Una Chiesa del Risorto per ridare speranza



Il diaconato in Italia n° 166
(gennaio/febbraio 2011)

C'È UN DOPO VERONA?


Una Chiesa del Risorto per ridare speranza
di Giovanni Chifari


Un impegno e un'opportunità
Presentare le linee essenziali del convegno di Verona è un impegno stimolante ma nello stesso tempo gravoso, poiché mentre da un lato affascina l'approfondimento dell'intelligenza della fede che presiede all'appassionata e competente rilettura delle tematiche prevalenti, dei progetti e delle proposte, dall'altro si percepisce una certa difficoltà nel ricondurre ad unità, orientamenti e tendenze, dati e stili disparati, a volte anche differentemente calibrati e percepiti in quel percorso che dalla traccia di riflessione, passando per le relazioni del Convegno, ha portato alla stesura della Nota dopo Verona (NdV).
Farsi carico di questa lettura in una prospettiva diaconale, significa ancora raccogliere l'opportunità di sondarne il grado di accoglienza e ricezione, verificando ritardi e incomprensioni, segnali incoraggianti e prospettive di un ministero che sebbene rilanciato dal Concilio, sembra ancora faticare a trovare spazi concreti di valorizzazione che non ripercorrano le vie piuttosto scontate di determinati stereotipi nei quali si è soliti "confinarne" l'esercizio. Definito come «ponte di raccordo con il Concilio» (Tettamanzi, Prolusione), il convegno di Verona è insieme punto di approdo dell'eredità dei tre Convegni precedenti, passando per il tempo giubilare e l'impegno dell'annuncio del vangelo in un mondo che cambia, ma anche punto di rilancio di quell'urgenza e improrogabilità dell'annuncio e della testimonianza cristiana che ripartendo da una forte centralità cristologica ed apertura antropologica si proietta fino agli orientamenti per il prossimo decennio, Educare alla vita buona del Vangelo.

Un tema prevalente
Un tema che appare centrale, così come soggiacente e trasversale ai contributi e relazioni del prima, durante e dopo Convegno, poi ribadito ed approfondito nel discorso di Benedetto XVI, è quello della Resurrezione di Gesù. Da questo evento, radicato nella storia, deriva quella possibilità salvifica gratuitamente offerta all'uomo di poter entrare in comunione e relazione con la Persona del Cristo Crocifisso e Risorto attraverso un incontro che chiederà di essere oggettivato nell'esercizio della speranza e della testimonianza cristiana, individuata dal Convegno nei cinque grandi ambiti dell'esperienza esistenziale umana: vita affettiva, tradizione, lavoro e festa, fragilità, cittadinanza. Porre al centro la Resurrezione significa affermare che ciò che comunemente era considerato un epilogo, come ci ha voluto ricordare lo studio di Durrwell, (La resurrezione di Gesù. Mistero di salvezza) è in realtà il punto di partenza, non soltanto tuttavia in una prospettiva teologica ma anche ecclesiologica. La fede in Cristo risorto è presentata come "pegno della speranza" e fonte, nello Spirito, della testimonianza. Questa scelta sembra richiamare quell'originaria esperienza dei primi cristiani che "scoprirono" la resurrezione di Gesù, "di fede in fede", attraverso la mediazione della Parola, già prima che fosse scritta, e dei Sacramenti, avvalendosi di quella mediazione che è all'origine della stessa Chiesa, nella quale il diaconato permanente ha ricoperto un certo ruolo.

La mediazione della fede trasmette la speranza
Riferendosi alla Pasqua, giustamente il documento afferma: «È proprio la Pasqua del Signore a suggerirci la via da seguire, a svelarci l'origine e il compimento di ogni speranza» (NdV 2). Questa consapevolezza sembra ispirare il titolo del testo post Convegno, "Rigenerati per una speranza viva (1Pt 1,3)". Testimoni del grande "sì" di Dio all'uomo, risposta della Chiesa a quel percorso di oggettivazione della propria fede-esperienza del Risorto, che, scaturendo da una conversione che ha accolto, la sovrabbondanza dell'amore e la grazia del perdono, diviene inno di benedizione e ringraziamento a Dio per la sua opera. L'essere «Chiesa del Risorto», radicata negli effetti della sua resurrezione, è quella condizione che come memoria rigenera «per una speranza viva», mentre come profezia comunica ed annuncia quell'oggi di Dio «a servizio della speranza di un'umanità intera» (NdV 1).
Percorso di maturazione ed autocoscienza ecclesiale che si rinnova mediante quella centralità della Parola di Dio, esigenza da tempo avvertita ed auspicata, poi realizzata nel Convegno che si pone in ascolto della prima lettera di Pietro, per un segnale interessante ed incoraggiante che pone la Scrittura non soltanto come «anima della teologia» (cf. OT 16) ma anche come "anima" della riflessione della Chiesa a suo conforto ed orientamento (cf. NdV 4).

Il pegno della speranza
Come ha ricordato il Papa, nel suo Discorso a Verona, che fa da sfondo alla nota della CEI sul dopo Convegno, è proprio la resurrezione ad essere «pegno della speranza». Dall'incontro con il Risorto, scaturisce la speranza viva del credente e l'apertura verso la cultura del mondo, «bisognosa di speranza». Il Gesù risorto è presentato come fonte di una speranza (NdV 5), che ha ripercussioni anche sul piano antropologico. La Pasqua è, infatti, la nuova prospettiva attraverso la quale è possibile guardare ad ogni esperienza umana, rischiarando le situazioni più complesse.
Essa è fonte di questa «grande mutazione» (Benedetto XVI, Discorso a Verona) accolta dal cristiano nel battesimo, che realizza, di fatto, un'identità nuova che si percepisce in quei comportamenti personali ed ecclesiali che, come frutti e "germi di vita risorta", modificano e trasfigurano la storia umana, annunciando la speranza per l'umanità, lasciando che la resurrezione s'incarni nella storia. Tutto ciò rimanda all'incontro personale con il Risorto, che tuttavia sarà sperimentato non nelle opere ma nell'amore, rimanendo visibile in «chi si riconosce amato da Cristo» (NdV 9). Per questo motivo se ne può fare esperienza nell'oggi nelle nostre comunità ecclesiali, "sacramento del Risorto" (NdV 6). La reale efficacia ed incisività, per quanto riguarda il faticoso cammino di estrinsecazione della novità salvifica di quest'incontro, è stata studiata e analizzata negli ambiti di lavoro. La scelta degli ambiti risponde alla possibilità e necessità di annunciare la novità dell'incontro con il Risorto «nelle forme culturali dell'esperienza umana» (NdV 4). Invece di prendere in esame le classiche tematiche dei precedenti convegni, l'opzione degli ambiti, così come sottolineato da Brambilla nella sua relazione, coniugando la dimensione orizzontale-comunionale con quella trascendente-verticale, può essere un antidoto utile al superamento di una certa autoreferenzialità e di quelle difficoltà di ascolto reciproco che solitamente s'incontrano nell'analisi per tematiche.

Lo spirito di testimonianza: gli ambiti del Convegno
L'ambito che più ci interessa, perché in esso ha trovato accoglienza un riferimento concreto e diretto al ministero e servizio diaconale, sia in sede del Convegno nei gruppi di lavoro che poi nel testo finale della nota post Verona, è quello relativo alla fragilità umana. Settore ampio, che consente di spaziare dall'ambito economico a quello giuridico, da quello sanitario a quello culturale, denotando sia una fragilità di natura ontologica, avvertita in un certo modo come "minaccia", che una fragilità bisognosa di apertura, accoglienza e fiducia, che diviene "opportunità" di un oculato annuncio, testimonianza e servizio pastorale.

Il diaconato a servizio di ogni fragilità
Nella sintesi finale dei lavori per ambito, realizzata a cura di A. Sabatini già in sede congressuale, che si prefigge di offrire le linee-guida ed orientamenti emersi dalle molteplici indicazioni assembleari, al fine di elaborare un approccio pastorale integrato che tratteggi il cammino da compiere per un ministero dell'umanità-condivisione, dopo aver auspicato la centralità della Parola di Dio, si suggerisce un approfondimento sul «valore» e «rilievo» del diaconato permanente augurandosi: «Il riconoscimento del valore e dello straordinario rilievo attuale, tra i ministeri, del Diaconato, "per il" e "nel" servizio alle persone fragili, con invito al suo pieno impiego».

La condivisione della fragilità, inizio di ogni evangelizzazione
Certamente il "servizio alle persone fragili" individua uno degli ambiti di esercizio del ministero diaconale, per il quale il diacono, chinandosi di fronte alle altrui sofferenze risponde a quella chiamata di servizio e sequela cristologicamente fondata, tuttavia quest'invito sembra cogliere ancora una volta solo uno degli aspetti che caratterizzano la mediazione diaconale. Il testo della Nota dopo Verona, recepisce questo passaggio, inserendo un riferimento diretto ai diaconi permanenti proprio all'interno dell'ambito della fragilità umana. Forse si corregge il tiro rispetto alla sintesi congressuale, perché comprendiamo meglio chi sono le persone fragili. Dopo essersi soffermato sull'inscindibile binomio di parola (annuncio) - opere, sono introdotti i diaconi: «Le diverse esperienze di evangelizzazione della fragilità umana, anche grazie all'apporto dei consacrati e dei diaconi permanenti, danno forma a un ricco patrimonio di umanità e di condivisione, che esprime la fantasia della carità e la sollecitudine della Chiesa verso ogni uomo» (NdV 12). Le «diverse esperienze di evangelizzazione», che vedrebbero in un certo modo coinvolto anche il ministero diaconale, sono riportate poco prima e sono così sintetizzate: «adattare i percorsi educativi, a potenziare la cooperazione e la solidarietà, a diffondere una cultura e una prassi di accoglienza della vita, a denunciare le ingiustizie sociali, a curare la formazione del volontariato».
Questa volta sembra emergere un orizzonte più ampio e incoraggiante, che mentre ha il merito di allargare il campo di azione dei diaconi, non limitandone l'apporto al solo "servizio assistenziale", tuttavia, mantenendosi ad un livello generale dell'analisi, non distingue gli apporti che traducono la natura e l'essenza del diaconato, offrendo un livellamento che assimilerebbe l'apporto dei diaconi a quello dei laici. Quale il proprium del diaconato?

Come vedere e toccare il Signore Risorto?
L'altra ricorrenza degna di nota, al di là del saluto finale (NdV 30) nel cui elenco è presente anche la figura del diacono, è la citazione del termine "diaconato permanente", unica ricorrenza nel testo, all'interno di una rilettura delle "vocazioni e ministeri", come testimonianza della speranza cristiana in un mondo in rapido sviluppo, ed espressione della "varietà nell'unità" in seno al dinamismo ecclesiale. Anche su questo passaggio è interessante riportare integralmente il testo: «Chi si consacra al Signore per il Regno e quanti accolgono la chiamata al sacerdozio ministeriale e al diaconato permanente offrono in modo speciale la loro esistenza perché altre persone possano essere aiutate a "vedere" e "toccare" in certo modo quel Gesù che essi hanno accolto» (NdV 28).
È utile puntualizzare che il diaconato permanente è anch'esso una chiamata, e non risponde pertanto a facili improvvisazioni, a slanci passionali o volontaristici, autocandidature varie, desideri di rivalsa o rivincite, ma è una chiamata che diviene "luogo" di incontro e mediazione con Cristo, richiedendo pertanto un tempo congruo di discernimento e formazione. Il passaggio in questione tuttavia, mantenendosi in uno stadio generale della presentazione dei ministeri, preferisce non soffermarsi sulla distinzione fra chiamata al sacerdozio e al diaconato, rischiando di avallare un certo livellamento che non rende merito alla differenziazione e varietà delle due chiamate. Tuttavia anche se c'è ancora molto da fare, non mancano i segnali incoraggianti. Il ministero del diacono permanente può certamente contribuire nel ridare speranza alle fragilità umane, versando nelle ferite e spesso nelle piaghe dell'uomo, non solo l'olio della cura che solleva questa "debolezza antropologica", ma anche quel balsamo della Parola, che, rinnovando la novità della Resurrezione, fa del diacono il ministero dell'annuncio e della consolazione divina. Ciò si renderà sempre più necessario nel nostro tempo, nel quale ormai sono in molti a preferire al termine di fragilità, quello di complessità. Una società complessa, un uomo complesso che ha bisogno dell'incontro con mediatori efficaci e servi umili e fedeli.

Un'esperienza riconsegnata alle chiese particolari
Al tempo della riflessione subentra quello della verifica, così il patrimonio di considerazioni, progetti e proposte è offerto alle singole comunità diocesane e parrocchie perché possano «individuare le scelte più adatte per la loro vita» (NdV 4). La domanda che ci attraversa è dunque: come fare esperienza del Risorto oggi nelle nostre comunità cristiane? Cosa è filtrato?

Per colmare le distanze
Penso sia innanzitutto necessario coniugare una buona dose di osservazione con una visione d'insieme, invocando uno sguardo ampio, sereno e disteso, anche retrospettivo in grado di abbracciare un arco temporale che scorgendo quel clima di apertura, ottimismo e fiducia che ha gradualmente scandito i rapporti tra Chiesa, uomo e mondo, si è poi tradotto sul piano ecclesiale in un graduale percorso di maturazione ed autocoscienza di un'identità e missione che a volte fatica ad elaborare i contenuti e i metodi dell'annuncio e della testimonianza, per quel difetto endemico dell'autoaffermazione personale dei singoli, per l'egoismo di idee totalizzanti, che chiudendosi alla voce dello Spirito, che invece parla alle Chiese (Ap 2,7) rischia di non valorizzare ministeri e carismi. Questa "distanza" richiede di essere colmata attraverso quel percorso di oggettivazione della conversione che è favorita dalle mediazioni che "prolungano" la presenza di Cristo crocifisso e risorto in mezzo a noi, dalla Parola ai sacramenti fino alle singole comunità e credenti che mediano l'incontro con Cristo.
Mi sembra a tal riguardo di osservare una riscoperta della centralità della Parola di Dio. Da più parti si diffondono esperienze di Lectio Divina, che, quando non sono improvvisate o confuse con letture che lectio non sono, producono frutti sorprendenti di conversione e unione comunitaria ed ecclesiale. Questo è un piccolo passo in quel primato di Dio nella vita della Chiesa auspicato dal documento (NdV 4).



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