Servi e poveri



Il diaconato in Italia n° 164/165
(settembre/dicembre 2010)

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Servi e poveri
di Pierluigi Castagnetti


Farsi povero per servire i poveri. Chi è ricco, chi si pone o resta su un piano superiore, non può servire, non può lavare i piedi. Per lavare i piedi a un altro è necessario abbassarsi, scendere più in basso dell'altro. Ho un'esperienza particolare come uomo politico, il cui ricordo non mi abbandona mai, soprattutto la sera, quando, come tutti, debbo tirare quattro somme sull'andamento della giornata. Appena venni eletto più di venti anni fa in Parlamento, un sacerdote della mia diocesi, Reggio Emilia, don Alberto Altana cominciò a tormentarmi quasi ogni sabato mattina, quando tornavo nel mio ufficio per incontrare i cittadini del mio collegio e lui si affacciava con due domande terribili: «Pierluigi, vuoi bene ai poveri?» e, alla mia spontanea risposta positiva, incalzava «Ma cosa hai fatto questa settimana per loro?». Cercavo di arrabattarmi, e le prime volte raccontavo di donazioni e gesti di solidarietà privata, ma, man mano passavano le settimane, questo santo prete non si accontentava delle mie risposte e mi chiedeva «ma cosa, concretamente, hai fatto come legislatore, come parlamentare della Repubblica?».
Devo dirvi che l'ossessione delle domande, delle stesse domande ripetute settimanalmente da quest'uomo mandato da Dio ha finito per plasmare il mio modo di vivere e analizzare il lavoro che facevo. Quando partivo per Roma all'inizio della settimana avevo già il pensiero di cosa avrei potuto raccontare il sabato seguente a don Alberto e, dunque, avevo l'assillo di produrre qualcosa per i poveri o per la pace. Don Alberto e don Tonino non ci sono più, io sono invecchiato e forse mi sono anche un po' rilassato, ci sono altri sacerdoti pazzi di Dio come loro, che hanno però troppo rispetto per la mia età e il mio ruolo. I politici hanno bisogno di essere adottati da qualche "pazzo di Dio" che li tormenti e li costringa a rispondere alla difficilissima domanda «Cosa hai fatto questa settimana per i poveri e per la pace?».
Oppure dovrebbero essere tormentati dalla domanda che faceva don Tonino: «Ti sei immedesimato nel povero, hai assunto il suo occhio per vedere gli altri, se stessi e il mondo con l'occhio del povero?». Vedere con l'occhio del povero significa svuotare la propria cornea, in effetti svuotare se stessi, accettare il "trapianto dell'occhio", un trapianto che come tale è per sempre perché dove c'era un occhio che non vedeva deve essercene un altro che vede. Che vede le ingiustizie, le violenze, le discriminazioni, gli abusi, in una parola le sofferenze. Insomma l'occhio che, come diceva don Tonino, ti dona «la grazia di non dormire sonni tranquilli».



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