XXIII Domenica del Tempo ordinario (A)


ANNO A - 4 settembre 2011
XXIII Domenica del Tempo ordinario

Ez 33,1.7-9
Rm 13,8-10
Mt 18,15-20

LA RESPONSABILITÀ DI
LEGARE-SCIOGLIERE

Nel quarto dei cinque discorsi che sostengono l'impalcatura narrativa del suo vangelo, Matteo concentra un materiale che riguarda le relazioni all'interno della comunità dei credenti: Gesù istruisce i suoi discepoli sulla vita interna della comunità. In uno dei brani del "discorso ecclesiale" sono raccolte tre istruzioni che rappresentano una sorta di "regola aurea" della vita comunitaria. Correzione fraterna e preghiera comune sono, insieme al perdono, le tre dimensioni comunitarie che garantiscono l'ecclesialità della fede. La lettura liturgica si concentra innanzi tutto sulle prime due. Si tratta di un testo tutt'altro che semplice. In particolare, la parte sulla correzione fraterna si esplicita in un complesso percorso di tipo giuridico che rimanda a una casistica molto elaborata. Forse è più che mai necessario confrontarsi con questo testo, in un momento in cui l'appartenenza alla comunità di fede è vissuta con accentuazioni esageratamente affettive che tradiscono, di fatto, forme di partecipazione emozionale e, comunque, del tutto strumentali a soddisfare le esigenze immediate dei singoli. La correzione fraterna non è un fatto affettivo, come la partecipazione alla preghiera comune non è un fatto mistico.

"Se" ... "se" ... : per cinque volte e in gradualità ascendente, Gesù insiste su una difficoltà interna alla comunità che si può risolvere solo a partire dalla volontà di affrontarla. Una realtà comune prevede necessariamente una conflittività e, da questo punto di vista, la comunità cristiana non può essere diversa da qualsiasi altra realtà collettiva. Due elementi la rendono però profondamente diversa da un gruppo di amici o da un condominio. Prima di tutto: la misura del torto subito non la decide chi ha subìto il torto, ma un processo lungo di dialogo allargato che mira a tutelare ciascuno da ogni forma di arbitrio e sopraffazione. In secondo luogo: oltre ad accettare le norme e i processi, anche giuridici, di regolamentazione dei conflitti, è necessario riconoscere che la logica della vita della comunità discepolare è quella del «come in cielo, così in terra» e, viceversa, del «come in terra così in cielo». Infatti, la normativa comunitaria non è in funzione del l'esclusione ma del recupero di coloro che peccano. La misura dell'ecclesialità, cioè, è sempre e solo la misericordia, come la misura della storia di Dio con gli uomini è la grazia. Certo, il caso limite della scomunica è possibile ma, appunto, come caso limite.

Proprio la reciprocità cielo-terra, terra-cielo impone di considerare il giudizio qualcosa di estremamente serio. Legare-sciogliere sono due attività complesse, che Matteo considera fondamentali per garantire il funzionamento interno della vita comunitaria. Non hanno valore in sé, ma sono funzionali ad assicurare che l'edificazione della comunità avvenga sul fondamento della fede cristologica: le parole che concludono l'esortazione sulla correzione fraterna sono le stesse che poco prima Gesù ha rivolto a Pietro dopo la sua confessione cristologica. È dunque la comunità nel suo insieme che ha la responsabilità di legare e sciogliere, anche quando questo prevede una dimensione giudiziaria, e deve farlo con la consapevolezza che verrà giudicata con lo stesso metro con cui ha giudicato. Su questa dinamica interna che regolava già la vita della comunità giudaica, Gesù ha poi innestato l'annuncio del giudizio di Dio come perdono. Cielo e terra non possono infatti mai essere considerati né speculari né simmetrici. Anche se non si sovrappongono né si confondono, hanno però un punto di contatto, il perdono.

In questo contesto, l'insegnamento ecclesiale di Gesù sulla preghiera comune prende tutto un altro sapore. Una comunità che prega non è un insieme di individui che pregano ciascuno per proprio conto. Pregare non significa creare un'unità artificiale e mistica che cancella le distanze. Pregare ecclesialmente significa mettersi d'accordo su qualcosa da chiedere a Dio. Non si tratta, evidentemente, di una generica intenzione di preghiera, ma piuttosto implica di raggiungere un accordo per chiedere a Dio quanto si ritiene necessario per la comunità. Prevede un cammino comunitario, analogo, ma in termini positivi, a quello della correzione: non basta essere capaci di gestire i conflitti, ma è necessario individuare e condividere un obiettivo di preghiera comune.

Le parole del profeta Ezechiele ci ricordano però che il "funzionamento" garantito dalla legge e dalle procedure normative non basta. Per questo Dio ha fatto dono al suo popolo del carisma della profezia. Giovanni Paolo II, nello storico discorso ai giovani convenuti a Roma per la giornata mondiale dell'anno giubilare, ha suggestivamente riconosciuto loro il ruolo di "sentinelle del mattino". È vero ed è necessario ricordarlo soprattutto oggi, visto che le forze all'opera nel nostro tessuto sociale sembrano concorrere sinistramente a togliere ai giovani qualsiasi smalto carismatico. Ma non basta. La profezia di cui Dio fa dono alla vita del suo popolo è innanzi tutto quella del discernimento e della denuncia. Non è legata alla forza propulsiva dell'età, ma alla vocazione e all'assunzione di responsabilità. Una comunità ha bisogno di sentinelle. Da cui attendersi vigilanza critica, ma anche a cui chiedere quanto è lunga ancora la notte.

VITA PASTORALE N. 7/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)



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