Il diaconato in Italia n° 164/165
(settembre/dicembre 2010)
CONTRIBUTO
Rileggendo il cammino della diaconia liturgica
di Enzo Petrolino
Sfogliando i centosessantatre numeri della Rivista Il Diaconato in Italia, con lo sguardo attento di chi vuole cogliere nel tempo il percorso e lo sviluppo del rapporto diaconato-liturgia, ci si accorge che alcune felici intuizioni - ancora attuali - furono presenti sin dagli inizi della sua pubblicazione. Già nel quarto numero, infatti, sulla spinta dell'evento conciliare e dei documenti pontifici di Paolo VI, troviamo un articolo interessante sul servizio liturgico del diacono1, con un preciso richiamo in particolare al servizio alla Parola di Dio.
In quegli anni il problema di comunità parrocchiali senza presbitero in Italia non si poneva ancora: esso riguardava per lo più le terre di missione. Veniva però già a delinearsi la duplice caratterizzazione della liturgia della Parola a seconda che essa fosse presieduta da un laico o da un diacono. Quello che colpisce maggiormente è l'esortazione - già presente in quell'articolo - a promuovere una celebrazione della parola, al mattino o alla sera, anche là dove si celebra la messa, proprio per evitare l'abuso presbiterale di binare o trinare e, quindi, il proliferare ingiustificato di celebrazioni eucaristiche. In questo contesto prezioso e qualificante viene collocato il servizio omiletico diaconale, nel quale l'autore dell'articolo intravede già sviluppi significativi per il futuro ministero del diacono. Sviluppi che di fatto non accompagneranno la riflessione negli anni successivi su questo nodo nevralgico della celebrazione, un atto presidenziale che, anche se non rientra primariamente nel servizio diaconale, richiede ugualmente da parte dei diaconi grande attenzione2 perché l'omelia è - come dice SC (n. 35) - «annunzio delle meraviglie compiute da Dio nel mistero di Cristo, presente e operante soprattutto nelle celebrazioni liturgiche».
La Rivista si occuperà dell'omelia in un intero numero3 finalizzato ad «indirizzare verso la comprensione liturgica dell'omelia, sempre da riconsiderare», e a procurare inoltre «un sicuro orientamento nell'attuale letteratura, viziata di panomilismo, ricca di sollecitazioni, di suggestioni, a volte superficiali, a volte impraticabili, per apprezzare contributi e preziosità altrimenti sconosciuti» (Editoriale). Interessante mi sembra richiamare, pur sinteticamente, alcune piste proposte dallo studio: «L'omelia: struttura e ministero»4. Per ogni omelia che si indirizza all'assemblea è necessario dichiarare ed annunciare che in Cristo si è compiuto e qui si compie la salvezza annunciata dalle Scritture proclamate (Lc 4,21; 24,25). L'omelia si situa sempre in un contesto di realtà vive, in una celebrazione che «diventa nuovo evento e arricchisce la parola stessa di una nuova efficace interpretazione». S. Agostino afferma che per essere ascoltato docilmente, più che la solennità della elocuzione ha peso senza dubbio la vita dell'oratore. La realtà è che molte comunità parrocchiali e di altro tipo vivono e si consolidano grazie all'omelia di ogni domenica, nella quale si compendia la parte maggiore del ministero della parola. Se essa non funziona, «il messaggio non arriva e la casa di Dio piomba nel buio». Oggetto dell'omelia sono le Scritture e la celebrazione stessa, senza per questo escludere un opportuno collegamento verso l'azione e l'attualità. La moderna esegesi offre valide indicazioni per una buona omelia: ricostruzione del contesto storico; teologia dei singoli agiografi (soprattutto per i sinottici); contesti d'insieme, talvolta non riportati dal lezionario; giusto equilibrio fra commento letterale ed interpretazione spirituale.
Per «attualizzazione» s'intende il rapporto dell'omelia con il mondo, procedimento necessario dato che è impossibile parlare fuori del proprio tempo, anche quando lo si condanna. Attualizzazione non significa, però, semplicemente gettare qualche ponte con gli avvenimenti di cronaca, ma la cronaca deve entrare nell'omelia dopo un doveroso discernimento. Quanto al linguaggio, sono utili le seguenti indicazioni: si eviti ogni inutile complessità; si entri nel linguaggio della comunità cui si parla; si tenga presente che l'omelia ha una propria situazione comunicativa non sempre assimilabile ad altri criteri mediali; si presti attenzione alle immagini e alle etimologie presenti nel testo.
C'è, inoltre, una progressione nel livello di attualizzazione del testo: attualizzazione celebrativo-sacramentale (qui si compie questa Parola); attualizzazione morale (qui è data la grazia per vivere questa Parola); attualizzazione spirituale (collegamento della Parola alle categorie della vita spirituale); attualizzazione di relazione al tempo presente (rapporto con la cultura di oggi); attualizzazione negativa (se situazioni non chiare nella vita della comunità mettono a disagio l'omelia, meglio dirlo: questa Parola oggi ci mette in crisi...).
Da evitare sempre e comunque: l'omelia al vetriolo (regolamento di conti per "interposta Parola di Dio"); l'omelia fatti di cronaca spicciola (Ieri ho incontrato un tizio che mi ha detto…); l'omelia panegirico (dice tante cose su vivi e defunti e non lascia spazio né tempo per Gesù Cristo); l'omelia minestrone (di tutto, di più); l'omelia esegesi (spiegazione senza attualizzazione); l'omelia dottrinale (tesa ad inculcare una dottrina ad ogni costo e con collegamenti acrobatici; l'omelia morale (spinti dall'ossessione per la morale, si sfrutta la Parola di Dio).
Si parlerà ancora dell'omelia nella Rivista5 nel contesto della riflessione sulla diaconia della Parola6 in coincidenza con il Sinodo dei vescovi che si è tenuto nell'ottobre del 2008 ed ha avuto per tema la Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Nel messaggio conclusivo del Sinodo molti sono gli spunti interessanti per i diaconi: è detto che «il vertice della predicazione è l'omelia che ancor oggi per molti cristiani è il momento capitale dell'incontro con la Parola di Dio. […] È ciò che Gesù stesso aveva fatto nell'itinerario da Gerusalemme a Emmaus in compagnia di due suoi discepoli. È ciò che farà il diacono Filippo sulla strada da Gerusalemme a Gaza, quando col funzionario etiope intesserà quel dialogo emblematico: "Capisci quello che stai leggendo?.. E come potrei capire se nessuno mi guida?" (At 8,30-31). E la meta sarà l'incontro pieno con Cristo nel sacramento. Si presenta, così, la seconda colonna che regge la Chiesa, casa della parola divina». È interessante cogliere quindi in queste parole le prospettive future per il diaconato, partendo proprio dalla Parola di Dio.
Ed i diaconi come discepoli di Cristo, come tutta la Chiesa, sono chiamati ad essere solidali con il genere umano e con la sua storia. Cristo apre il suo ministero pubblico proprio con un annuncio di speranza per gli ultimi della terra: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Le sue mani si posano ripetutamente su carni malate o infette, le sue parole proclamano la giustizia, infondono coraggio agli infelici, donano perdono ai peccatori. Alla fine, lui stesso si accosta al livello più basso, «svuotando se stesso» della sua gloria, «assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini..., umiliando se stesso e facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,7-8). Non è forse questo il ministero del diacono? Non è questa la sua missione oggi? Sicuramente dobbiamo interrogarci seriamente sul nostro servizio nella Chiesa per poter giungere coraggiosamente e ad un salto di qualità.
Ritornando agli inizi della Rivista, troviamo fino agli anni '70 un susseguirsi di articoli sempre sulle funzioni liturgiche del diacono e sul suo servizio ai sacramenti, sulla spinta anche in quegli anni della scelta della Chiesa italiana del tema «evangelizzazione e sacramenti» come programma del proprio cammino. La riflessione, quindi, sul rapporto parola-sacramento è stata affrontata ed esaminata sullo sfondo della comunità di salvezza, in modo che risaltasse con evidenza l'unità bipolare di questi due elementi (parola-sacramento) in tutta l'espressione salvifico-comunitaria della liturgia.
Negli anni '80 il piano pastorale della CEI «Comunione e comunità» accompagnerà il cammino pastorale della Chiesa italiana. In questo contesto i vescovi italiani segnalavano, tra i momenti qualificanti di comunione, «la liturgia» che, nella sua realtà fondante e centrale dell'eucaristia, «celebra nella comunità dei credenti il mistero pasquale, la cui azione rinnovatrice si dischiude e sviluppa nella totalità dei sacramenti che Cristo ha donato alla Chiesa». Con «Eucaristia, comunione e comunità», siamo al cuore del rinnovamento pastorale avviato dalla chiesa italiana dopo il Concilio. Nell'Eucaristia infatti, ritroviamo quasi in sintesi le scelte pastorali che hanno guidato la riflessione e l'impegno della fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Si è trattato di scelte che l'Eucaristia ripropone: la priorità della Parola di Dio, fonte di vita e di conversione; l'inscindibile nesso tra Parola, Sacramenti e Vita cristiana, che ogni celebrazione eucaristica fa vivere; il dono della comunione per edificare una autentica comunità ecclesiale, che trova nell'Eucaristia la sua fonte e il suo culmine. Di fatto sia le riflessioni sulla Rivista sia i Convegni promossi dalla Comunità del diaconato in Italia verteranno sul tema dell'Eucaristia. Gli orientamenti pastorali per gli anni '90, su «Evangelizzazione e testimonianza della Carità», hanno coniugato il binomio Liturgia-Carità. Il cammino della Chiesa in Italia poneva così come suoi obiettivi fondamentali: la rievangelizzazione della stessa comunità ecclesiale, in una pienezza di credibilità e trasparenza; la maturazione nelle chiese locali di una fede adulta, capace di realizzare l'osmosi tra l'annuncio, la celebrazione, la vita. Gli studi di questi anni '90 saranno quindi attraversati da questo rapporto tra liturgia, carità e ministero diaconale.
Diversi potrebbero essere, ovviamente, gli approcci ad una approfondita analisi degli articoli presenti nella Rivista; mi sembra, però, che la scelta di una lettura trasversale delle varie tematiche possa contribuire in qualche misura ad una valutazione oggettiva e ad una interessante rilettura del rapporto liturgia-diaconia-diaconato. Movente e insieme scopo di questo contributo è lo sforzo di guardare ai vari numeri della Rivista con l'intento di coglierne tutti i tesori presenti e captarne i motivi più vivaci, tentando di sintetizzare linee contenutistiche che servano simultaneamente allo studio e alla lettura delle realtà liturgica del ministero diaconale in questi trent'anni. Queste le piste che indicherei con i seguenti slogans: «Non per il sacerdozio, ma per il servizio»; «Va' e anche tu fa' lo stesso».
Non per il sacerdozio, ma per il servizio
Sin dai suoi primi numeri, la rivista ha operato una lettura chiara ed inequivocabile di quanto il Concilio aveva detto in relazione ai ministero diaconale. Pur collocando l'impegno del diacono nell'ambito dei tre alvei fondamentali della vita ecclesiale (evangelizzazione, liturgia, carità), la LG menziona in primo luogo «il ministero della liturgia», e sulla scorta di questa indicazione, il n. 4 della Rivista sottolinea come l'istruire e l'esortare il popolo da parte del diacono vada ad inserirsi sempre in un contesto liturgico: è primariamente nella liturgia che si realizza la sua funzione di «legame» tra quanto si svolge all'altare e la partecipazione del popolo. Molto interessanti, in questo numero, le due sottolineature - sostanziale la prima, più pastorale la seconda - concernenti la vita e la formazione diaconale: Il diacono «deve vivere della grazia che promana dalla liturgia e, in particolare, dall'Eucarestia»: è per mezzo della grazia sacramentale che egli viene assimilato al Cristo, il «Servitore-Diacono» per eccellenza; nella formazione dei diaconi importantissima è la loro «educazione liturgica», sia come conoscenza delle celebrazioni sia come conoscenza delle tecniche di presidenza, guida, commento. Il n. 6 della Rivista7 presenta una impresa ed un ampliamento al questa seconda puntualizzazione concernente il problema della formazione, soprattutto in relazione alla carenza di preti che, in quegli anni, già sì andava delineando: «è necessario» - si dice in questo numero - «che la formazione dei diaconi sia completa sia dal punto di vista teologico che da quello pastorale e spirituale. Si tratta di preparare autentici ministri della gerarchia», facendo però attenzione, nello stesso tempo, a non clericalizzare i diaconi.
Partendo da questa attenzione, molto chiaramente si afferma che il ministero del diacono non può mai ridursi a questa o quella funzione sacramentale, ma deve abbracciare tutta la vita ecclesiale, essendo egli espressione - come più volte si dirà in numeri successivi - dell'intera diaconia della Chiesa. Il diacono-evangelizzatore, catecheta ed anche mistagogo non può limitare il suo servizio all'uno o all'altro ambito della vita ecclesiale: assimilato al Cristo venuto non per essere servito ma per servire, egli deve adoperarsi per colmare la frattura ancora esistente fra liturgia e vita, con una presenza autentica ed operante. Come chiaramente è affermato nel nn. 101-1028, egli, attraverso questa diaconia liturgica, «consente alle celebrazioni di assumere la giusta concretezza essenziale, proprio per il continuo travaso dalla vita liturgica alla vita profana e viceversa», così da trasformare la liturgia «rituale» in liturgia «della vita». Una liturgia «vissuta», infatti, ha bisogno dell'aggancio con la vita, con la testimonianza del quotidiano: in questo difficile passaggio, il diacono «trova nella liturgia la fonte di ogni grazia e il punto culminante verso cui tutto il suo ministero converge», come leggiamo nel documento «La restaurazione del diaconato in Italia» (n. 25), ripreso dal n. 799 della Rivista. Il diacono fa dunque da ponte-cerniera fra mondo e Chiesa, aiutando i fedeli ad incontrare Cristo Servo di tutti. A lungo si è pensato che il diaconato cominciasse laddove la liturgia si concludeva: essa restava un punto di riferimento, una fonte di ispirazione, ma il diacono veniva da certe correnti di pensiero invitato ad immergersi in una sorta di «presunta fedeltà alla storia». Il n. 49 della Rivista10 tratta ampiamente di questo recupero della dimensione fontale ed insieme finale della liturgia, ribadendo che «ogni peccato non è altro che dimenticanza della liturgia ed evasione dalla storia nuova che il Padre ha creato e ci ha donato in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito». La diaconia, dunque, non può essere concepita senza la liturgia, la quale costituisce il nesso che la unisce sacramentalmente alla diaconia di Cristo (n. 88) 11.
Va' e anche tu fa' lo stesso
Nella descrizione dei tratti peculiari del ministero diaconale, più volte si è ribadito che, pur operando in ambiti e situazioni spesso diverse, il diacono non sceglie mai di escludere dal suo servizio questo o quel settore della diaconia della Chiesa. L'insieme dei compiti diaconali - si legge già al n. 6 - va concepito e vissuto nella dimensione missionaria della Chiesa, in obbedienza al comando di Gesù «Va' e anche tu fa' lo stesso». Non esiste dunque una linea di separazione tra servizio della Parola, dell'altare e della carità, anzi, una tale separazione intaccherebbe la natura stessa del ministero diaconale. Inizialmente, il «servizio delle tavole» fu inteso come esclusivo riferimento all'unico servizio della «tavola sacrificale», e il diacono non sentiva di avere alcuna funzione al di fuori della liturgia. Fu proprio questo impoverimento a generare il declino del diaconato in Occidente. Oggi questa visione settoriale è superata, e il diacono è consapevole del suo ruolo di ponte fra mondo e Chiesa, sa di essere destinatario e strumento della missione stessa della Chiesa, sacramento del Cristo-Servo in mezzo agli uomini. Questo motivo ritorna in diversi numeri della Rivista come un motivo dominante: il servizio diaconale è espressione della carità di Gesù e, al tempo stesso, promozione della carità nella comunità cristiana.
Il n. 89 è dedicato al Convegno di Assisi del 1992, dove illuminante e preziosa è stata la lettura della parabola del buon Samaritano in chiave diaconale12. Il comando di Gesù a chi lo interrogava sull'amore del prossimo «Va' e anche tu fa' lo stesso» ci dice ancora una volta che la fonte di ogni ministero è l'Eucaristia - banchetto della carità e sacramento del dono di sé - e che c'è un legame strettissimo ed inscindibile tra la celebrazione dei misteri ed ogni compito ministeriale. È sempre nella liturgia che si dispiega la rivelazione divina di chi sia il nostro prossimo, ed è là che il diacono apprende il segreto dello sguardo compassionevole di Dio su di lui. Come nella parabola del buon Samaritano, egli percorre le tappe dell'esperienza della misericordia: diventa esperto» nell'attenzione all'altro e nella comprensione dei suoi bisogni [lo vide e ne ebbe compassione], «esperto» nelle imponderabili ma percorribili vie della salvezza [gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino], «esperto» nella comunione che condivide e si prende cura, accompagna e consola [estrasse due denari e li diede all'albergatore dicendo: Abbi cura di lui], nonché annunciatore e testimone della salvezza che egli stesso - uomo fra gli uomini - ha sperimentato nella sua vita. A motivo dei doni ricevuti e in forza della grazia che promana dalla liturgia, dunque, il diacono è (n. 79) uomo delle relazioni, dei contatti, punta avanzata dell'evangelizzazione, varcatore di frontiere, testimone presso i lontani, suscitatore e promotore della ministerialità e della carità, costruttore di rapporti umani improntati al reciproco rispetto e finalizzati al bene comune.
Nel n. 49 la Rivista riportava gli atti del Convegno del 1982, fortemente caratterizzato da due relazioni di mons. Agresti, la prima sull'ecclesiologia biblica e post-conciliare13, la seconda sulla pastorale diaconale nella Chiesa del post-Concilio14. Tra le intuizioni contenute in queste relazioni, sottolineano i seguenti punti. La presenza del diacono non sia riduttiva o puramente sostitutiva, ma autonoma e nuova e, in certo modo, «piena» secondo i compiti specifici dell'ordinazione diaconale. Lasciare ai diaconi il loro spazio ministeriale favorisce la promozione di una Chiesa più presente nonché una maggior creatività di servizio. La «capillarizzazione» nella vita della Chiesa non è un espediente tattico, ma una risposta alle esigenze dell'esistenza umana. Essa si realizza attraverso la corresponsabilità ministeriale. La pastorale diaconale deve aprirsi a trovare spazi per comunità «personali» di categoria o degli ambienti più difficili e di emarginazione, dove vivono i nuovi poveri. L'attenzione alla famiglia costituisce la base per una pastorale decentrata, per la costituzione di centri missionari, per la realizzazione della catechesi agli adulti, ambito privilegiato dei diaconi sposati.
Queste indicazioni sono state poi riprese nel numero successivo (n. 50)15 soprattutto in relazione al ruolo del diacono nell'opera dell'iniziazione cristiana: qui egli ha la sua funzione non solo nei momenti celebrativi, ma come animatore della comunità ecclesiale. All'interno di un progetto pastorale che è quello della Chiesa locale, egli deve far maturare tutte le iniziative coinvolgendo famiglie e comunità in una serie di attività che tengano conto soprattutto delle diverse età.
Conclusione
Dall'excursus fin qui condotto emerge che nel rapporto con la liturgia il diacono può correre il rischio di adottare il modello del levita e di chiudersi nei compiti cultuali, senza preoccuparsi di fare incontrare il suo servizio all'altare con la vita degli uomini e soprattutto con i poveri, incontro essenziale per trasmettere più chiaramente il giusto senso alla Chiesa e al mondo di ciò che egli è: il Cristo presente fra gli uomini per servire. È, comunque, l'Eucaristia che qualifica ed unifica il servizio del diacono, «centro della sua vita e fonte di ogni grazia per il suo ministero». Quindi solo l'Eucaristia, nel contempo manifestazione ricapitolante della chiesa e centro di irraggiamento del suo servizio, potrà permettere il superamento di questi ostacoli. Tutto ciò suppone che il diacono sia costantemente attento a far sì che il posto che gli spetta nella liturgia sia un'occasione per manifestare il legame stretto tra il culto e la dimensione diaconale di tutta la Chiesa, tra le sorgenti evangeliche del culto e la vita quotidiana dei fedeli. Egli avrà dunque cura a non incoraggiare tipi di celebrazione che rischiano semplicemente di rafforzare sentimenti «pietistici» dei fedeli o di favorire l'aspetto «folcloristico» e «spettacolare» della liturgia.
Il diacono dovrà, invece, vigilare sullo stile di svolgimento della liturgia, così come sul proprio comportamento, affinché tutti i membri dell'assemblea ritrovino il senso profondo della propria partecipazione e legami solidi e fraterni si realizzino fra tutti in quanto comunità di cui Cristo è il principio e la sorgente. Questo lavoro, delicato e a lungo respiro, esige pazienza, lucidità e consapevolezza non facili, ma assolutamente essenziali per fare della liturgia l'espressione autentica di lode della comunità tutta. In ciò avrà importanza fondamentale il modo nel quale il diacono svolgerà il suo ministero liturgico, in relazione soprattutto al significato suo proprio, che è quello di servo. Preso fra il popolo per essere al servizio del popolo, cercherà con tutti i membri della Chiesa i mezzi appropriati per fare dei sacramenti e della liturgia eucaristica celebrazioni vive comunitarie, affinché il culto sia esso steso manifestazione di Cristo Servo. In questo modo Gesù rivelerà il volto esistenziale e storico dell'uomo per il bene di ogni fratello. Il servizio liturgico del diacono, ed in particolare quello eucaristico, deve trovare il modo di esprimere tale volto. Dunque, ad aiutare il diacono a crescere nel suo ministero, non sarà solo la descrizione dettagliata delle sue funzioni e dei suoi compiti, ma la sua capacità di far trasparire che la sua diaconia ha tutto il sapore della mensa umana di parola e di pane.
Note:
1 Cf. D. Sondigli, Il servizio liturgico del diacono, in Il Diaconato in Italia, n. 4, Reggio Emilia 1968.
2 Cf. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, Omelia e catechesi, n. 25.
3 Quale omelia? Storia, stili proposte, in Il Diaconato in Italia, n. 94, Reggio Emilia 1994.
4 Cf. R. Barile, L'omelia: struttura e ministero, in Il Diaconato in Italia, n. 94, pp. 7-49, Reggio Emilia 1994.
5 M. Sodi, L'omelia: un servizio alla Parola, nn. 152-153, settembre-dicembre 2008, p. 25.
6 I nn. 151, luglio-agosto e 152-153, settembre-dicembre 2008, trattano esplicitamente della diaconia della Parola: E. Petrolino, La Parola proclamata rinnova la creazione, p. 4.; Il servizio regale della preghiera dei fedeli, p. 30. F. Di Molfetta, Per servire la mensa della Parola, p. 39. C. Militello, Come rispondere alla Parola proclamata?, p. 42. Nel 2009 n. 154, gennaio-febbraio: P. Sorci, Dalla Parola alla Liturgia (I), p. 61; n. 155, marzo-aprile: Dalla Parola alla liturgia (II), p. 62.; n. 156, maggio-giugno: Dalla Parola alla Liturgia (III), p. 61; n. 157, luglio-agosto: Dalla Parola alla Liturgia (IV), p.63.
7 Cf. R. Schaller, Al servizio della liturgia e dei sacramenti, in Il Diaconato in Italia, n. 6, p. 15, Reggio Emilia 1969.
8 Cf. E. Petrolino, Il ministero liturgico del diacono, in Il Diaconato in Italia, n. 101-102, p. 151, Reggio Emilia 1996.
9 Cf. Id., Diaconato permanente e ministero liturgico, in Il Diaconato in Italia, n. 79, p. 93, Reggio Emilia 1990.
10 Cf. Il diacono nella liturgia eucaristica, in Il Diaconato in Italia, n. 49, p. 66, Reggio Emilia 1982.
11 Cf. S. Lyonnet, L'eucaristia fonte di ogni diaconia, in Il Diaconato in Italia, n. 88, p. 9, Reggio Emilia 1992.
12 Cf. G. Niccolini, Eucaristia e diaconato, in Il Diaconato in Italia, n. 89, p. 44 Reggio Emilia 1992.
13 Cf. G. Agresti, Il diaconato nell'ambito di una ecclesiologia biblica e post-conciliare, in Il Diaconato in Italia, n. 49, p. 33, Reggio Emilia 1982.
14 Cf. Id., Una pastorale diaconale in una Chiesa tutta ministeriale, in Il Diaconato in Italia, n. 49, p. 49, Reggio Emilia 1982.
15 Cf. Il diacono e l'iniziazione cristiana, in Il Diaconato in Italia, n. 50, p. 19, Reggio Emilia 1983.
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