominus Jesus 18 che riassume tutti i testi precedenti.
6 Ch. Duquoc, Chiese provvisorie. Saggio di ecclesiologia ecumenica, Queriniana, Brescia 1985.
7 Id., «Credo la Chiesa». Precarietà istituzionale e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 2001.
8 Basti richiamare I. Ellacuría, Recupero del regno di Dio, in Id., Conversione della chiesa al regno di Dio. Per annunciarlo e realizzarlo nella storia, Queriniana, Brescia 1992, p. 29-37. Si veda anche Tommaso - Summa Theologica III, q. 68, a. 2, in corpus - che, trattando la problematica del desiderium Baptismi per coloro che non possono riceverlo sacramentalmente, lo spiega come una realtà quod procedit ex fide per dilectionem operante e rimanda ad un agire salvifico per mezzo del quale Deus interius hominem sanctificat ma la cui forza sacramentis visibilibus non alligatur.
9 H. Berkhof, Lo Spirito santo e la Chiesa, op. cit., p. 46. Le stesse affermazioni si ritrovano in C. Geffré. Parlando della enciclica Redemptoris Missio scrive: «sembra dunque che, nonostante certe esitazioni, l'enciclica superi la vecchia problematica del fine e dei mezzi, come se l'unico fine della missione fosse di liberare gli uomini dalla morte eterna e come se la Chiesa della terra fosse il mezzo esclusivo per raggiungere questo fine soprannaturale» (C. Geffré, L'evoluzione della teologia della missione dalla Evangelii Nuntiandi alla Redemptoris Missio, in Aa.Vv., Le sfide missionarie del nostro tempo, EMI, Bologna 1996, p. 69-70).
10 W. Kasper, Unità e molteplicità degli aspetti dell'Eucaristia. In merito al recente dibattito su figura e senso fondamentali dell'Eucaristia, in Id., Teologia e Chiesa. I, Queriniana, Brescia 1989, p.332.
11 Id., L'Eucaristia sacramento dell'unità. Sull'intima unione fra l'Eucaristia e la Chiesa, in Id., Sacramento dell'unità. Eucaristia e Chiesa, Queriniana, Brescia 2004, p. 149.
12 Ecclesia de Eucharistia 61.
13 Per un approfondimento si veda G. Colzani, L'Eucaristia, mandato del Kurios per una Chiesa missionaria. Approccio teologico, in Ballan R (ed.), Il banchetto dei popoli. Eucaristia e Missione, EMI, Bologna 2005, p. 25-34.
14 Presbyterorum Ordinis 6 completerà questo discorso, dirà che «la celebrazione eucaristica, per essere sincera e piena, deve condurre sia alle diverse opere di carità ed al reciproco aiuto sia all'azione missionaria e alle varie forme della testimonianza cristiana».
15 CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per il primo decennio del 2000 (20 giugno 2001), n. 32.
16 Il rischio di questa chiesa a due velocità - il piccolo gruppo impegnato e una massa statica - è all'origine di un blocco dell'evangelizzazione, con la conseguente riduzione della pastorale alla gestione ordinaria. Una catechesi protetta e l'amministrazione dei sacramenti assorbono la gran parte delle energie mentre l'annuncio del vangelo, delegato ad alcuni, viene sostituito dall'etica e dalla ricerca di un benessere psico-spirituale, di stampo terapeutico più che soprannaturale.
17 CEI, Comunicare il vangelo, n. 45.
18 G. Colzani, L'apertura universale delle chiese locali. Dall'accoglienza del vangelo alla sua comunicazione "ad gentes", in Ad Gentes. Teologia e antropologia della missione 6 (2002) 249-263; A. Cattaneo, La priorità della chiesa universale sulla chiesa particolare, in Antonianum 57 (2002) 503-539. In quest'ultimo articolo si riprendono i testi di Lumen Gentium 23, di Communionis Notio e di Apostolos Suos.
19 Il tema del dono come fondamento di una società fraterna ha la sua prima trattazione in M. Mauss, Essai sur le don, in Id., Sociologie et Anthropologie, PUF, Paris 1976, p. 143-279. In termini meno sociali e più filosofici si veda ]. Derrida, Donare il tempo. La moneta falsa, R. Cortina, Milano 1996.
20 Motivando questo scambio in vista dell'uguaglianza, Paolo intende qualificare la forza di un amore fattivo e non una soluzione ad un problema economico; per questo, prendendo lo spunto da Cristo, che da ricco che era si è fatto povero, sostiene che «non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza e vi sia uguaglianza» (2Cor 8,13-14).


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