XXI Domenica del Tempo ordinario (A)


ANNO A - 21 agosto 2011
XXI Domenica del Tempo ordinario

Is 22,19-23
Rm 11,33-36
Mt 16,13-20

LA ROCCIA SU CUI
RESTA SALDA LA CHIESA

Al centro del vangelo di Matteo, la scena di Cesarea di Filippo vede come protagonista Pietro. Un protagonismo quanto mai importante: Pietro rappresenta il punto di riferimento a cui la comunità di coloro che hanno aderito alla fede in Gesù provenendo dal giudaismo deve costantemente rivolgersi per riuscire a definire la sua identità e, soprattutto, a restare salda nelle avversità. Nel momento in cui la presa di distanza e la separazione dal giudaismo e dalla sinagoga rende più difficile e incerto il cammino, Matteo ricorda alla sua Chiesa che la memoria di Pietro ha valore fondativo. Preso nel suo insieme, però, il "dittico petrino" composto da Matteo ci ricorda che il protagonismo di Pietro va sempre considerato nella sua complessità e ambiguità perché alla confessione di fede fa seguito l'ostinazione e il rifiuto.
Matteo considera il primo dei discepoli anzitutto come il prototipo di tutti i cristiani. Ha accettato di mettersi al seguito di Gesù con determinazione e coraggio. Deve però imparare a sue spese che la forza che viene dall'alto e che gli consente di riconoscere in Gesù il compimento delle profezie e il Figlio del Dio vivente non lo tutela dalla sua stessa inadeguatezza. Capire cosa può comportare per Gesù e per i suoi discepoli la fede nel Regno non è facile, soprattutto quando la fede si scontra con la croce.

Come persona, Pietro è debole. I vangeli non nascondono che talvolta dice quello che non deve dire e fa quello che non deve fare. Immediatamente dopo che Gesù lo presenta come roccia, non vuole neppure immaginare che il suo maestro debba soffrire e fin nel Getzemani opporrà resistenza al suo arresto. In un'altra occasione, quando Gesù lo invita a camminare sulle acque, perde ogni fiducia in lui, e la sua fede è altrettanto debole quando si tratta di lasciarsi riconoscere come discepolo di colui che viene processato dal Sinedrio. La tradizione evangelica nel suo insieme ha voluto conservare e trasmettere tutta la complessità della persona di Pietro, uomo di contrasti, e nella scena di Cesarea, che compone come un dittico, anche Matteo traccia il profilo di Pietro nella sua radicale complessità. Riconosciuto da Gesù come "roccia" e scacciato come fosse satana, Pietro rappresenta per i credenti non soltanto un modello morale, ma un vero e proprio marker identitario.

La prima parte del dittico, cui è stato dato il titolo di "vangelo del primato", racchiude un complesso molto ricco di elementi. La fedeltà a Gesù passa attraverso il riferimento a Pietro e questo significa che la comunità discepolare diviene l'ekklesia solo se non perde la memoria forte e decisiva della comunità storica dei discepoli che hanno seguito Gesù durante il suo ministero. Diversi elementi concorrono a comporre la memoria storica di Pietro: il tema della rivelazione dall'alto; il tema dell'edificazione della Chiesa e della sua stabilità perfino durante la lotta definitiva che segnerà la fine dei tempi; il tema delle chiavi e del ministero di legare-sciogliere. Su tutti campeggia il parallelismo tra la risposta di Pietro e la controrisposta di Gesù. È questo il fondamento identitario della comunità cristiana: la comunità trova la sua identità, il suo "tu sei" solo a partire dalla ricerca dell'identità messianica di Gesù e del significato della sua figliolanza divina. Per essere discepoli, la chiamata non è sufficiente: basta pensare a Giuda.
Solo la confessione di fede crea le condizioni perché un gruppo di uomini e donne religiosi venga riconosciuto da Cristo come la "sua Chiesa". La pietra angolare su cui riposa il fondamento della Chiesa non è Pietro ma Gesù, il Signore. Unito a Gesù, però, Pietro diviene la roccia su cui Gesù può edificare la sua Chiesa. Troppo spesso dimentichiamo che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la sua confessione di fede e troppo spesso rischiamo di essere una Chiesa, una comunità che ha perso il fondamento. La tentazione a cercare in sé stessa, nella propria organizzazione e nel proprio funzionamento, il fondamento ultimo della propria fede accompagna la vita della Chiesa. Più forte in momenti di accentuato ecclesiocentrismo come il nostro, questa tentazione e questo rischio impongono di tornare alla memoria del primo dei discepoli.

La fede in Gesù non si gioca però in una dichiarazione, chiede continua ricerca: le aspettative umane sono sempre molte, anche quelle religiose, e ci sono molti modi di declinare la propria attesa "messianica". La domanda che Gesù rivolge ai suoi, l'approssimazione e la confusione dei discepoli, la consapevolezza delle tante attese che pervadono il mondo che ci circonda sono passi assolutamente necessari, che non si compiono mai una volta per tutte e che non possono essere sostituiti da una dichiarazione stereotipata, da una formula fissata per sempre quasi fosse una formula magica. La risposta di Pietro non sta all'inizio, ma alla fine di questo percorso di ricerca. Prima di essere discepoli, tutti siamo "gente". Tutti diciamo di Gesù qualcosa che parte da noi, da carne e sangue, e non viene dall'alto. Di questo passaggio, Pietro diviene portavoce e fa sì che la Chiesa di Gesù trovi la roccia sulla quale restare salda. La beatitudine di Pietro per aver ricevuto la profezia dovrà però ancora essere messa a dura prova.

VITA PASTORALE N. 7/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)



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