XXXII Domenica del Tempo ordinario (A)


ANNO A - 6 novembre 2011
XXXII Domenica del Tempo ordinario

Sap 6,12-16
1Ts 4,13-18
Mt 25,1-13

VIGILANZA ED ATTESA
DELLO SPOSO CHE VIENE

Nelle ultime domeniche dell'anno liturgico il clima è segnato con forza dall'idea della "fine". Meglio: dal richiamo perché i credenti, di fronte all'arrivo della "fine", abbiano l'atteggiamento giusto. Una fine di cui noi abbiamo perso la percezione perché non è più né presente, come per Gesù, né imminente, come per la prima generazione cristiana. L'abbiamo spostata in un tempo di cui nessuno può sapere nulla, che chiamiamo con un nome che pochi capiscono. parusìa.

La parabola delle dieci ragazze ha un tono grave e un andamento drammatico, non facilmente comprensibile, forse, in un'epoca come la nostra in cui, almeno in questo angolo di mondo opulento, nessuno ha insegnato ai giovani a guardare alla vita, oltre che ai beni, non secondo le leggi dello sperpero o con la pretesa che è un diritto ottenere tutto e subito. È ben possibile che la crisi economica in cui ci ha gettato un turbocapitalismo assassino, che ha drogato le persone prima ancora che i mercati, ci obbligherà a rinsavire. Ma, per i cristiani, anche questa sarà un'occasione persa?

Sarebbe bello se le Chiese cristiane contribuissero ad alleviare il peso di questo "mistero doloroso" che darà il tono ai prossimi anni della nostra vita collettiva non soltanto andando in soccorso dei più "piccoli" che pagano sempre il prezzo dell'insania dei potenti, ma anche con una riflessione attenta e prolungata sul libro biblico della Sapienza. Come suggerisce la liturgia, esso infatti rappresenta la cornice più adatta a comprendere la predicazione di Gesù, tanto le sue parabole quanto il senso di tutta la sua persona. Solo chi cerca la sapienza può capire; gli altri restano inesorabilmente fuori. Se non si va incontro alla sapienza, se non si è amici della sapienza, se non si capisce che altro luccica più dell'oro. se si passa di festa in festa perché non si vuole attendere il tempo delle nozze, non c'è intelligenza della vita né progetto per il futuro.

L'evangelista Matteo attua lizza la parabola di Gesù per la sua comunità di battezzati e ricorda loro che tutti sono invitati alla festa di nozze, ma non tutti potranno entrare. Si tratta di un'ammonizione severa sul pericolo dell'indifferenza e della negligenza: Matteo insiste sulla responsabilità etica del tempo presente. Il credente deve perseverare nella vigilanza, restare pronto, tenere ben viva la fiamma, non permettere che la fede si addormenti, non cessare di operare il bene. La venuta definitiva del Signore, all'ora meno prevista, determinerà se la porta del banchetto di nozze si aprirà o no.

Basta una sola battuta a descrivere molto bene la situazione della comunità cristiana: lo sposo tarda, l'attesa si prolunga. Bisogna accettare il tempo del sonno, ben sapendo che i tempi che prolungano l'attesa sono i tempi della vigilanza. Vigilare, infatti, non significa stare sempre svegli, ma significa accettare la logica dei tempi lunghi, capire che i tempi dello scarto tra promessa e compimento non sono tempi "morti". Anche la risurrezione di Gesù ha il carattere di promessa e la vita cristiana è ancora una volta attesa del tempo definitivo della festa.

Un secondo significato della parabola va invece ricercato sullo sfondo della predicazione di Gesù. Egli non si indirizzava a cristiani battezzati né a una comunità ecclesiale, ma al suo popolo, ai figli di Israele, ai suoi concittadini e parlava loro non del futuro ma del presente. A differenza di Giovanni Battista, Gesù non fa mai riferimento al giudizio definitivo, ma annuncia che il regno di Dio è ormai in mezzo agli uomini. È lui lo sposo e la sua venuta è una grande festa durante la quale non si deve digiunare (Mc 2,19). La sua persona rivelava a Israele la presenza del tempo della salvezza annunciato dai profeti. Quelli che non gli prestavano attenzione e non accoglievano la sua parola perdevano l'opportunità di partecipare al dono che Dio stava facendo al suo popolo. Perdevano l'invito a partecipare alla gioia del Regno presente in Gesù, il Messia, il Signore, il Redentore. Per aderire a lui bisognava accogliere la sua persona e decidersi a impegnarsi a seguirlo con fatica e coraggio. Bisognava collaborare alla festa. Ma l'opportunità poteva andare persa. C'è qualcosa di irrevocabile infatti che conferisce alla parabola un tono drammatico: l'olio per le lampade non si può condividere, alcuni restano fuori e la porta della festa si chiude inesorabilmente davanti a loro.

La celebrazione dell'eucaristia intreccia insieme entrambi i significati della parabola. È presenza salvatrice di Gesù, svela gioia ed efficacia della redenzione, ma è anche annuncio del suo ritorno glorioso, di quel giorno di cui non sappiamo nulla, ma che aspettiamo con la lampada accesa. Ci possiamo domandare quale possa essere il significato di un olio che garantisce ad alcuni di essere sempre pronti alla venuta definitiva del Signore. All'inizio del suo vangelo Matteo aveva detto che la luce dei discepoli risplende attraverso le loro opere buone. Forse è proprio questo che alimenta l'attesa e la vigilanza, forse è proprio questo che tiene pronti alla venuta dello sposo in qualsiasi momento: le opere buone, fare il bene, l'elemosina, la misericordia, il perdono. Se non manca questo olio, qualunque sia il momento in cui arriva lo sposo, siamo pronti alla festa.

VITA PASTORALE N. 9/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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