Il diaconato in Italia n° 166
(gennaio/febbraio 2011)
DIACONIA LITURGICA
«Date voi stessi da mangiare»
di Enzo Petrolino
Rileggendo il cammino della diaconia liturgica, E. Petrolino ha tracciato nel precedente numero (164-165) il percorso che la nostra rivista aveva compiuto nei suoi 40anni dalla fondazione. Pubblichiamo quest'ultimo quadro che ci proietta nella dimensione eucaristica del servizio diaconale.
Il servizio del diacono, nella sua triplice dimensione di evangelizzazione, liturgia e carità, attinge grazia, significato e forza attuativa dall'Eucarestia, sacramento dell'amore e del dono di sé. Il già menzionato n. 4 della Rivista sottolinea come il ministero del diacono - ed in particolare il suo servizio all'altare - si pone su un piano diverso rispetto alla presenza del laico nell'assemblea liturgica: egli, a differenza del laico che partecipa all'Eucaristia per mezzo del sacerdotium «corporis», serve alla mensa del pane e del vino in virtù della sua partecipazione al sacerdotium «capitis».
E, più tardi nel n. 49 della Rivista, si affermerà - quasi a completamento di questa caratterizzazione - che, per la grazia dell'ordinazione, i diaconi sono «sacerdoti» nel senso più ampio del termine, «mediatori cioè non tra Dio e il mondo, ma tra il Cristo (di cui sono ministri) e la Chiesa o il mondo». Essi - continua lo stesso numero - possiedono una funzione sacra, sacramentale o sacerdotale cui i laici non hanno accesso: è appunto il servizio della mensa o dell'altare. Se, per una prassi diffusa ma non per questo corretta, si celebra spesso l'Eucaristia senza diacono, ci si dovrebbe però soffermare sul fatto che essa è, per eccellenza, il «banchetto della carità» e, in assenza del diacono, manca del nesso vitale e sacramentale fra colui che presiede celebrazione ed assemblea e coloro che vi partecipano, fra l'altare e l'offerta, fra il Verbo di Dio che si fa cibo e la carne della nostra umanità. Manca, cioè, del sacramento del Cristo Servo di tutti.
La diaconia «eucaristica»1 permette al diacono di esercitare con consapevolezza e chiarezza di finalità i suoi compiti, dall'evangelizzazione alla carità passando per il servizio alla mensa. In un tempo di disgregazione dei rapporti umani, il diacono deve essere colui che aiuta la comunità a discernere i segni dei tempi, a conoscere i poveri, a sensibilizzarsi rispetto ai bisogni, ad impegnarsi per la promozione dell'uomo. La conoscenza - si dice nel n. 89 - è il primo atto dell'amore; l'attenzione è l'inizio stesso della carità; l'impegno per la giustizia è parte integrante dell'evangelizzazione2. E l'evangelizzazione, nella nostra esperienza come in quella di Gesù, è sempre fatta di parola e di segni: facendosi nostro cibo dall'alto della croce, egli ci indica la prima forma di diaconia e ci comunica il doloroso apprendistato in cui la «verità del sapere» e la «giustizia dell'azione» trovano pieno compimento nel sacrificio e nel dono di sé. Parlare di Eucaristia vuoi dire, allora, mettersi al cospetto dell'esperienza reale, vissuta ed oggi sacramentai mente ripresentata per la nostra salvezza, della diaconia di Gesù.
Partecipare all'Eucaristia ed esserne ministri significa, dunque, immergersi nella diaconia di Gesù ed averne parte. Il sacrificio della croce, dicevamo, è la prima e più alta forma di diaconia: esso è espressione dell'amore di Cristo in tutta la sua altezza, profondità, lunghezza ed ampiezza. Un amore che la Chiesa deve manifestare e vivere, annunciare e testimoniare. La seconda forma della diaconia eucaristica si riconosce nei segni della cena. Vi ritorneremo più avanti e più lungamente, perché molteplici e significativi sono stati i contributi che la Rivista ha offerto a più riprese in merito a questo punto. La terza forma di diaconia eucaristica - e su questa spenderemo subito qualche parola - è l'introduzione nella familiarità con Dio, ossia l'alleanza. Il n. 88 sottolinea come la parola «alleanza» ritorni sempre nel racconto dell'istituzione dell'Eucarestia. È un termine poco vicino all'esperienza dell'uomo contemporaneo, ma di chiara risonanza ai tempi di Gesù.
Il sacrificio dell'alleanza esigeva, nel VT, un impegno preciso da parte del popolo: osservare la Legge. Alleanza e Legge sono termini talmente uniti fra loro da diventare spesso quasi sinonimi. Nel NT, quando Gesù istituisce l'Eucaristia, non si fa menzione di alcuna Legge da osservare. Così, almeno, avviene nei sinottici. In Giovanni, invece, Gesù istituisce l'Eucaristia «promulgando» il suo comandamento. L'Eucaristia, dunque, è «l'alleanza», e la Legge che il popolo deve osservare e qui il comandamento del l'amore, un amore che è innanzitutto «servizio» (diaconia della Parola, del culto, della carità). Il ministro di questa esplicitazione del comandamento di Cristo è, appunto, il diacono, che attua il suo ministero nella triplice direzione più volte indicata. Sarebbe disastroso - si legge ancora nel n. 88 - istituire due tipi di diaconi, gli uni «liturgici», gli altri «sociali» o «amministrativi»: non esiste, infatti una diaconia senza la liturgia né, soprattutto senza Eucaristia.
Anzi è questa il nesso vitale che unisce sacramentalmente la diaconia ministeriale alla diaconia di Cristo. Ritorna, qui, l'attenta sollecitazione a non disgregare ciò che trova in Cristo stesso la sua unitarietà: un diaconato puramente «liturgico» non avrebbe senso, in quanto sarebbe - se così si può dire - «sacramento vuoto»; d'altra parte, un diaconato puramente "caritativo" mancherebbe del suo significato gerarchico-sacramentale e del suo rapporto vitale con Gesù-Eucaristia. A chiarire meravigliosamente il ministero diaconale in relazione al suo legame inscindibile con l'Eucaristia, alcuni numeri della Rivista a più riprese riportano il racconto evangelico della moltiplicazione dei pani (nn. 46-47)3.
Il miracolo-segno presenta una Chiesa ministerialmente organizzata intorno all'Eucaristia, che illumina e rende chiaro il ministero del diacono: egli è consacrato al servizio così da stimolare il servizio di tutti; ministro ed insieme promotore della ministerialità. Ma soffermiamoci brevemente sull'episodio di cui stiamo parlando, facendoci aiutare da quanto emerso in un Seminario di studio del 1980 i cui atti sono stati puntualmente pubblicati dalla Rivista. Ad una lettura capillare ed approfondita, infatti, tutto l'episodio appare una figurazione della comunità ministeriale: «Si riunirono attorno a Gesù»: è l'esperienza del riunirsi dell'assemblea liturgica attorno alla mensa della Parola. «Venite in disparte e in un luogo solitario»: è l'esperienza dell'antica comunità ebraica che si ritirava per ascoltare, celebrare e, da ultimo, servire; ma è anche l'esperienza dell'assemblea che si discosta dal clamore del mondo per ascoltare, celebrare e, da ultimo, tornare nel mondo e servire. «È ormai tardi, congedali […] in modo che […] possano comprarsi da mangiare»: sono i discepoli stessi che si pongono il problema della folla da sfamare: primo segno di una sensibilità e di un'attenzione che sono l'inizio della carità fraterna. «Date voi stessi da mangiare»: i discepoli non comprendono, è già il mandato per il servizio che da Gesù stesso promana. «Pronunziò la benedizione»: è il rendimento di grazie che richiama in modo inequivocabile la preghiera del sacerdote all'atto della consacrazione. «Spezzò i pani e li dava. […] perché li distribuissero»: il riferimento eucaristico è definitivamente chiaro.
In questo stesso articolo del nn. 46-47, segue un richiamo interessante al brano della lavanda dei piedi, dal quale si evince con forza analoga come il comandamento dell'amore si traduca essenzialmente nel reciproco servizio. Come dire che il «proprio» del diacono è essere nella comunità cristiana colui che continuamente è segno di questo amore e stimola instancabilmente a questo atteggiamento di servizio. Egli è dunque chiamato a scoprire nuovi bisogni, ad «essere dentro», ad impegnarsi e promuovere, ad essere «segno del cuore di Dio». L'episodio della moltiplicazione dei pani, nel quale Gesù ordina ai discepoli «Date voi stessi da mangiare», è significativo della volontà del Cristo di operare la salvezza attraverso le mani degli uomini, quasi che egli dicesse oggi ad ogni ministro, e al diacono in particolare: «Sono io che sfamo le folle, ma voglio aver bisogno di te».
Se già all'inizio di questo nostro percorso leggevamo del diacono come «servitore del calice» (n. 4), secondo una peculiarietà che gli è propria (se c'è un diacono presente, nessun sacerdote ne usurpi le funzioni), questa caratterizzazione attraversa negli anni altri numeri della Rivista, arricchendosi di più ampio approfondimento nei nn. 54-554. Vi si sottolinea che l'importanza della Comunione al calice nasce dalla natura del sacramento come «segno» efficace, che si manifesta e insieme attua e trasmette la presenza del Signore. «In essa, infatti, risulta più evidente il segno del banchetto eucaristico e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova alleanza nel Sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il Convito escatologico nel regno del Padre» (PNMR, 240).
Nella descrizione delle diverse modalità della Comunione sotto le due specie, il diacono è sempre indicato come «ministro al primo posto», prima anche del presbitero, per la comunione al calice, secondo la linea della tradizione antica.
Questo numero contiene un bellissimo riferimento a San Tommaso, il quale diceva: «Il Sangue è segno della Redenzione di Cristo trasmessa al popolo: perciò al Sangue si mescola l'acqua, la quale è segno del popolo. E poiché i diaconi sono tra il sacerdote e il popolo, conviene ai diaconi la distribuzione del Sangue più che la distribuzione del Corpo». Lo stesso tema viene ripreso efficacemente dal nn. 101-1025, dove si legge che un diritto esclusivo dei diaconi è sempre stato quello di presentare ai fedeli il calice con il prezioso sangue di Cristo, ministero liturgico che non può essere trascurato soltanto perché la prassi corrente è quella più sbrigativa di distribuire ai fedeli solo il pane eucaristico. Il diacono dovrebbe sensibilizzare il sacerdote e la comunità sull'importanza della partecipazione alla comunione sotto le due specie, per una presentazione più chiara del «segno sacramentale». Il vino infatti, è la bevanda della festa, il segno dell'alleanza (bere significa aderire a Cristo fino al martirio), segno escatologico del banchetto del Regno e segno di comunione (nella tradizione biblico-giudaica, il calice era segno della comunità dei commensali: a tavola ciascuno aveva il suo; ma nella Cena esso è unico, è calice di comunione).
Note:
1 Cf. P. Sorci, L'eucaristia fonte della diaconia, in Il diaconato in Italia, 131 (2005) 4.
2 Cf. G. Niccolini, Eucaristia e diaconato, in Il diaconato in Italia, 89 (1992) 44.
3 Cf. Il diacono e la liturgia. Seminario di studio promosso dalla "Comunità del diaconato in Italia", 8-9 novembre 1980, in Il diaconato in Italia, 46-47 (1982) 9.
4 Il diacono ministro della comunione al calice, in Il diaconato in Italia, 54-55 (1984) 21.
5 Cf. L. Della Torre, Prendete e bevetene tutti, in Il diaconato in Italia, 101-102 (1996) 76.
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