Le parabole con cui Matteo conclude il terzo grande discorso di Gesù sono molto simili tra loro, le prime due, mentre la terza riprende, oltre al tema dell'abbondanza che evoca la vittoria del Regno, anche il tema del giudizio finale che emergeva già nella parabola della zizzania. Ancora una volta la predicazione di Gesù appare un invito alla speranza, alla fiducia: il regno di Dio, la vittoria definitiva di Dio ha il volto della consolazione. Per dirlo con il linguaggio paolino, «tutto concorre al bene» per quelli che amano Dio. Essa riprende anche il tema del giudizio escatologico, caro al Battista. VITA PASTORALE N. 6/2011
XVII Domenica del Tempo ordinario
1Re 3,5.7-12
Rm 8,28-30
Mt 13,44-52
IL REGNO È IL TESORO
UNICO, IRRINUNCIABILE
Non poche volte le parole di Gesù fanno appello all'intelligenza e, forse, anche un po' al buon senso e alla furbizia. C'è qualcosa di estremamente saggio nell'accettare l'annuncio del Regno. Le prime parabole ci mettono di fronte all'evidenza: come si può rinunciare a un tesoro, a una perla preziosa? Come si può essere così stupidi da perdere l'occasione della propria vita? Eppure, fuor di metafora, la comunità cristiana cui Matteo si rivolge sa bene che quel tesoro e quella perla alcuni li hanno scoperti, presi tra le mani, ma non hanno saputo riconosce in essi una fortuna. Il problema del rifiuto continua a far da sfondo alla predicazione di Gesù, a inquietare. Le parabole del Regno hanno in sé qualcosa di "scandalo". Cosa mettono in discussione, cosa chiedono, cosa pretendono? Anche dai discepoli di Gesù, dalla Chiesa?
Nell'antichità era frequente l'idea popolare che qualcuno potesse scoprire un tesoro o che un povero contadino potesse trovare un tesoro in un campo, un po' come oggi si spera di vincere alla lotteria. Non è questa però l'idea centrale della parabola del tesoro. L'enfasi cade piuttosto sul fatto che, tra le tante cose che quell'uomo avrebbe potuto fare, ha deciso di vendere tutti i propri averi. All'epoca di Gesù, d'altra parte, tutti sapevano che fin dal tempo di Alessandro Magno era molto praticata l'importazione delle perle dall'India, perché le perle erano ritenute l'oggetto più prezioso. Anche nella seconda parabola, quella della perla preziosa, anzi, della perla più preziosa di tutte le altre perle che un mercante si trova a commerciare, l'accento cade dunque sul fatto che, di fronte al bene riconosciuto come più prezioso e quindi irrinunciabile, non si può fare a meno di vendere tutti i propri averi. Senza voler certamente sfuggire al senso letterale dei termini, perché la rinuncia ai beni è elemento irrinunciabile della sequela cristiana, bisogna però fare attenzione a non tradurre la predicazione profetica di Gesù in un moralistico appello a scelte ascetiche. In gioco non c'è la liberazione individuale dal possesso, né l'appello a una giustizia distributiva a cui ogni giorno ci richiama anche solo il panorama umano che ci circonda. C'è il regno di Dio.
In entrambe le parabole, allora, il punto nodale è proprio questo: essere disposti a rinunciare a tutto il resto per il regno dei cieli, saper apprezzare il fatto che il regno di Dio è l'annuncio, la proposta, la realtà che merita ogni sforzo. Ne va del salto di qualità della propria vita. Il rifiuto da parte di Israele, prima, e poi da parte di infinite generazioni di uomini e di donne che sono venute a contatto con la persona e il messaggio di Gesù si gioca proprio su questo punto: credere che in ciò che quell'uomo ha detto e fatto, perfino nella sua morte, Dio ha voluto rendere definitivamente presente il suo Regno. Non c'è dubbio, d'altra parte, che Matteo voglia invitare la sua comunità a fare delle parabole una lettura "ecclesiale" e le domande non sono, allora, meno incalzanti. Cosa comporta per la comunità credente la regola aurea dell'essere disposti a "rinunciare a tutto per il Regno" e come si traduce in testimonianza di verità? Alcuni hanno chiesto e chiedono alle Chiese di vivere questa richiesta sine glassa, accettando le gioie e i rigori di una povertà «senza se e senza ma». Le Chiese hanno invece scelto di dotarsi di molte cose in nome e in funzione della loro missione da svolgere. Spesso viene sferrato loro un attacco proprio su questo punto, magari da parte di chi pretende di mettere ad altri sulle spalle pesi che egli stesso non solleva nemmeno con un dito.
Il richiamo al grande re Salomone e alla sua richiesta a Dio di un cuore docile, capace di rendere giustizia e di distinguere il bene dal male, rimanda all'intera storia di quel popolo che, dall'inizio fino alla fine, ha avuto tra le mani la più preziosa di tutte le perle. Tutti sanno che è storia di persone e di istituzioni cariche di ambiguità e mai totalmente ma, soprattutto, definitivamente sine glossa. A un re quanto mai discutibile come Salomone, però, Dio ha fatto dono di un cuore saggio e intelligente. E, insieme a lui, ne ha fatto dono a coloro che credono in lui. L'ultima parola non è stata ancora detta e, fino a quel momento, le parabole del Regno mettono di fronte a questioni brucianti, che chiedono di prendere posizione. Come già quella della zizzania, anche la parabola della rete ci ricorda che, se i modi in cui Dio realizza la sua signoria ci sono noti, non lo sono invece i tempi. Il giudizio finale consentirà la definitiva separazione tra ciò che è buono e giusto e ciò che è cattivo e ingiusto. Dove starà la comunità cristiana quel giorno?
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
XVII Domenica del Tempo ordinario (A)
ANNO A - 24 luglio 2011