Laicità del servizio in politica


Il diaconato in Italia n° 163
(luglio/agosto 2010)

IL PUNTO

Laicità del servizio in politica
di Bartolomeo Sorge



P. Sorge ha inaugurato nel febbraio 2009 un laboratorio di politica, a Catania, che si prefigge di promuovere la formazione e l'informazione sul territorio per riconsegnare ai cittadini, soprattutto ai più giovani, una capacità progettuale politica rinnovata. Le parole qui scelte risuonano antiche e nuove, hanno il gusto sapiente di chi ha visto nell'accavallarsi degli anni e degli eventi senza senso, il filo rosso della Storia che invano ci affanniamo a leggere, e spesso ci attraversa insipientemente: «meglio fare volontariato nel terzo mondo che entrare in politica!». L'invito allo studio è fertile e ben mirato ai luoghi, al confronto, alla compartecipazione, verso una diaconia capace di scommettere su tutta la persona umana, per intero.
La democrazia rappresentativa, si fondava, e si fonda ancora, su tre grandi valori, che io definisco i pilastri di una civiltà umana, e di quella che dovrà essere la civiltà dell'amore. Il primo grande principio è la dignità della persona umana. Il tarlo, il virus dell'individualismo, ha ridotto la persona umana a individuo, ripiegato su se stesso. La persona umana è degna di per sé, non può essere ridotta a strumento, a cavia, o ad altre forme, che ne mettono in discussione la dignità trascendente. L'individuo si è chiuso su se stesso. La persona umana vale per quello che è, perché è. Non solo per quello che ha, per quello che possiede o per quello che fa. I diritti della persona umana sono inalienabili. Ora, questo principio fondamentale di una persona integrale è comune sia alla cultura laica sia alla dottrina sociale della Chiesa. Fede e ragione non sono in contrasto, ma si illuminano a vicenda. Pensate che l'articolo 2 della nostra Carta Repubblicana arriva a riconoscere che i diritti fondamentali della persona sono anteriori allo Stato. L'articolo 2 dice: lo Stato "riconosce", la Repubblica "riconosce" e tutela i diritti fondamentali dell'uomo. Il che vuoi dire che i diritti fondamentali dell'uomo non li crea un governo, non è una maggioranza che li fa e un'altra che li cancella.
Perché non è possibile oggi ritrovare sulla dignità della persona umana un incontro tra visioni diverse? È quello che hanno fatto i nostri Costituenti quando si sono messi d'accordo sulla Carta Repubblicana, che oggi è ancora del tutto valida, soprattutto sui primi dodici articoli che sono il DNA della tradizione bimillenaria della cultura italiana. Come hanno fatto - mi sono chiesto tante volte - a mettersi d'accordo, uomini così diversi per ideologie? E non è che, quando hanno firmato la carta, hanno cambiato ideologia. Diversi erano, diversi sono rimasti, si sono combattuti, ma hanno trovato l'unità in questo valore del personalismo, per cui la nostra Carta Repubblicana è essenzialmente personalistica. Il personalismo è anche la spina dorsale della dottrina sociale della Chiesa.
Ecco uno degli scopi di un laboratorio di politica: cercare di vedere oggi quali sono i pericoli che mettono in difficoltà la persona umana. Questi diritti inalienabili, che non si perdono mai. Anche se per ipotesi, una persona è ammalata, anche se per ipotesi una persona è in coma permanente, non perde i diritti fondamentali. Anche se una persona delinque, non perde il suo valore di persona, come vuole la Costituzione che prevede la pena non come vendetta, ma come medicinale. Ecco allora la prima grossa domanda: perchè su questo non è possibile ritrovare un personalismo che vada al di là dell'individualismo della persona?
Il secondo grande pilastro, che l'individualismo del pensiero unico neoliberista dominante ha corroso, mettendo in crisi la democrazia, è il principio solidaristico. Vedete, la persona umana è intrinsecamente sociale. La società non è un qualcosa di esterno che si aggiunge. Se una persona non è sociale, non si sviluppa nemmeno come persona. Tutti noi abbiamo bisogno di amore, tutti noi abbiamo bisogno di amicizia, di una mano, abbiamo bisogno di aiuto, e lo dobbiamo dare. Perché è all'interno della coscienza umana che nasce la dimensione sociale. Perché la società è essenziale, noi siamo membri di una famiglia. Noi conosciamo noi stessi nel confronto con il tu.
Il fratellino riesce a capire e a maturare litigando con l'altro fratellino, con il compagno di banco. La dimensione sociale, quindi, è essenziale. Che cosa ha fatto il neoliberismo? Ha ridotto la solidarietà a puro formalismo legale, alla mera osservanza delle regole. E questo non è sufficiente per una democrazia adulta, matura. La nostra Costituzione del resto, è essenzialmente solidaristica, non è individualistica. Ma oggi il liberismo ha appianato questo secondo pilastro della Costituzione. Vi porto un esempio banale. Guidando l'automobile, arrivo al semaforo rosso: non passo. La cultura legalistica che oggi ha invaso le nostre menti dice: «Ho osservato le leggi, sono a posto» (dico tra parentesi: volesse il cielo che tutti osservassimo le leggi!). Dunque: «Perché non passi con il rosso? - Perché se passo con il rosso pago la multa! ». No! Non basta! Ci vuole la legalità, che è il fondamento dello stato di diritto. Qui mi viene sempre in mente l'esperienza stupenda che ho fatto a Palermo e che mi ha tanto insegnato. E questi principi sono maturati anche dall'esperienza viva che poi abbiamo provato a realizzare nella scuola politica, che ha fatto tanto arrabbiare la criminalità organizzata, perché vedeva nella scuola politica un ostacolo culturale alla loro mentalità. E dunque: semaforo rosso, non passo - Perché? - Per due motivi! Primo motivo: perché se io passo con il rosso metto sotto il mio fratello che legalissimamente sta attraversando con il semaforo verde - l'attenzione all'altro è ciò che manca nel legalismo formale. Secondo motivo: non passo perchè non voglio pagare la multa. Quindi quello che oggi occorre fare è un salto di qualità verso una solidarietà che non sia solo formalismo legale ma sia anche fraternità. E per me non è un caso che i tre grandi principi della Rivoluzione Francese siano proprio questi: libertà, uguaglianza e fraternità. Perché mai non deve essere possibile, con una Costituzione solidale e con la luce che viene dall'insegnamento sociale della Chiesa, realizzare una democrazia più matura che introduca l'attenzione all'altro nella cultura politica? Non basta il legalismo formale, anche se ci vuole, guai se mancasse. È un'opera di formazione, è una elaborazione, propria del laboratorio di politica!
Il terzo grande pilastro che l'individualismo neoliberista ha in qualche modo corroso è quello che oggi va sotto il nome di principio di sussidiarietà. È uno dei principi fondamentali della nostra Carta Repubblicana. Vuoi dire corresponsabilità. Il superiore non si può sostituire a quello che deve fare l'istanza inferiore. Cioè, fuor di metafora, non si può decidere a Roma quello che si deve fare a Catania.
Ci sono i corpi intermedi, le autonomie locali, che sono strumento di democrazia matura, che non è l'autoritarismo democratico che oggi si è creato. Si decide tutto dall'alto! Si arriva a saltare il dibattito! Perché dobbiamo decidere questioni che riguardano tutte le famiglie, che riguardano il futuro dei nostri ragazzi, come ad esempio il problema della scuola, con decreto legge? Senza discussione in Parlamento, solo con un provvedimento governativo? Ma questa è la morte della democrazia! È l'autoritarismo democratico! Ma non è la democrazia nuova, la democrazia matura, che deve partire dal basso, rispettando le mediazioni culturali, le mediazioni politiche, il principio di sussidiarietà.

La sfida di oggi
Qual è la sfida oggi dei laici cristiani che si impegnano in politica? Superare la tentazione del confessionalismo, prospettando una lettura della realtà sociale, che pur essendo ispirata a valori etico-religiosi, sia sempre rigorosamente laica, quindi condivisibile da tutti, credenti e non credenti, o appartenenti a ideologie diverse. Bisogna annunziare con la vita i valori cosiddetti non negoziabili, assoluti, e al tempo stesso, ricercare con tutti gli uomini di buona volontà il bene comune possibile, il quale passa necessariamente attraverso le regole democratiche del consenso, le regole psicologiche della gradualità. Quindi sul piano politico l'ispirazione cristiana va mediata nel confronto, nel dibattito, nella gradualità e nelle incertezze della vita democratica. I cristiani, impegnati in una società pluralistica, secolarizzata come quella di oggi, devono offrire il proprio contributo di valori e di idee anzitutto con la testimonianza. E dopo aver ribadito a voce e con la vita la testimonianza della fedeltà, devono avere questa capacità professionale di mediazione politica. I valori assoluti non possono essere tradotti in legge. Devono passare necessariamente attraverso l'arte politica, che è per definizione l'arte della mediazione.
Fare il maggior bene possibile, non abbandonare il campo, attraverso l'osservanza della laicità della politica e delle regole del consenso. Abbiamo bisogno di questi cristiani maturi, che mandano avanti il più possibile verso l'ideale, la costruzione della società. Quelli che sentissero nel cuore, la bellezza del servizio politico, ci pensino, non scappino!! Questo è il momento di entrare e di maturare. Datevi da fare! Ce lo impone la nostra coscienza cristiana e la nostra coscienza civile: non è tempo di stare in casa! Questo è il tempo di uscire per le strade, andare nei luoghi dove l'uomo soffre, dove l'uomo si interroga, dove nasce la nuova società, dove si elaborano le idee. Lo dico soprattutto ai giovani, non abbiate paura dell'impegno politico!
Allora vedete come la prospettiva di un mondo globalizzato, di un'Italia ormai unita all'Europa, si gioca tutta nella capacità di vivere uniti rispettando la pluralità, ripensando il personalismo in modo maturo, trascendente, ripensando la solidarietà in modo fraterno, superando il puro legalismo, e ripensando la responsabilità di tutti attraverso un'opera di formazione. Perché non possiamo realizzare una forma di neopersonalismo solidale e responsabile? Certo creerebbe molti problemi: non è facile raggiungere questa meta, se non attraverso una laicità matura che deve interessare non solo il rapporto tra Stato e Chiesa, ma anche il rapporto tra ideologia e politica. Bisogna arrivare al superamento del confessionalismo religioso, ma anche del confessionalismo ideologico. È il cuore del problema. Qual è la sfida oggi dei laici cristiani che si impegnano in politica se non quella di tradurre la luce e la forza che il magistero sociale, la fede, il Vangelo gettano sull'antropologia, in termini socialmente, culturalmente e politicamente comprensibili, laici.
Bisogna superare la tentazione del confessionalismo, prospettando una lettura della realtà sociale, che pur essendo ispirata a valori etico-religiosi, sia sempre rigorosamente laica, quindi condivisibile da tutti, credenti e non credenti, o appartenenti a ideologie diverse. Questo problema può essere grave soprattutto per i cattolici, perché, come noi ci sentiamo ripetere quotidianamente, «voi dovete ispirare la politica a valori che non sono negoziabili». Come è possibile, allora, essere fedeli agli ideali e riuscire a trovare un incontro con i rappresentanti di altre culture? Io penso che la sfida per i cristiani sia questa. Primo: dobbiamo testimoniare, annunziare a voce e con la vita i valori cosiddetti non negoziabili, assoluti, nei quali crediamo. Noi non possiamo fare a meno di dare la nostra vita per i valori fondamentali della vita sociale, giusta, fraterna. Al tempo stesso, dobbiamo ricercare con tutti gli uomini di buona volontà il bene comune possibile, il quale passa necessariamente attraverso le regole democratiche del consenso, le regole psicologiche della gradualità. Quindi sul piano politico l'ispirazione cristiana va mediata nel confronto, nel dibattito, nella gradualità e nelle incertezze della vita democratica. Chiaramente, questo è difficile quando sono in gioco i supremi valori della vita morale e religiosa, questi valori però ugualmente obbediscono alla legge di opportunità, di relatività, di prudenza che caratterizza il confronto politico e si affermano nella misura in cui riescono a conquistare il maggior consenso.

Le battaglie non si vincono fuggendo!
Il cardinal Martini nel discorso di addio alla città di Milano ha fatto luce su questo punto: «La ricerca del bene comune per la città e per la politica ha regole proprie di crescita. Attraverso le quali non si può non passare. Sono le regole del consenso dei cittadini, stabilite dalle modalità democratiche, sono le regole della costruzione del consenso. Non è una pura tecnica questa o una metodologia, è la sostanza dell'atto libero di decisione. Si passa attraverso il convincimento e la pazienza, per la stessa gradazione di valori». Allora il cardinale diceva ai politici: non abbandonate il campo. Molti dicevano: tra i due mali scegliamo il male minore. No! Fate invece il maggior bene possibile!
I laici cristiani, impegnati in una società pluralistica, secolarizzata come quella di oggi, devono offrire il proprio contributo di valori e di idee anzitutto con la testimonianza: non dobbiamo vergognarci di essere cristiani. Quanti hanno avuto il dono di incontrare il Risorto, di sentire che Gesù è il Figlio di Dio, Salvatore del mondo, non possono vergognarsi di aver fatto questa scoperta. E dopo aver ribadito a voce e con la vita la testimonianza della fedeltà, devono avere però questa capacità professionale di mediazione politica. I valori assoluti non possono essere tradotti in legge. Devono passare necessariamente attraverso l'arte politica, che è per definizione l'arte della mediazione. Fare il maggior bene possibile, non abbandonare il campo, attraverso l'osservanza della laicità della politica e delle regole del consenso.
Questa quindi è la vera difficoltà soprattutto tra i cristiani nel confronto con la cultura laica di oggi. Martini poi faceva un'analisi anche psicologica e diceva: «sembra che nell'accettare le leggi del consenso, il cristiano oggi si senta in colpa, come se affidasse al consenso democratico la legittimazione etica dei propri valori». No! Non si tratta di affidare al criterio della maggioranza la verifica della verità di un valore, bensì di assumersi autonomamente una responsabilità nei confronti della crescita del costume civile di tutti. È il compito dell'etica politica. Vogliamo dare un'anima etica alla democrazia nuova che nasce? Abbiamo bisogno di questi cristiani maturi, fedeli alla testimonianza, e nella propria vita, illuminati dal Vangelo e dal magistero sociale della Chiesa, che responsabilmente in dialogo con le diverse culture del mondo interculturale, mandano avanti il più possibile verso l'ideale, la costruzione della società.
Fratelli miei, uomini e donne, quelli che sentissero nel cuore, la bellezza del servizio politico, ci pensino, non scappino!! La tentazione è: «io non mi voglio sporcare le mani, preferisco andare nel sociale, aiutare i disabili, preferisco andare in America latina, nel terzo mondo, a fare del volontariato, ma non mi parli di politica!». No fratelli miei! Questo è il momento di entrare e di maturare. Non guardate i modelli passati. «Quanto è difficile e tormentata - scrive Moro, nel discorso all'ottavo congresso della Dc, uno dei suoi discorsi fondamentali - la nostra azione sul terreno democratico, quali limiti si trovano sul cammino di cattolici impegnati nella vita politica. Quali rischi si corrono, quanto bisogno c'è di equilibrio, quanto ci vuole per essere di fronte al difficile processo di attuazione della vita cristiana, cristiani responsabili». Quindi io direi ai cristiani presenti, che hanno sentito la nascita di questo laboratorio: datevi da fare! Oggi ce lo impone la nostra coscienza cristiana e la nostra coscienza civile: non è tempo di stare in casa, non è tempo di rifugiarci in sacrestia! Questo è tempo di uscire per le strade, andare nei luoghi dove l'uomo soffre, dove l'uomo si interroga, dove nasce la nuova società, dove si elaborano le idee.
Lo dico soprattutto ai giovani, non abbiate paura dell'impegno politico, è la forma più alta di carità, lo ha detto Pio XI nel 1937 parlando alla Fuci. Non scappate, riflettete, è una vocazione. Ed agli amministratori, ai politici dico una parola di coraggio, di comprensione e di congratulazione. È la missione più grande, ma dovete avere la coscienza che questa missione vuole una vocazione. Non si può fare politica come si fa una professione qualsiasi. La pura identificazione della politica come una professione, è la morte della politica; perché ha bisogno di una forza etica che si basa sulla testimonianza della vita, sul coraggio dell'annuncio, e sulla professionalità che vi mette in grado di tradurre in termini laici, ciò che la luce del Vangelo e del Magistero della Chiesa, vi danno.
E ai laici dico: siate laici! Ero a Roma, avevo trent'anni e mi ricordo il discorso fatto da Berlinguer diventato segretario del Pci in un teatro di Roma. «Sono diventato Segretario del Pci, il mio proposito è fare di tutto affinché il partito comunista diventi laico». Ed io ho detto: più laico di così! Perché io ragionavo con le categorie confessionali. Invece lui si riferiva allo strappo dal dogmatismo sovietico di Mosca. E lo ha fatto! Ci vuole una maturità che metta insieme la coerenza degli ideali in cui crediamo e trovi quell'ethos comune! quei valori fondanti che non obblighino nessuno a demonizzare la propria tradizione e la propria storia. Riconosciamo che siamo evoluti, che la storia ha camminato, facciamo tutti un passo al di là, perché nasca la società dell'amore, la civiltà dell'amore, ed una democrazia matura. lo pensavo a Mounier, che con il suo personalismo comunitario, ha aiutato la democrazia del '900 a raggiungere la sua maturità. Lavorare verso un neopersonalismo, solidale e laico, che possa avviare la democrazia adulta, nella fedeltà ai propri valori, e per avvicinarci all'ideale, non è possibile senza la formazione.

Formazione e rinnovamento
Come fare se questi partiti ideologici, sono rimasti fermi o sono chiusi? Si tratta di creare una convergenza ideale comune che vada al di là delle vecchie divisioni ideologiche. Non c'è altra strada, che quella di ripensare e riattualizzare, lo spirito e la lettera della nostra Costituzione Repubblicana. Sessant'anni fa, i Padri Costituenti riuscirono a superare le loro profonde divisioni ideologiche, in nome del bene comune del paese, facendo sintesi tra il personalismo della tradizione cattolico-democratica, la solidarietà della tradizione socialista e la laicità della tradizione liberai-democratica. Perché oggi non dovrebbe essere possibile realizzare questo salto di qualità?! Andare oltre?! Approfondendo ulteriormente il significato dei valori - dignità della persona, libertà uguaglianza, dignità, solidarietà, pace - che permeano la nostra Costituzione, e di cui oggi conosciamo meglio il significato.
Se voi notate bene, si tratta di rinnovare l'intuizione del popolarismo sturziano. Di fronte al pensiero unico neo-liberista dominante, che riduce la persona a individuo, la solidarietà a mero legalismo formale, e mortifica la partecipazione responsabile dei corpi intermedi, occorre porre a fondamento di una democrazia più matura, partecipativa, una nuova cultura politica, fondata su una concezione integrale di persona, su una vera solidarietà fraterna e su una laicità positiva. Il neo-personalismo solidale-laico, potrebbe essere questa nuova cultura politica, in piena continuità con la Costituzione di cui c'è bisogno per restituire un'anima etica alla politica e passare dalla crisi in cui oggi si dibatte la democrazia verso una forma più matura. Ora è urgente, nel ventunesimo secolo, in questa società globalizzata, pluriculturale e plurietnica, fare unità nel rispetto delle diversità. Rendiamoci conto, che questo è possibile soltanto attraverso il dialogo e la collaborazione. L'esperienza dimostra che l'incontro politico tra credenti e non credenti, tra appartenenti a diverse ideologie, è possibile. Anche se non sempre coincide l'interpretazione dei medesimi valori. Però una cosa è certa: solo il riferimento ad una laicità positiva, consente l'incontro tra diversi, nel rispetto della identità di ciascuno.
Non si tratta di superare l'istituzione-partito. I partiti sono essenziali, nell'organizzazione dello stato democratico. Si tratta di riconoscere che si fa politica non solo nei partiti, ma anche contribuendo, al di fuori di essi, allo sviluppo globale della democrazia, con l'assunzione di responsabilità, di formazione, di controllo, di stimolo. Laboratorio di formazione politica: la lotta per il cambiamento sociale, non può essere delegata in modo esclusivo ai partiti! Anche la società civile deve svolgere una sua funzione politica, si deve fare carico dei problemi generali del paese, elaborare progetti per una migliore vita umana, a favore di tutti; controllare se questi progetti vengono eseguiti; denunciare inerzie e disfunzioni attraverso l'uso di strumenti democratici messi a disposizione dei cittadini. Ecco come bisognerà iniziare dal territorio.
Ho sempre l'eco nelle mie orecchie, spirituali e materiali, delle parole di Sturzo: siano i siciliani a crescere, a realizzarsi, siano i campani, siano i sardi, non aspettiamoci niente dall'alto, iniziamo dal territorio. Allora non si tratta di creare realtà alternative ai partiti, ma una realtà complementare. E questa coscienza civica nuova, potrà aiutare gli stessi partiti a riallacciare i canali della comunicazione ormai da tempo interrotti. Questa partitocrazia imperante, fa ancora oggi in modo che le segreterie e non il popolo, scelgano i candidati al Parlamento. È urgente cambiare. Come? Bisognerà seguire alcune piste, che sono piste di formazione. Se voi mi diceste: ci dica una sola parola che riassume tute le cose che ha detto, io vi lascerei, come ho fatto in altre occasioni questa sola parola: "Formazione".
La situazione è complessa e tutti noi siamo impreparati. Non abbiamo la cognizione molte volte nemmeno dei problemi; ignoriamo spesso anche la nostra storia recente. Così non si va molto lontano! E oltre alla formazione aggiungo: non siamo soli di fronte a questa vicende complesse. Dovrei essere cieco, se vi dicessi che non ho visto la presenza di Dio nella storia dell'umanità. Non lo dico perché sono prete, ma per la vicenda che ho vissuto alla quale i superiori mi hanno dedicato. Questo ci dà una fiducia enorme, ci dà la fiducia di sperare, con quella fede rocciosa che avevano i primi profeti, i quali partivano senza sapere dove andavano, perché una parola li aveva orientati. E allora dico: non abbiamo paura! Molte volte il rumore della crisi, ci impedisce di sentire le voci nuove e fresche che stanno nascendo.
Non è tutto destinato alla crisi e alla fine: sta nascendo un mondo nuovo, e ci sono tutti i sintomi ed i segni dei tempi che annunziano di avere fiducia. Non lasciamoci abbagliare dai rumori della comunicazione sociale che diffonde solo idee tristi e sconfortanti. Non è vero! Non fanno rumore le buone notizie, ma siamo alla vigilia di una nuova stagione di giustizia, di amore e lasciatemi dire anche, di una nuova stagione cristiana.

(La presente trascrizione non è stata rivista dall'autore.
Per chi desidera completarne la lettura: www.laboratoriodellapolitica.it)