XXXI Domenica del Tempo ordinario (A)


ANNO A - 30 ottobre 2011
XXXI Domenica del Tempo ordinario

Ml 1,14b-2,2b.8-10
1Ts 2,7b-9.13
Mt 23,1-12

SERVIZIO E UMILTÀ,
STRUTTURE PORTANTI

Ci sono pagine evangeliche che imbarazzano più di altre: chi di noi, nell'ascoltare le parole con cui Gesù stigmatizza atteggiamenti e comportamenti dei capi religiosi di Israele, non si sente a disagio? L'oracolo di Malachia, d'altra parte, non fa che confermare con forza che, sempre, i profeti sono stati costretti ad alzare la loro voce contro le autorità religiose per riprovarne i comportamenti. È un male antico, endemico. Per questo, per richiamare la comunità a perseguire un ideale di fraternità totalmente alternativo, Matteo non fa che riprendere alla lettera il monito profetico. Parole sovversive che dovrebbero graffiare le coscienze. Come è possibile invece che tanti, ancora oggi, abbandonino le nostre comunità perché sono stati messi sulle loro spalle fardelli troppo pesanti e difficili da portare oppure perché sono stanchi di ipocrisie, di autoritarismi, di adulazioni e di corse per accaparrarsi onori senza oneri e benefici senza meriti?

Negli anni della grande utopia, i giovani andavano alla ricerca di un Dio senza Chiese, di una fede senza fardelli, di ideali di fratellanza possibili anche se brevi. Hanno pagato, per questa loro ricerca, prezzi molto alti. Alcuni hanno accettato che "Cristo si, Chiesa no" fosse uno slogan inconsistente perché, senza Chiesa, il Vangelo è parola caduta nel vento. Hanno fatto propria la logica seria e coraggiosa dell'appartenenza comunitaria, della fraternità responsabile, della partecipazione missionaria. Quelli che sono rimasti hanno pensato che la loro Chiesa stesse attraversando un periodo di profondo ripensamento da cui sarebbe uscita certamente purificata: finiva il tempo di frange e filatteri, di autoritarismi dottrinari o pastorali, di pretese di occupare la cattedra di Mosè facendosi chiamare "padri" o facendosi trattare da "rabbi".

Oggi, nell'epoca del cinismo di Stato, i giovani cercano nella religiosità organizzata la legittimazione di desideri profondi e di aspirazioni altrimenti negate. Non sanno cosa significano frange e filatteri tanto, se poi aprono gli occhi su atteggiamenti o comportamenti ecclesiali discutibili, vanno a cercare soddisfazione da un'altra parte o vengono risucchiati nel vortice dell'indifferenza e del disprezzo. È possibile che il duro monito di Gesù nei confronti di coloro che strumentalizzano Dio per la propria gloria non abbia niente da dire alle Chiese?

L'accusa di Gesù contro i responsabili religiosi di Israele, i maestri della Legge e coloro che, in quanto appartenenti al movimento dei farisei, si sentivano superiori agli altri è implacabile. Il linguaggio è quello classico della letteratura polemica, uno stile provocatorio, tagliente. Anche, però, eccessivamente schematico: mira a combattere comportamenti deviati, quindi descrive estremizzando i toni, senza sfumature, e squalifica senza possibilità di appello. L'ideale alternativo di una Chiesa senza onori e senza titoli, senza potere e senza gerarchie viene presentato per accentuare il contrasto.

È mai esistita una comunità cristiana senza maestri né teologi, senza guide né padri spirituali, un ideale di convivenza e di solidarietà fraterna, una Chiesa senza onori, senza titoli, senza poteri, senza differenze tra superiori e inferiori? Forse, prende vita in piccole comunità dalla vita breve, che hanno fatto e fanno da lievito nella massa. L'organizzazione ecclesiastica, invece, è sempre stata fortemente strutturata: le nostre Chiese sono istituzioni che si dicono fraterne, ma poi sono organizzate intorno a strutture gerarchiche e, alla verifica della storia, l'ideale evangelico di una perfetta fraternità di uguali, fratelli perché figli di un unico padre, sembra essere, invece, un progetto privo di reali prospettive.

Se il Vangelo è un ideale tradito, meglio cercare altrove appartenenze meno pretenziose, ma più efficaci: noi pensiamo che questo sia il dramma del nostro tempo, ma si tratta, in realtà, del dramma che innerva la storia delle Chiese. Da sempre, se già Matteo applica la durissima critica di Gesù nei confronti dei responsabili religiosi di Israele anche alle autorità della Chiesa cristiana che, verso la fine del secolo, si andava strutturando facendo nascere tra i credenti tensioni per il potere. Nulla di nuovo sotto il sole, se pensiamo all'oracolo profetico di Malachia. D'altra parte, c'è forse qualcuno che non predichi bene e razzoli male, per dirla con la saggezza popolare? Chi può dire di essere esente dall'incoerenza tra quanto dice e quanto fa, qualunque sia il posto che occupa nella Chiesa, abbia o no un ruolo di governo, sia o no un ecclesiastico illustre? Nessuno sfugge a questa ambiguità. Ancora una volta, però, il rischio di attutire la forza della parola evangelica con la coltre di un qualunquismo che tutti salva perché tutti condanna è forte.

I toni forti della contrapposizione tra una realtà desolante e un ideale inafferrabile hanno la funzione di far risaltare il nucleo dottrinale del discorso, quello contenuto nei due proverbi finali: la comunità dei discepoli di Gesù si costruisce e si sostiene, si organizza e cresce su due strutture portanti, il servizio e l'umiltà. Forse nelle nostre Chiese si dovrebbe riflettere con maggiore serietà sul fatto che il servizio e l'umiltà non sono due belle virtù per anime pie, ma due strutture comunitarie. Il Vaticano II ci ha provato. Per questo, forse, è inviso a molti.

VITA PASTORALE N. 9/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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