È giusto pretendere di commentare, spiegare, interpretare le beatitudini evangeliche? Oppure, le beatitudini vanno solo lette e proclamate, mandate a memoria e conservate nel proprio cuore come una delle pagine d'oro della letteratura universale? VITA PASTORALE N. 9/2011
Tutti i Santi
Ap 7,2-4.9-14
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12a
UNA FOLTA SCHIERA
DI TESTIMONI CREDIBILI
Un'aspirazione profonda alla vita e, soprattutto, a una vita giusta, spinge gli esseri umani di qualsiasi tempo e di qualsiasi mondo a liberarsi da ogni forma di schiavitù, a superare sofferenza e ingiustizia, a credere in una liberazione sempre possibile, se non per se stessi, almeno per i propri figli: i giorni della storia di oggi, non meno di quella di ieri, sono cronaca di lotte e di rivoluzioni perché la vita di molti e di ciascuno sia un po' più giusta. Alcune tradizioni religiose in modo più accentuato di altre percepiscono che gli umani hanno iscritto nel loro DNA un rifiuto profondo: può il dono della vita esserci fatto per poi patire fame e sete, soffrire ingiustizia, subire guerre e persecuzioni? Se è così, la vita non è affatto dono o, almeno, non lo è per tutti, ma solo per coloro che sanno approfittare delle risorse di tutti per il proprio interesse e il mondo è proprietà indiscussa dell'arroganza degli empi.
Diversamente da Luca, Matteo mette insieme nove benedizioni, non conosce le corrispettive maledizioni, e le pone come solenne introduzione del primo dei cinque grandi discorsi di Gesù, quello sulla Legge. Per lui, come lo statuto del popolo che Dio aveva convocato al Sinai per celebrare il patto è fondato sulla proclamazione della santità di Dio, così la nuova convocazione escatologica ha come fondamento la santificazione degli uomini. Siamo santi soltanto perché Dio è santo. La santità degli uomini è il compimento della santità di Dio. Per questo la santità degli uomini si proclama come la santità di Dio. Infatti, non è privilegio di pochi virtuosi e si fa più festa in cielo per un peccatore pentito che per novantanove giusti.
Poste all'inizio della promulgazione della legge del nuovo popolo, le beatitudini chiedono di radicare l'obbedienza religiosa non nell'esteriorità dei comportamenti, ma nella profondità degli atteggiamenti: far crescere dentro se stessi quella prudenza e quella comprensione capaci, da una parte, di riconoscere con chiarezza la propria inadeguatezza e, dall'altra, di rispettare la sapienza con cui Dio sceglie tempi e momenti affinché ciascuna persona e ciascuna generazione umana arrivi alla piena maturazione nella dignità. Per Matteo, l'annuncio del Regno svela dunque lo spirito profondo della legge, la finalità della sua promulgazione e, al contempo, l'atteggiamento interiore per farla propria e viverla nell'obbedienza. Svela cioè l'unico rapporto possibile nei confronti del Dio della salvezza: un rapporto di obbedienza, ma nella libertà. Questa è la santità, è la circoncisione del cuore, è l'eucaristia della vita. E le beatitudini possono essere capite soltanto da chi ha il cuore circonciso e sa rendere grazie a Dio per il dono della vita, del mondo e della storia, della natura e del cosmo.
Quanto caratterizza l'interpretazione delle beatitudini da parte di Matteo è che esse subiscono un processo di interiorizzazione, divengono espressione di una salvezza che si è compiuta nei cuori di coloro che l'hanno accolta e che ha convertito i loro atteggiamenti nei confronti della vita e del mondo, degli altri e delle cose. Matteo scrive per una comunità che, mezzo secolo dopo la morte di Gesù, chiede di vivere la fedeltà a lui in una situazione vitale molto diversa da quella della Palestina dei primi decenni del I secolo. Non è più tempo di persecuzioni, ma tempo di lotta interiore. Le beatitudini traducono allora in atteggiamenti e comportamenti la grazia dell'evangelo.
Fare in modo che ciò che ci sta più a cuore, le nostre passioni più profonde, si adatti allo spirito delle beatitudini certamente costa. Non è facile radicare onore e giustizia al fondo del proprio cuore, dove così ampio e complesso è il gioco dei desideri che divengono passioni e delle aspettative che divengono pretese. La parola di Gesù, però, non impone nulla né costringe all'obbedienza: rispetta le persone perché è rivelazione di un Dio che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. La radicalità dell'evangelo prima che etica è teologica: per questo la santità non si compra a prezzo di eroismi o di ascesi. Il "macarismo" è una dichiarazione, non tanto un augurio, è un riconoscimento, non esprime un auspicio. Svela cioè un significato presente nelle pieghe della realtà. Qui sta, allora, il vero eroismo della santità, non quello indotto artificialmente, ma quello profondamente innervato dalla fede.
Credere che le beatitudini sono uno stato di fatto, non una speranza per il futuro celestiale, non è facile. Si tratta di credere che in questo mondo e non in un altro, i poveri sono effettivamente gli eredi del Regno, si tratta di non aver paura di dover piangere perché mai verrà meno la consolazione oppure di instaurare sempre e con tutti, superiori o inferiori, relazioni di mansuetudine: solo chi è affamato e assetato di giustizia può capirlo e per questo è benedetto e solo chi arriva a farsi servo della pace può arrivare a perdonare anche ai nemici. Eppure, uomini e donne fedeli alla legge delle beatitudini non mancheranno mai. In ogni generazione, essi sono il piccolo resto che Dio ha scelto per confondere i forti e i potenti del mondo.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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ANNO A – 1° novembre 2011