Diaconi per una parrocchia dal volto missionario



Il diaconato in Italia n° 168
(maggio/giugno 2011)

ANALISI


Diaconi per una parrocchia dal volto missionario
di Enzo Petrolino


In uno dei passaggi fondamentali della nota pastorale della CEI dal titolo Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30/5/2004; n. 5) si legge: «Il futuro della chiesa in Italia, e non solo, ha bisogno della parrocchia. È una certezza basata sulla convinzione che la parrocchia è un bene prezioso per la vitalità dell'annuncio e della trasmissione del Vangelo, per una chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare. Essa è l'immagine concreta del desiderio di Dio di prendere dimora tra gli uomini». Con questa nota - dicono i vescovi nell'introduzione al documento - «non si è voluto neanche fare una riflessione generale sulla parrocchia, ma solo mettere a fuoco ciò che è necessario perché essa partecipi alla svolta missionaria della chiesa in Italia di fronte alle sfide di quest'epoca di forti cambiamenti».
E più avanti parlando del segno della fecondità del Vangelo nel territorio, i vescovi sottolineano che la presenza della parrocchia si deve esprimere anzitutto «nel tessere rapporti diretti con tutti i suoi abitanti, cristiani e non cristiani, partecipi della vita della comunità o ai suoi margini. Presenza nel territorio che vuoi dire sollecitudine verso i più deboli e gli ultimi, farsi carico degli emarginati, servizio dei poveri, antichi e nuovi, premura per i malati e per i minori in disagio» (n. 10). Di questa presenza i primi responsabili sono i parroci ed i diaconi ai quali - come si esprime l'episcopato italiano - bisogna affidare ambiti ministeriali, «secondo una figura propria e non derivata rispetto a quella del presbitero, nella prospettiva dell'animazione del servizio su tutti i fronti della vita ecclesiale» (n. 12). Vediamone alcuni di questi impegni.

I diaconi a servizio del popolo di Dio
«Nell'esercizio del suo ministero, il diacono aiuta gli altri a riconoscere e a valorizzare i propri carismi e le proprie funzioni nella comunità; in tal modo egli promuove e sostiene le attività apostoliche dei laici»1. Il rapportarsi del diacono ai laici nasce dal fatto che egli attraverso la grazia sacramentale è abilitato a recepire le varie necessità, facendo emergere e suscitando servizi e ministeri nel popolo di Dio. Tale posizione che vede il diacono a servizio del popolo di Dio implica che «il diacono, anche se da un lato appartiene al clero in quanto ha ricevuto una ordinazione, dall'altro condivide la vita dei laici i quali lo sostengono come appartenente a loro»2. Da questa realtà il ministero del diacono, partecipando del sacramento dell'ordine, ha tra i fedeli un'autorevolezza analoga a quella del presbitero; ma nello stesso tempo egli, partecipando della condizione comune del popolo, condivide e comprende i problemi di tutti, aiutando anche i presbiteri in tale comprensione. Certamente il ritmo eccessivamente dinamico e talvolta alienante che caratterizza la nostra società e le nostre comunità ecclesiali svuota della loro carica umana i contatti personali e diretti con la gente, per ridursi ad un caotico incrociarsi di rapporti secondari, senza più punti di contatto e senza possibilità di uno scambio vitale di esperienze e di collaborazione.

Il volto umano è deturpato dall'anonimato
Queste difficoltà sono oggi presenti anche nelle nostre realtà parrocchiali, dove le nostre comunità si avviano verso un anonimato senza volto, verso incontri prevalentemente di massa e talvolta solo formali, privi del contatto umano e personale. È una crisi di comunicazione, perché la gente oggi non fa più riferimento alla parrocchia per ricevere una formazione adeguata.
«Solo una comunità accogliente e dialogante può trovare le vie per instaurare rapporti di amicizia e offrire risposte alla sete di Dio che è presente nel cuore di ogni uomo. Oggi si impone la ricerca di nuovi linguaggi, non autoreferenziali e arricchiti dalle acquisizioni di quanti operano nell'ambito della comunicazione, della cultura e dell'arte. Per questo è necessario educare a una fede più motivata, capace di dialogare anche con chi si avvicina alla Chiesa solo occasionai mente, con i credenti di altre religioni e con i non credenti. In tale prospettiva, [...] è necessario che in ogni comunità l'approfondimento di una fede consapevole, abbia piena cittadinanza nel nostro tempo, così da contribuire anche alla crescita della società»3.
L'unico momento nel quale il presbitero può raggiungere i suoi fedeli è quello della messa domenicale. Momento che lascia poco spazio al dialogo spontaneo e costruttivo. In questo senso il diaconato ed il suo esercizio devono essere visti in relazione ad una chiesa che cresce nella consapevolezza di essere missionaria. Un impegno che deve fare decollare la pastorale oltre la semplice conservazione dell'esistente, per farla aprire in maniera coraggiosa alle nuove sollecitazioni che provengono dalla società.

Nei caseggiati, nelle famiglie, negli ambienti di lavoro e studio
Negli Orientamenti pastorali della chiesa italiana per il decennio 2070/2020, un paragrafo è dedicato alla parrocchia come crocevia delle istanze educative (n. 41). Si dice nel documento che «la parrocchia - Chiesa che vive tra le case degli uomini - continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l'educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti; favorisce lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni; dialoga con le istituzioni locali e costruisce alleanze educative per servire l'uomo. Essa è animata dal contributo di educatori, animatori e catechisti, autentici testimoni di gratuità, accoglienza e servizio. La formazione di tali figure costituisce un impegno prioritario per la comunità parrocchiale, attenta a curarne, insieme alla crescita umana e spirituale, la competenza teologica, culturale e pedagogica. Questo obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita a una "pastorale integrata" secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze, come già avviene in talune sperimentazioni avviate a livello diocesano». Il servizio del diacono può dare un prezioso contributo nel contesto di una pastorale improntata alla concretezza dei rapporti interpersonali immediati, in modo tale da consentire la "condivisione" di ogni gioia e di ogni dolore. Proprio per questo i vescovi, nel documento Norme e direttive, affermano che si «ritengono più confacenti al ministero diaconale le comunità di non grande dimensione, dove l'autenticità dei rapporti umani facilita l'esercizio della carità e del servizio». I vescovi italiani auspicano una trasformazione delle nostre comunità parrocchiali così che, «articolandosi in comunità minori, acquistino una più profonda fisionomia comunitaria, e quindi un maggior slancio nell'evangelizzazione capillare, diretta a tutti».

Le comunità minori sono cellule di un corpo rinnovato
Da tutto ciò emerge che il diacono, come sua caratteristica di servizio, è chiamato ad animare capillarmente le comunità ecclesiali. Esigenza che in questi anni non ha dato vita, se non sporadicamente, a comunità ecclesiali "cellulari" nel senso espresso dal documento di Paolo VI Evangelii Nuntiandi (n. 58), in cui si dice che queste comunità «nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire […]», riunendo così «per l'ascolto e la meditazione della Parola, per i sacramenti e il vincolo dell'Agape, gruppi che l'età, la cultura, lo stato civile o la situazione sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti, ecc.; persone che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l'aiuto fraterno ai poveri, per la promozione umana».
Questa articolazione della comunità parrocchiale consentirebbe rapporti immediati, comunione di vita, testimonianza di carità. Pertanto i diaconi possono promuovere la convergenza di tutti i bisogni concreti e dei corrispondenti servizi nella comunità parrocchiale. Quindi, come il popolo di Dio, i diaconi vivono e realizzano la loro missione secondo il contesto storico concreto in cui si svolge il loro ministero. Questa impostazione pastorale significa, inoltre, come dice Papa Benedetto, «promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione» da realizzare nei quartieri, nei caseggiati, nelle famiglie, nelle zone territoriali più lontane dalla parrocchia, portando alla graduale trasformazione organizzativa della comunità, nella quale acquistano maggiore rilevanza le diverse componenti del popolo di Dio. La nascita di gruppi interfamiliari guidati ed animati dal diacono soprattutto mediante la lettura ed il confronto con la Parola di Dio farà emergere i diversi aspetti della vocazione ecclesiale, cioè la comunione, il servizio e la testimonianza, che dovranno poi necessariamente confluire nei Consigli pastorali parrocchiali, strumenti di armonizzazione e di corresponsabilità evangelica. Ora questa prospettiva che vede il diacono operare a fianco del presbitero apre varie ipotesi di servizio: il diacono impegnato come promotore della carità orientato verso i più poveri, sia che si tratti di povertà economica, morale o spirituale. Tale orientamento implica condivisione, scelta preferenziale per i più poveri che si deve tradurre in scelta di "povertà effettiva". «La scelta preferenziale e il farsi povero non comportano soltanto l'elezione dei poveri come soggetti privilegiati dell'opera di salvezza, ma anche guardare a Dio, al mondo e alla storia dalla loro angolatura. Un Dio che comanda l'elemosina e l'aiuto ai poveri può anche piacere, ma un Dio che chiede di mettersi nella loro condizione è scomodo e provoca scandalo»4. Questa preferenza si deve tradurre in una ricerca di coloro per i quali il bisogno è più urgente, quindi nel compito dell'intera comunità cristiana «di saper leggere con sapienza i segni dei tempi, nella prospettiva di quel grande orizzonte di speranza che è proposto dall'Apocalisse, lo faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5), immagine-guida per il 3° convegno della chiesa italiana di Palermo»5. Soprattutto i malati per i quali la sofferenza è vinta dall'amore6 e l'amore esige innanzitutto concretezza: il diacono, animatore della liturgia e particolarmente delle celebrazioni domestiche della Parola; il diacono animatore dell'azione educativa nelle sue varie articolazioni (bambini, giovani, adulti) o nelle sue varie occasioni (celebrazione dei sacramenti). L'esistenza di rapporti personali immediati costituisce il terreno più favorevole per una attenzione alle esigenze delle persone e dei gruppi umani, e per dare spazio quindi alla corresponsabilità dei fedeli, nell'esercizio di servizi e ministeri diversi, in conformità dei loro carismi. I vescovi ritengono «importante che le parrocchie, articolandosi in comunità minori, acquistino una più profonda fisionomia comunitaria e quindi un maggior slancio nell'evangelizzazione capillare, diretta a tutti»7. Questa direttiva pastorale di particolare importanza trova delle indicazioni più puntuali sia nel documento col quale i nostri Vescovi hanno deciso la restaurazione del diaconato8 che nel piano pastorale per gli anni settanta su Evangelizzazione e ministeri9. In questo contesto bisogna ricordare le interessanti esperienze avviate in alcune diocesi d'Italia, dove la realizzazione dell'articolazione delle parrocchie in comunità ecclesiali di base ha favorito la nascita di zone di influenza territoriale chiamate diaconie.


Nelle comunità senza presbitero
Uno dei fenomeni dell'attuale momento storico ecclesiale è la diminuzione del numero dei presbiteri e, conseguentemente, il progressivo moltiplicarsi di comunità parrocchiali senza la presenza del presbitero. Anche se la restaurazione del diaconato nella chiesa non nasce da motivi dovuti alla scarsità di vocazioni presbiterali, i vescovi italiani, nel delineare gli spazi dove il diacono può esercitare il suo ministero, dicono primariamente che esso si caratterizza come servizio attivo nel piano pastorale diocesano e come apertura e disponibilità per i bisogni dell'intera chiesa particolare. Ciò non toglie dunque che il diacono possa essere anche impegnato nelle comunità parrocchiali senza presbitero residente. Davanti a tali situazioni la Chiesa non è rimasta indifferente: sia da parte dei vescovi sia da parte delle stesse comunità cristiane si è avuta una certa preoccupazione tesa ad assicurare soprattutto la tradizione cristiana della Domenica, come giorno del Signore.

Il senso forte di ogni liturgia
Questo per ribadire primariamente che i cristiani, in tale giorno, si riuniscono con il Risorto da cui sempre viene l'iniziativa della convocazione. Questo incontro, fondamentalmente, è la celebrazione dell'eucaristica. Quando però non può aver luogo questa pienezza sacramentale, è tuttavia possibile incontrarsi con il Signore attraverso altre forme della sua presenza reale nella Chiesa: la parola di Dio, l'assemblea stessa dei credenti. Una risposta in tal senso è stata data dalla Congregazione per il Culto Divino con la pubblicazione del Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero (n. 35). Si tratta in ogni caso di proporre alcune celebrazioni alternative alla Messa domenicale, affermando chiaramente che l'assenza del presbitero non è una semplice questione legata alla mancanza di tempo dei sacerdoti. Da tutto ciò derivano delle conseguenze di tipo pastorale. La prima è l'urgenza dello sforzo perché non manchi l'Eucaristia ogni Domenica.
La seconda conseguenza è la valorizzazione della Domenica come "festa primordiale". Se la Domenica continuerà a dare l'impressione di essere un giorno "festivo" aperto a qualsiasi celebrazione, un giorno scevro di qualsiasi contenuto, ciò dimostrerà che non si è fatta una corretta pastorale della Domenica come «celebrazione settimanale della Pasqua del Signore» (CEI, Il giorno del Signore). È precisamente questo contenuto a unire strettamente la Domenica con l'Eucaristia10.

L'insoddisfazione religiosa
La preoccupazione pastorale odierna nasce da un elemento drammatico della nostra società: la solitudine dell'uomo e l'insoddisfazione delle sue profonde aspirazioni, tra cui quelle religiose. Nella società odierna, la Domenica è minacciata, da un problema sempre più diffuso: la progressiva secolarizzazione e la crescente scomparsa della Domenica come giorno festivo. È una sfida che si fa prepotente nel nostro paese. Un apporto qualitativamente diverso al problema delle comunità che non possono celebrare l'Eucaristia è dato dalla presenza del diacono non certamente perché il diacono possa celebrare l'eucaristia, ma piuttosto perché la sua presenza è presenza di un pastore della Chiesa, chiamato a pascere il popolo di Dio e farlo crescere. Egli è il primo collaboratore chiamato a presiedere queste celebrazioni domenicali11.
Orientamenti e Norme sviluppa il rapporto di reciprocità e lo stretto legame tra condizione del diaconato e condizione di chiesa, tra modello di diaconato e modello di chiesa, mettendo in risalto non solo che la presenza del diaconato può favorire un cammino di chiesa più vivace e fecondo nella missione, ma anche un percorso inverso, cioè che «il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministro ordinato sia chiamato ad animare e a guidare - non a sostituire - la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio» (ON 9).


Nelle parrocchie affidate in solidum
Una rilevante conseguenza pratica viene dedotta dal fatto che il «diacono può essere impegnato anche nelle comunità... affidate in solidum ad un gruppo di sacerdoti, per la cura di quegli ambiti che sono propri del ministero diaconale» (ON 44). In questi anni stiamo assistendo ad una trasformazione della pastorale che coinvolge il volto della parrocchia che deve adeguarsi ad un mondo che cambia, senza perdere di vista la propria identità e la sua tipica originalità di "laboratorio" di prima e nuova evangelizzazione.
Quando si parla di "unità pastorali"12, si parla di un nuovo modo di rapportare la parrocchia con il territorio che la abita. È ormai riconosciuto alla parrocchia il carattere di fondamentale articolazione della chiesa e del suo ministero, per riferimento alle forme quotidiane della vita cristiana. Essa è il luogo "ordinario" della celebrazione eucaristica, sorgente e forma della comunità ecclesiale, luogo della catechesi di iniziazione cristiana. Il suo carattere "territoriale" la presenta come "luogo" di vita cristiana, per tutti i fedeli, "casa comune" per tutti, che non indulge a criteri elitari di scelte e dedica una cura particolare a chi appare più povero, più emarginato e più lontano.

L'ecclesiologia del Vaticano II
Tuttavia, il carattere "rigorosamente" territoriale della parrocchia è oggi messo in discussione dalle mutate condizioni sociali. La gente oggi vive in una mobilità sociale e in una quantità di situazioni e di ambienti che travalicano il raggio dell'azione pastorale "normale" delle nostre parrocchie. La nascita ed i motivi che hanno determinato la costituzione delle Unità pastorali sono da ricercarsi: a. nella scarsità di presbiteri, - quindi una congiuntura storica; b. nella necessità di promuovere una pastorale coordinata, cioè una "pastorale d'insieme". Certamente il progetto delle Unità pastorali non può essere riconducibile solo al problema della diminuzione numerica dei presbiteri e conseguentemente della loro ridistribuzione sul territorio: la motivazione più profonda è da ricercare nell'ecclesiologia del Vaticano II che ci ha offerto una visione di Chiesa nella quale deve essere promossa ed attuata la partecipazione e la corresponsabilità di tutti i fedeli, secondo il principio «dell'unità di missione nella diversità dei ministeri, degli uffici e delle funzioni». Tutto questo significa riscoprire da una parte la vocazione missionaria della Chiesa e dall'altra la comunione per una pastorale d'insieme, cioè lavorare insieme riconoscendo i carismi ed i ministeri presenti nella comunità cristiana e impostando in una maniera nuova il servizio pastorale13. Questa rinnovata visione porta necessariamente a ripensare la pastorale parrocchiale ed in particolare il suo animatore. Si tratta in definitiva di affidare, in solido, la cura pastorale di più parrocchie o comunità cristiane situate in una area omogenea territoriale ad uno o più presbiteri coadiuvati da diaconi, religiosi e fedeli laici. In solidum significa che è affidata ad ogni membro del gruppo l'attività pastorale delle comunità parrocchiali interessate, attività da svolgere in comunione con tutti gli altri. Tutta la linea di azione pastorale e l'affidamento dei vari compiti e servizi saranno coordinati da un "moderatore", così come viene chiamato dal Codice di Diritto Canonico14, colui che ha la responsabilità ed informa stabilmente il vescovo.

In attesa di una comunità aperta
È evidente che con le Unità Pastorali non si vuole affermare il superamento della parrocchia intesa tradizionalmente come "comunità territoriale", ma si ha il superamento della sua autonomia, passando da una parrocchia chiusa in se stessa ad una comunità parrocchiale aperta, in un contesto di comunione e di coordinamento dell'azione pastorale. Risulta quindi necessario "riequilibrare" l'azione pastorale, spostando il baricentro della parrocchia intesa in senso "autoreferenziale" («tutta concentrata all'ombra del campanile») verso la prospettiva tipicamente "missionaria", intesa come normalità quotidiana e dimensione costante della cosiddetta "pastorale ordinaria".

Presbiteri e diaconi
Gli ambiti di azione comune possono essere individuati nei rapporti con la società civile, le iniziative di volontariato, la pastorale d'iniziazione cristiana e sacramentale in genere, la formazione degli operatori pastorali, la pastorale giovanile. Conseguentemente si pone un problema molto delicato, cioè quello del rapporto tra i presbiteri e i diaconi. Da una parte i parroci devono avere la possibilità di ripensare al proprium originario del loro ministero: dedicazione alla preghiera e al ministero della Parola. Una delle conseguenze che hanno dato origine alla scomparsa del ministero diaconale è stata proprio la difficoltà nel rapporto tra ministero diaconale e ministero presbiterale. L'esperienza concreta di modelli di comunione e di buon rapporto tra questi due ministeri ordinati può favorire certamente la promozione del diaconato nelle nostre comunità locali. Mi piace concludere con le parole dei vescovi italiani che parlando della dimensione missionaria dell'azione educativa affermano, facendo riferimento ad Atti 1,8, che «è lo Spirito a formare la Chiesa per la missione, la testimonianza e l'annuncio. Grazie alla sua forza, la Chiesa diventa segno e strumento della comunione di tutti gli uomini tra loro e con Dio, manifesta l'amore fraterno da cui ciascuno può riconoscere i discepoli del Signore (cf. Gv 13,35) e proclama in ogni lingua le grandi opere di Dio tra i popoli (cf. At 2,9-11)» (EVB 24). Dunque l'azione educativa, assunta da vescovi italiani come prioritaria per il prossimo decennio, necessita di luoghi credibili15: anzitutto la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola, orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, "fontana del villaggio", luogo ed esperienza che inizia alla fede nel tessuto delle relazioni quotidiane. In ognuno di questi ambiti l'apporto della qualità del ministero dei diaconi, diventa una delle vie privilegiate della missione evangelizzatrice della diaconia della Chiesa.


Note:
1 CEI, La restaurazione del diaconato permanente nella chiesa italiana, Roma 8/12/1971; n. 26.
2 Comunicato conclusivo l° Convegno Nazionale Delegati vescovili organizzato dalla CEI, Roma 15-17 marzo 1982, in Il diaconato in Italia, n. 48, luglio 1982.
3 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo (EVB), Orientamenti pastorali dell'Episcopato Italiano per il decennio 2010/2020, n. 41.
4 Caritas italiana, Lo riconobbero nello spezzare il pane, Carta pastorale (16 aprile 1995), n. 5, EDB 1995.
5 CEI, Con il dono della carità dentro la storia, Nota pastorale a conclusione del III Convegno ecclesiale "Il Vangelo della carità per una società in Italia" (Palermo, 20-25/11/95).
6 Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, Lettera Apostolica sul senso cristiano della sofferenza umana (11 febbraio 1984), n. 14.
7 CEI, Norme e Direttive, per l'applicazione del documento la Restaurazione del diaconato permanente nella Chiesa italiana, 1972.
8 Cf. CEI, Restaurazione del diaconato permanente nella Chiesa italiana, dove si dice che «anche nella chiesa italiana è sentita l'esigenza di una promozione comunitaria del popolo di Dio e di una più diffusa evangelizzazione, mediante una presenza pastorale capillare» (n. 16) ed ancora «Vi sono numerosi esempi di parrocchie articolate in comunità minori, in cui uomini pieni di zelo già esercitano un ministero di animazione con spirito di servizio, sicché appare opportuno che l'ordinazione diaconale conferisca ad essi la grazia sacramentale corrispondente» (n. 19).
9 Cf. CEI, Evangelizzazione e ministeri, 1977. Queste direttive trovano conferma quando i vescovi dicono che «il diaconato concorre a costituire la Chiesa e a darne una immagine più completa e più rispondente al disegno di Cristo, e più in grado, per interna e spirituale potenza, di adeguarsi ad una società che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa, nei piccoli gruppi, nei quartieri nei caseggiati. Le esperienze finora attuate in alcune diocesi sono esemplarmente promettenti e in via di felice sviluppo» (n. 60).
10 Cf. Paolo VI, Discorso ad un gruppo di vescovi della Francia in visita ad limina, 26 marzo 1977, in AAS 69 (1977) 465.
11 Cf. CEI, Il diaconato permanente in Italia. Orientamenti e Norme, n. 41
12 Cf. V. Grolla, Unità pastorali nel rinnovamento pastorale parrocchiale, Edizioni Dehoniane, Roma 1996. Sulle UP cf. anche Id., L'agire della Chiesa. Lineamenti di teologia dell'azione pastorale, Edizioni Messaggero, Padova 1995; G. Capraro, "Unità pastorali" tra sociologia e teologia, in Il Regno - Attualità, 38 (1993) 629-630. Cf. ancora C.M. Martini, Le unità pastorali. Omelia del Cardinale Arcivescovo nella Messa Crismale del Giovedì santo, Centro Ambrosiano, Milano 1994, p. 22.
13 Cf. A. Montan, Unità pastorali: contributo per una definizione, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, n. 2 (1996) 139-163.
14 Cf. Codice di Diritto Canonico, Unione Editori Cattolici Italiani, Roma 1983. Il can. 517 § 1 precisa che la condizione per affidare in solido la cura pastorale di una o più parrocchie è che uno dei presbiteri «sia il moderatore nell'esercizio della cura pastorale, tale cioè che diriga l'attività comune e di essa risponda davanti al Vescovo».
15 Cf. Benedetto XVI, Discorso alla 61^ Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 27 maggio 2010.


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