XXX Domenica del Tempo ordinario (A)

ANNO A - 23 ottobre 2011
XXX Domenica del Tempo ordinario

Es 22,20-26
1Ts 1,5c-10
Mt 22,34-40

IL PIÙ GRANDE
COMANDAMENTO

Ancora una controversia tra Gesù e i suoi oppositori, quella sull'interpretazione della Legge. Non si tratta di una disputa di scuola, perché l'interrogativo è utilizzato ancora una volta come una trappola per rendere palese che Gesù non può essere considerato in nessun modo un rabbi di Israele. La questione va al cuore della legge mosaica, tocca cioè l'identità stessa della fede di Israele. Gesù non dà dei due comandamenti nessuna spiegazione, si limita a enunciarli. Dice, però, quanto basta per zittire l'avversario. Propone infatti una vera e propria ermeneutica della Legge, un'interpretazione del suo significato complessivo che diviene anche il criterio di valutazione di ciascuno degli altri comandamenti e di comprensione di tutta la storia della rivelazione.

La risposta di Gesù non è minimalista né, tanto meno, sbrigativa. Ridurre i due grandi comandamenti a "pillole di saggezza" utili per tutte le situazioni equivale a una bestemmia. Basta provare a pensare: che significa "amare Dio" e come si può amare qualcuno che supera la nostra possibilità, perché supera sia i nostri sensi che la nostra intelligenza? Che significa "amore del prossimo" e chi è il mio "prossimo" e che cosa comporta di «amarlo come me stesso»? I due grandi comandamenti parlano di due diversi tipi di amore o dello stesso tipo di amore tanto per Dio che per il prossimo? E infine: che significa che tutto il resto dipende da questi due comandamenti? La retorica dell'amore di cui è infarcita la predicazione cristiana è, a volte, di una banalità scoraggiante, mentre altre volte fa leva su registri che non hanno nulla a che vedere con la grande tradizione biblica. Gesù, invece, lo dice con chiarezza: obbedire al comando dell'amore di Dio e a quello dell'amore del prossimo significa accogliere tutta la tradizione biblica, la Legge e i Profeti.

Se vogliamo capire la risposta di Gesù alla provocazione del dottore della Legge, dobbiamo sgombrare il campo da un luogo comune tanto diffuso quanto pernicioso secondo il quale l'ebraismo sarebbe la religione della legge e il cristianesimo la religione dell'amore. Secondo Matteo, questo dialogo polemico mette in piena luce che Gesù è un israelita vero e il suo Vangelo non pone a fondamento della fede nulla di diverso dal pieno compimento della rivelazione biblica di Israele. Gesù ha penetrato il senso della sua tradizione religiosa, ha capito cosa significa l'obbedienza a Dio. Per questo egli può dunque svolgere il compito riservato ai maestri in Israele, cioè aiutare il popolo a distinguere tra i grandi e i piccoli precetti, tra i precetti primari, da cui può dipendere perfino l'accettazione del martirio, e i precetti secondari.

Per fronteggiare lo scriba, Gesù cita prima di tutto Dt 6,5, un testo fondamentale per gli ebrei che da sempre lo recitano più volte al giorno per esprimere la piena obbedienza e la totale sottomissione del credente a Dio. Il verbo "amare" va inteso in tutta la sua ricchezza di possibilità e sfumature, è un verbo totalizzante che include ogni forma di relazione umana, ogni forma di relazione politica, ogni forma di sentimento e di azione in rapporto a qualcuno. È un legame individuale ("con tutto il tuo cuore") per cui si è disposti ad accettare anche le estreme conseguenze cui le diverse relazioni possono condurre ("con tutta la tua vita") e capace di tradursi in uno sforzo di conoscenza intellettuale ("con tutta la tua anima").

Amare Dio chiede il vigore dell'intelligenza, dei sentimenti e della volontà che convergono insieme e imprimono all'esistenza umana la forma dell'obbedienza riconoscente. In modo esigente, ma non mortificante. La Legge insegna che la vita è di Dio e che Dio è il Signore della vita. Non serve cercare cose estranee alla vita stessa né forzare il suo corso con pratiche ascetiche. Amare non comporta nessun artificio. Chiede però il controllo delle relazioni, di tutte le relazioni, quella con Dio e quelle con ognuno di coloro che, in infiniti modi, può esserci "prossimo", perfino con gli animali, con la natura, con il tempo, il cosmo.

Per il secondo comando, Gesù riprende invece il testo di Lev 19,18. E Matteo sottolinea con particolare intensità l'assoluta continuità tra i due amori. Il testo del Levitico tratta delle diverse relazioni con il prossimo e con tutti i tipi di prossimo, compresi gli esclusi o i socialmente deboli o gli avversari in giudizio. In questo quadro, il significato da dare all'espressione «come te stesso» è ben diverso da quello che ricaviamo spesso da un troppo facile psicologismo di maniera, perché rimanda alla disponibilità a riconoscere gli altri come soggetti degli stessi diritti che si riconoscono per se stessi.

Al festival del cinema di Venezia otto minuti di standing ovation hanno salutato il film Terraferma che guarda al dramma dell'immigrazione sulle coste italiane con gli occhi di due donne. Che succederebbe se, in qualche nostra assemblea domenicale, anche al breve brano del codice dell'alleanza tratto dal libro dell'Esodo con cui la liturgia correda il testo matteano della controversia con il dottore della Legge facesse eco una standing ovation? Obbedire alla Legge significa accettare l'alleanza come regola del vivere, un'alleanza che riguarda tutto e tutti, anzi che impone a ciascuno di stabilire relazioni di magnanimità con tutti. Concretamente.

VITA PASTORALE N. 9/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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