Domenica di Pasqua



ANNO A - 24 aprile 2011
Domenica di Pasqua

At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 [1Cor 5,6b-8]
Gv 20,1-9

LA PASQUA, ANNUNCIO
DI NOVITÀ E DI VITTORIA


Cosa sia successo quella notte è difficile dirlo, appartiene alla sfera di Dio, l'unico che può risvegliare dai morti. Tutto arriva di nuovo a parola e, quindi, a consapevolezza, soltanto all'alba. Diviene così storia di un passaggio dalle tenebre alla luce, dal dubbio alla fede, dall'incertezza alla testimonianza. È questa la Pasqua: coloro che erano rimasti ammutoliti dopo la crocifissione del Maestro riprendono a parlare e il loro parlarsi gli uni gli altri genera, lentamente, la storia di un annuncio. Ancora una volta il vangelo di Giovanni presenta come chiave di volta dell'esperienza discepolare una donna. Come nel caso della Samaritana, di Marta, di Maria di Betania, anche Maria di Magdala segna il confine tra un prima e un dopo. Questa volta, però, si tratta del confine decisivo, quello tra la fiducia in Gesù, profeta e rabbi galileo, e la fede nel Cristo risorto.

I racconti di risurrezione giovannei che hanno come protagonista Maria di Magdala sono più di uno, a riprova che questa donna a cui, per prima, è apparso il Risorto ha lasciato nella tradizione tracce molteplici che difficilmente era possibile accantonare. Non è andata così, invece, man mano che le Chiese cristiane hanno costruito se stesse, si sono organizzate e istituzionalizzate. Per quasi due millenni questi racconti hanno risuonato nella liturgia e nella catechesi, hanno animato la spiritualità di milioni di uomini e donne, hanno ispirato infinite raffigurazioni artistiche diventando però progressivamente sempre più insignificanti. Non per la devozione e la pietà individuali, ma per la vita e la missione della Chiesa, cioè sul piano della sua apostolicità.

Coloro che non vogliono commistioni tra femminismo e dignità ecclesiale delle donne hanno una qualche ragione. In fondo, la testimonianza giovannea su Maria di Magdala e quella sinottica sul gruppo delle discepole galilee aprono i racconti della risurrezione da molto tempo prima che nascesse il femminismo. La questione diventa allora ancora più incalzante: perché quella donna che il primo racconto della risurrezione di Giovanni (20,1-9) ci presenta come apostola apostolorum e il secondo racconto (20, 11ss.) profila addirittura come "apostola del Risorto" viene stigmatizzata dalla tradizione ufficiale come penitente e da fantasiose interpretazioni a carattere marginale come amante di Gesù? La risposta ha il sapore amaro della constatazione: dalla tenaglia degli stereotipi sessuali non si sono salvate neppure le discepole di Gesù.
Anche se da diversi anni, parlando tutti a tempo e fuori tempo di donne, il discorso si è fatto stucchevole, la liturgia della mattina di pasqua ci impone di riconoscere che la tradizione cristiana deve la genesi della fede nella risurrezione, e gli inizi della predicazione apostolica ad una donna. È lei che scopre e segnala il peso di un'assenza: Gesù non è più in mezzo ai suoi neppure come cadavere da venerare. All'alba del giorno di Pasqua tutti corrono: Maria corre da Pietro e dal discepolo prediletto che a loro volta corrono al sepolcro. Ma correre non serve: per arrivare a credere nella risurrezione ci vuole tempo, perché bisogna lasciarsi interpellare dall'ambiguità dei segni e bisogna, soprattutto, indagare la Scrittura.

L'esperienza visionaria alla base della fede nel Risorto è stata certamente entusiasta, ma lontana da un impatto emozionale. Pietro e "l'altro discepolo", che sono rappresentativi di due importanti filoni della tradizione cristiana primitiva, devono accettare l'uno di vedere e non capire, l'altro di vedere e credere, e di essere entrambi incapaci di rendere ragione della loro esperienza perché non hanno ancora cercato nella Scrittura le parole per trasmetterla. Tra la genesi della fede nella risurrezione, che si gioca sulla soglia di quel sepolcro e nel passaggio dalle tenebre della notte alle luci dell'alba, e l'epoca della predicazione apostolica, di cui il discorso kerigmatico di Pietro in casa di Cornelio è chiara testimonianza, intercorre il tempo delle apparizioni.
Un tempo più qualitativo che quantitativo, scandito dall'esperienza di vicinanza e intimità con il Risorto più che dal passare dei giorni. Il Risorto si fa presente, si rende riconoscibile, indica i modi per diventare suoi discepoli dentro la nuova economia del tempo dello Spirito. Per Giovanni la prima a fare esperienza del Risorto è Maria di Magdala che passa così dal discepolato nella carne al discepolato nello spirito. Non soltanto: Maria è anche l'unica a cui il Cristo appare in modo assolutamente individuale. Fermo restando, però, che il mandato apostolico che corona l'apparizione sottrae la sua esperienza a qualsiasi intimismo. La critica rivolta ai primi cristiani dai censori della nuova fede era fin troppo facile: quale affidabilità poteva vantare una fede religiosa nata a partire dalle pretese visionarie di una donna?

Credere nella risurrezione, del resto, non è facile. Anzi, quando si presenta come facile, forse è solo una bella illusione. Per questo le Chiese giocano la loro credibilità proprio sulla fede nella risurrezione. La pasqua è annuncio di novità e di gioia, di vita e di vittoria. È però anche pietra di inciampo: la visionaria di Magdala chiede ai discepoli di Gesù di diventare discepoli del Signore Risorto, di non tradurre la risurrezione in nuova ideologia religiosa. È forse per questo che la tradizione successiva ha espropriato Maria del suo mandato apostolico?


VITA PASTORALE N. 3/2011 (commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)




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