Partecipazione, responsabilità, legalità



Il diaconato in Italia n° 167
(marzo/aprile 2011)

RIFLESSIONI


Partecipazione, responsabilità, legalità
di Roberto Davanzo



«I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale… Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto… Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria... Sono ingiuriati e benedicono, sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani... Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare» (dalla Lettera a Diogneto).

La radice evangelica della Lettera è Rm 13,1-8:
1. Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio.
2. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna.
3. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode,
4. poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male.
5. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza.
6. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio.
7. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto.
8. Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge.

La lealtà dei cristiani
Una domanda fa da sfondo a questa riflessione: come agivano i cristiani della prima ora nei confronti della società del loro tempo? In che modo erano sale e luce? Su quali basi fondavano il loro agire nei confronti di una società pagana spesso ostile e soprattutto incredibilmente distante dai valori proposti dalla fede cristiana? Il brano ci aiuta a ricostruire ambiente e atteggiamenti di fondo dei cristiani nei confronti dell'autorità statale che, al tempo di Paolo era rappresentata dall'Impero romano. Sorprende certamente l'invito esplicito alla sottomissione all'autorità imperiale esistente e il riconoscimento del suo compito come servizio reso a Dio.
Forse le persecuzioni non erano ancora esplose, forse Paolo voleva accreditare la buona fama della nascente comunità cristiana, evitando di essere vista come movimento rivoluzionario, piuttosto che come setta esoterica. È interessante il v. 7 «rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto», dove comunque Paolo distingue sottilmente tra coloro che devono accontentarsi di un tributo e Colui cui si deve invece timore, ovvero ossequio religioso (cf. il passo parallelo di Mc 12,17: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e [ma] a Dio»); richiama anzitutto l'atteggiamento del cristiano che da un lato è chiamato a non estraniarsi dalla vita sociale corrente (proprio come il suo Maestro), a condividerne quindi tutti gli aspetti praticabili, senza creare inutili distanze o isolamenti, dall'altro, non potrà mai attribuire diritti assoluti alla legge o all'autorità dalla quale essa promana (è il rifiuto dell'idolatria dello stato).
Questo atteggiamento vale per l'autorità, ma anche per le regole sociali correnti: queste non vanno in linea di principio negate, dal momento che il cristianesimo non costituisce "una società nella società", un mondo a sé stante, isolato dalla storia in nome del Vangelo, così da poteri o vivere in modo "puro" (il sale che pretende di conservarsi rimanendo per sempre... nella saliera!); quando questo succede - e nella storia questa tentazione è tornata spesso - il cristiano finisce per esprimere sfiducia per l'uomo, quasi che per affermare convenientemente Dio occorra svalutare tutto ciò che è umano; ma questo equivarrebbe a negare l'Incarnazione, la presenza viva del Dio della storia, che si fa carico dell'umanità così com'è, che è logica fondamentale della missione di Gesù.
All'opposto, occorre evitare l'entusiasmo di chi pretende di instaurare, già qui sulla terra, una storia di "regno di Dio" in miniatura: una società perfetta, in cui il cristianesimo verrebbe a identificarsi con un progetto di liberazione sociale; questo negherebbe la trascendenza del regno di Dio, che promuove la storia e la rinnova dall'interno, ma non coincide mai con le sue realizzazioni; il regno rimane puro dono di Dio, novità assoluta, sua sorpresa inafferrabile, cui siamo chiamati a collaborare, ma che «scende dall'alto» (cf. Ap 21,2), che va costantemente invocato (cf. il Padre nostro) e viene da Lui, che non sarà mai identificabile con un nostro manufatto, con una nostra produzione.
Un "posto" per la politica entro il Piano di Dio? La fede cristiana, pertanto, sa valorizzare quanto di apprezzabile vi è già nella storia degli uomini, cogliendone anzi aspetti inediti. Il credente, per Paolo, sa scorgere addirittura entro l'agire dell'autorità politica e sociale un ruolo, un posto, un servizio reso, ultimamente e inconsapevolmente, al regno di Dio (si vedano le affermazioni "scandalose" di Rm 13,4-6 circa l'autorità, "funzionario" di Dio).
Nel piano salvifico di Dio c'è posto anche per l'autorità terrena, le sue disposizioni e le sue leggi. Per questo il cristiano è leale non soltanto per ragioni di necessità, di opportunità sociale o di pura convenienza esteriore, «ma anche per ragioni di coscienza» (cf. Rm 13,5) radicate nella propria fede, e si impegnerà perché tutti vivano l'agire sociale, civile, come questione di "coscienza". Un agire che provenga da una moralità profondamente iscritta nel vissuto e non da rispetto formale di regole esteriori soltanto (le tasse vanno pagate, non solo per paura di incorrere in sanzioni, ma convinti che sono un modo per edificare il regno di Dio).
Di norma, pertanto, agli obblighi sociali si risponda positivamente, in pienezza e con convinzione; ciò non escluderà che, in forza della fede stessa, qualora l'adesione richiesta fosse contraria al bene (la ragione per cui è posta l'autorità civile: cf. Rm 13,4) o si opponesse all'annuncio del regno di Dio o all'esistenza stessa della comunità cristiana, l'obbedienza dovrà trasformarsi allora in rifiuto o in diretta opposizione (v. l'obiezione di coscienza).
Ma la lealtà del cristiano-cittadino nei confronti dello stato si manifesta anche attraverso i meccanismi di partecipazione. Il dato attuale parla della crisi dei percorsi partecipativi un po' a tutti i livelli. Il volontariato è certamente punto di partenza per quanti desiderano partecipare alla vita sociale, anche se partecipazione non può identificarsi con un'esperienza magari sporadica di volontariato.
Che dire della partecipazione istituzionale, politica, sindacale, associativa? Partecipazione come diritto di voto: diritto e responsabilità di tutti i cittadini nel partecipare alla costruzione della realtà istituzionale, senza esclusioni, senza alibi. La carità «regina delle virtù sociali»: Rerum novarum (1891) n. 45. La politica «maniera esigente di vivere l'impegno cristiano a servizio degli altri»: Paolo VI nella Octogesima adveniens n. 46. Certo, la politica non è tutto e dunque non può essere assolutizzata, ma oggi parlare di partecipazione deve significare anche un ritornare alla politica, compito e dovere di tutti, a partire dall'esercizio del diritto-dovere di voto. Pur sapendo che la democrazia è ben più che il diritto-dovere di votare, questo è il minimo sindacale. Prima delle responsabilità istituzionali di chi governa le istituzioni stanno le responsabilità istituzionali "remote" di chi è chiamato a scegliere coloro che devono operare a favore del "bene comune". Da intendersi non genericamente come il "bene di tutti" o il "bene del maggior numero di persone", bensì come "l'insieme delle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della persona".
Partecipazione e legalità: dovere di lealtà che ciascuno ha verso lo stato. Onestà come virtù basilare perché si parli di legalità, da porre al centro della vita familiare e di qualsiasi percorso educativo. Onestà fa rima con legalità e con giustizia. Il credente, nell'assumere la propria responsabilità di fronte alla storia, si educa ad una partecipazione e ad un senso di legalità, sapendo che la giustizia è più grande della semplice legalità e che la carità cristiana va ben oltre la semplice partecipazione alla vita pubblica e che l'amore cristiano non si esaurisce nell'assunzione di responsabilità.
Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (n. 6): «L'amore cristiano spinge alla denuncia, alla proposta e all'impegno di progettazione culturale e sociale, ad una fattiva operosità, che sprona tutti coloro che hanno sinceramente a cuore la sorte dell'uomo ad offrire il proprio contributo. L'umanità comprende sempre più chiaramente di essere legata da un unico destino che richiede una comune assunzione di responsabilità, ispirata da un umanesimo integrale e solidale: vede che questa unità di destino è spesso condizionata e perfino imposta dalla tecnica o dall'economia e avverte il bisogno di una maggiore consapevolezza morale, che orienti il cammino comune. Stupiti dalle molteplici innovazioni tecnologiche, gli uomini del nostro tempo desiderano fortemente che il progresso sia finalizzato al vero bene dell'umanità di oggi e di domani». È l'amore cristiano che sorregge questa nostra responsabilità, malgrado complessità e ostacoli. Ritornano dunque al centro: dignità e centralità della persona umana; libertà e responsabilità, solidarietà e legalità.

Come educarci a vivere questa cittadinanza?
Si tratta di generare meccanismi capaci di far passare dal soggettivismo e dalla istintività di un giudizio basato sul "mi piace" alla ricerca del "perchè piace?" e poi al confronto con quello che "piace ad altri". Si tratta dell'evoluzione del soggetto che va dal bene per sé al bene comune, che, alla lunga, sorregge anche il bene per sé. La componente politica non è perciò dannosa al processo formativo. Andrà graduata nel tempo, perchè, se troppo irrigidita in scelte pratiche, rischia di bloccare la formazione della cultura, che è apertura ad un sapere il più ampio possibile e non strumentalizzabile da scelte immediate.
Educare al senso di fraternità: si tratta di un obiettivo "ultimo" che dà l'orizzonte entro il quale muoversi. Una volta intuita la radicale fraternità esistente tra tutti gli uomini, si sarà posto un "paletto" che condizionerà positivamente ogni ulteriore scelta. Parlare di fraternità, ovviamente, non significa ignorare il conflitto che le differenze portano con sé, né sarà sinonimo di facile ed adolescenziale irenismo. La questione si pone in termini seri: come considerare gli uomini tra di loro? Homo homini lupus oppure gli uomini sono apparentati da una comune paternità. Due opzioni cariche di sconvolgenti conseguenti. Educare al servizio come scelta di vita: a questo punto diventa possibile osare di proporre cose grandi. Se è riconosciuta la radicale fraternità tra gli uomini, si può anche arrivare ad immaginare di poter impostare tutta la vita nella logica del servizio. Se ogni uomo è mio fratello, allora non potrò sopportare che qualcuno della mia famiglia, anche dall'altra parte del mondo, anche se non lo vedrò mai in faccia, non venga riconosciuto nelle sue legittime aspettative, nel desiderio di concorrere alla gara della vita verso la felicità. Il servizio nasce a questo punto: come messa in gioco di tutte le mie risorse affinché un numero sempre maggiore di uomini e donne possano trovarsi bene nella vita.
Una possibile actio e qualche domanda: vivere con grande impegno e senso civico i prossimi appuntamenti elettorali a livello nazionale e a livello cittadino. Informazione, confronto, valutazione, scelta, alla luce dei principi evangelici e della dottrina sociale della Chiesa. Avendo il coraggio di definire in termini di "peccato" il disimpegno, la delega, l'assenteismo al voto. Sarà il nostro modo più autentico per essere sale e luce, testimoni di una cittadinanza paradossale. Quale domanda di partecipazione è presente nel territorio in cui vivi? Quale assunzione di responsabilità sociale è possibile nel tuo quartiere? Come la comunità cristiana è impegnata in una lettura responsabile di ciò che avviene al di fuori di essa? Quali scelte formative nella famiglia per educare alla responsabilità, alla partecipazione, alla legalità? Quali sottolineature porre nella catechesi ordinaria della parrocchia su questi aspetti?

(Dal Convegno Caritas, Sesto San Giovanni - Milano, febbraio 2011)
(R. Davanzo è direttore della Caritas Ambrosiana)




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