Spiritualità e diaconia politica



Il diaconato in Italia n° 163
(luglio/agosto 2010)

ANALISI


Spiritualità e diaconia politica
di Giuseppe Bellia


Abitare il mondo tra memoria e profezia
Quando una spiritualità separa ciò che Dio ha congiunto e si mostra attenta solo alla memoria, senza essere attratta dalla profezia, non attende più e allora la vita spirituale diventa abitudine noiosa e pedante che perpetua le spente tradizioni degli uomini in un conformismo che facilmente scade nel fariseismo religioso. Se invece la tensione verso la profezia tende ad obliare o deprezzare il ricordo, allora la spiritualità senza memoria sconfina facilmente nella vana irrequietezza e nella snervante instabilità, fino a giustificare ogni eccesso e sregolatezza.
Solo legando memoria e profezia, ricordo e attesa, preghiera e servizio lo Spirito ci fa rendere nei nostri giorni cattivi una vera e quotidiana testimonianza a Gesù. Dio ha per noi aspirazioni grandi mentre noi, alla fine, ci accontentiamo sempre di poco: dove i nostri progetti finiscono, lì iniziano i suoi. Andando avanti con gli anni ci si rende conto che nella vita spirituale ciò che veramente conta non consiste nel «fare qualcosa per Dio», ma solo nel lasciarsi fare da Lui, nell'assecondare il suo disegno.
Alla fine non ci è nemmeno chiesto di amarlo, perché, anche nei nostri atti di amore più puri, si insinua il nostro stolto orgoglio, il nostro insonne bisogno di auto-realizzazione, la nostra insaziabile voglia di rivalsa che, come la mosca morta nell'unguento del profumiere, guasta la nostra vita spirituale (cf. Qo 10,1). Ci è chiesto soltanto di lasciarci amare. Gli antichi maestri insegnano che questa santa passività, vera opera di vigilanza del cuore, è tutto. Certo «per ogni cosa c'è un tempo sotto il sole» (Qo 3,1) e anche nella vita spirituale c'è un tempo per osare e uno per attendere.
Tempi che i santi hanno saputo discernere e che noi apprendiamo a conoscere in quella sapienza che il Signore non manca di concedere a chi la chiede con cuore fermo e sincero (cf. Gc 1,5-8). Anche Maria è mostrata da Luca nell'esercizio paziente di chi si addestra a imparare questa difficile arte del discernere secondo Dio. La Vergine non era dissimile in questo da noi e l'evangelo lucano ce la mostra ripetutamente come colei che accoglie la Parola custodendo quanto non era in grado di comprendere (vedi Lc 2,19.35.50-51).
La spiritualità è frutto dello Spirito e si dispiega nel vissuto delle persone e nella storia del mondo, come si è detto, assecondando il duplice movimento della memoria e della profezia, del ricordo e dell'attesa verso la conoscenza piena dell'amore di quel Dio che non si impone al nostro cuore con l'evidenza della sua onnipotenza, ma si degna di venire a noi con l'inevidenza discreta della parola, dell'eucaristia, dei poveri in cui si nasconde. La spiritualità del discepolo è quindi docilità all'ascolto, custodia fedele del cuore, prontezza di obbedienza nella sequela che si traduce, quasi da se stessa senza ricercare chissà quali mezzi (vedi Mc 4,26-29), nella vita, nella storia, in una novità di relazione con Dio e con il prossimo.
Quel Dio che si è fatto presente in Adamo come splendida creazione, in Abramo come amabile relazione e in Giacobbe come notturno combattimento, diventando intimità potente in Mosè, canto e poesia in Davide, esperienza intima in Elia e parola saporosa che sazia nei sapienti, ecco, quel Dio in Cristo si è fatto dono di sé all'uomo, si è fatto carne per la vita del mondo, si è fatto Presenza nella storia.
La presenza nascosta e reale di Dio è stata osservata quindi da molti e da più punti di vista nei libri sacri, ma è soprattutto nella viva eredità dei sapienti scribi d'Israele che si sono intraviste le basi per una riflessione teologica capace di interpretare in modo più esauriente e sistematico la specificità dell'indole secolare riconosciuta dal Magistero ai Christifideles laici dentro la Chiesa. Se la laicità non indica in negativo la situazione residuale di chi non appartiene allo stato clericale e religioso, deve essere definita in positivo come proprietà, come distinzione, come scommessa personale biblicamente fondata che tutta la chiesa accompagna con la sua preghiera. Potrebbe indicare la condizione di chi si impegna ad abitare il mondo a vivere la storia cogliendo, tra l'imprevedibile scorrere della vita e la maestosa libertà di Dio, quel legame inevidente che fa di questa nostra terra il luogo di un'interrotta e quotidiana epifania divina.
Ardua e preziosa intelligenza del misterioso agire di Dio quella dei sapienti che sotto l'azione dello Spirito cercano di riempire di senso l'ordinarietà del vivere, congiungendo la memoria della fede ricca di benedizione con l'inevitabile e cangiante lezione del tempo.
Secondo l'ottica sapienziale l'identità "secolare" del laico risulta definita in positivo come vero carisma spirituale donato a quei discepoli che vogliono testimoniare nel mondo, a titolo personale, la signoria discreta di Cristo. Lo stato laicale contraddistinguerebbe allora l'impegno sapienziale del discepolo nel mondo, indicando la vocazione particolare di quanti nella Chiesa si sentono chiamati a coniugare la refrattarietà della realtà sociale, politica e culturale con l'intelligenza storica della fede. Il servizio laicale così inteso, se ricondotto alla sua fonte biblica e al dinamismo dello Spirito, si definisce come vera diaconia profetica, regale e sacerdotale che, attraverso i discepoli, testimonia e compie nel tempo la signoria di Cristo.
Una diaconia politica richiede però doti di osservazione e di analisi che permettono di conoscere e comprendere in modo critico il "qui e ora" della storia, il reale stato storico-antropologico delle nostre realtà ecclesiali. Non si può qui approfondire questo argomento, tuttavia una visione d'insieme, sintetica e adeguata si deve pur avere se si parla di memoria e di futuro. Il nostro passato, non solo remoto, dal punto di vista socio-religioso sembra caratterizzarsi: a) per un cristianesimo ancora in larga misura popolare e devozionale, oscillante tra disaffezione e tradizione; b) per una presenza minoritaria di cristiani motivati, esigenti ed impegnati in campo ecclesiale e sociale; c) e infine, per la presenza di incipienti comunità pluri-ministeriali che danno sempre più spazio alla crescente partecipazione dei laici. Qui interessa approfondire il secondo aspetto: accanto alla pervasiva forma di religiosità popolare, la nostra chiesa conosce la presenza ristretta e quasi elitaria, di un cattolicesimo impegnato sul piano politico e sociale.
Non voglio qui richiamare la storia, non priva di zone d'ombra, di questo impegno dei cattolici nella vita sociale e politica del nostro paese, ma solo ricordare l'importanza che questa testimonianza di «carità politica», dai tempi di Sturzo, Lazzati, La Pira e Dossetti fino a oggi ha rappresentato e rappresenta nella tradizione viva delle nostre comunità. Il patrimonio di sensibilità e di capacità operativa acquisito nel sociale è un tratto distintivo del nostro cattolicesimo: per un buon numero di battezzati, in passato, l'essere cattolico in Italia, ha significato scommettersi sul piano civile, impegnarsi nella vita politica, partecipare a una qualche organizzazione con finalità sociale o assistenziale o caritativa in nome della fede cristiana.
E la partecipazione alla vita politica è stata incoraggiata come servizio al prossimo, come esemplare esercizio di carità cristiana. Come non ricordare oggi le parole di don Luigi Sturzo: «È necessario creare o ricreare l'atmosfera della moralità cristiana nella vita pubblica e questo non può essere fatto che dai veri cristiani. Se questi, invece di cooperare, si tengono in disparte per paura della politica allora partecipano direttamente o indirettamente alla corruzione della vita pubblica, mancano negativamente o positivamente al loro dovere di carità, e in certi casi di giustizia».
Una concezione, come si vede, chiara, onesta, moderna della partecipazione politica dei cattolici alla vita pubblica, che non mirava a far riconquistare una fetta di potere temporale alla chiesa, riconnettendo un tessuto di antiche connivenze clericali con il potere, riproponendo così gli errori e i peccati del passato, perché «se il clero entrasse nel cerchio fatale del traffico politico, ripeterebbe i mali di altri tempi, quando i benefici ecclesiastici erano nelle mani del patrono laico e parte del clero partecipava allo spirito simoniaco del tempo». Una visione carica di sano realismo e quindi di speranza che sapeva annunciare il fondamento tutto spirituale dell'azione politica dei credenti chiamati a portare «il loro spirito di conquista trasformatrice e l'efficacia della loro personalità plasmata dalla concezione soprannaturale della politica [...]. Non è solo l'uomo individuo, ma la società stessa che esiste e si muove in un'atmosfera di soprannaturalità».
Questa leale e coraggiosa visione cristiana è ciò che oggi ci manca e per attuarlo non si ha bisogno solo di "sapienti", di persone che con il loro gratuito servizio sanno custodire e accrescere il tesoro lasciato in eredità da altri, ma servono anche "profeti", servitori vigili e fedeli che esplorano quel futuro di Dio verso cui uomini e società sono incamminati.
Questo vale anche per la cultura di pace ereditata dalle generazioni precedenti, frutto della feconda dinamica tra memoria e desiderio che ha trovato vivida accoglienza nei lavori della nostra Costituzione, luogo mirabile di incontro di memoria e desiderio, di sapienza e profezia. Soltanto una pace ricercata con fede, operata da coloro che si sono lasciati pacificare, perché purificati nella memoria, può essere custodita come desiderio vivissimo da realizzare ogni giorno, trovando soluzioni appropriate per non essere sorpresi da un avvenire che nessuno sa presagire e che per la nostra chiesa e per la nostra società si presenta come un mare buio e livido che richiede doti indefettibili di pazienza e di speranza. Solo i profeti con la loro fede sofferta e perseverante, scrutando come sentinelle nella notte ne scandiscono i tempi e ne orientano il senso, come ha fatto il "sindaco santo", Giorgio La Pira.

Profezia e politica
Il "visionario fiorentino", coniugando preghiera e vita, Parola e storia, ha potuto indicare, in un tempo forse non meno periglioso e confuso del nostro, sentieri di pace che hanno reso possibile l'incontro tra i lontani e tra tutti gli uomini. Desiderio di fraternità che dovrebbe spingere tutti i cristiani a compiere un servizio di comunione in testimonianza dell'amore che li ha amati per primo. Giorgio La Pira, il costruttore di ponti, per tutta la sua vita ha cercato di mediare per unire il nord col sud del mondo, l'Est con l'Ovest, il cielo con la terra, la Chiesa con il mondo, l'uomo spirituale con l'uomo concreto. Il nutrimento della Parola fatta carne, permetteva al discepolo di cogliere quel significato adeguato all'oggi e dare così un vigoroso colpo di remo - sono le sue vibranti parole - perché l'unica nave, dove sono imbarcati per un'unica avventura storica e cosmica i popoli di tutto il pianeta, potesse pervenire celermente, pena l'affondamento della terra nello spazio, al porto del negoziato, dell'unità e della pace.
Uditore fedele della parola era abitato da una certezza mite e serenante che gli faceva dire: «giunga davvero a "quel porto di Isaia" che è il punto omega indicatore della storia del mondo»! Questo fiducioso invito alla speranza procedeva dalla fede e non dal calcolo politico o da previsioni ottimistiche e tuttavia non era innocuo e disincarnato dalla storia. In questa testimonianza di fiducia nella vittoria del Risorto, data contro ogni evidente illogicità politica e contro ogni apparente rifiuto della storia, si può racchiudere l'esemplare diaconia politica che Giorgio La Pira ha consegnato a ogni battezzato, chiamato a offrire ai fratelli e a quanti Dio pone sul suo cammino un orizzonte di speranza. A questa singolare e benedetta opera di mediazione che annuncia la speranza si deve appassionare il ministero ordinato e la testimonianza dei cristiani.
I diaconi in particolare, come "ministri della soglia" che mettono in contatto il dentro e il fuori della Chiesa, collegandola al mondo, unendo vicini e lontani, avrebbero molto da apprendere, nella progettualità teologica e nella messa in opera pastorale, dal servizio politico umile e incisivo che il «sindaco santo» ha reso al suo paese e al mondo come operatore di pace in un oscuro tempo di contrapposizioni dove gli uomini della divisione e della paura sembravano prevalere. La diaconia politica di Giorgio La Pira, certo, è singolare e può sembrare un caso atipico e quindi giudicata come irripetibile. Ci si chiede allora: si dà una spiritualità della politica? È possibile coniugare fede cristiana e impegno politico? La risposta la troviamo nella vita e negli scritti di un altro grande testimone di Cristo, protagonista dimesso e appassionato di una fervida stagione politica che ha saputo coniugare nella sua vita sapienza e profezia: il monaco Giuseppe Dossetti.
Commemorando quella sentinella profetica che è stata per la cristianità italiana la figura di Lazzati, aveva ricordato che l'impegno politico dei cattolici non poteva essere altro che un modo precipuo e personalizzato di servizio dettato da un instancabile spirito di conversione (cf. Is 21,11-12). Senza del quale i cattolici impegnati in politica non possono adempiere il loro compito proprio di riordinare le realtà temporali in modo conforme all'evangelo, esposti come sono al ricatto di uno sterile spirito di vanagloria che ricerca il proprio interesse e non il bene comune. Un altro limite, a suo giudizio, condiziona la tradizione politica dei cattolici in Italia, segnati da un'anemica ristrettezza progettuale che impedisce ogni creatività, per la mancanza di una cultura modernamente adeguata che sa andare oltre il pragmatismo arruffone della conservazione del potere a ogni costo.
Quale allora la cura, quale la disciplina per conciliare sequela e impegno politico? La risposta è netta e discriminante: una prima condizione è che non si dà una vocazione alla politica, non c'è una missione a fare, nessuno è "chiamato" a comandare; la seconda condizione è la gratuità del servizio, la non professionalità dell'impegno. Sentirsi chiamati a dirigere più che un manco di modestia è una menzogna che serve a giustificare la sete di potere; allo stesso modo, dove incomincia una professionalità dell'impegno cessa anche la parvenza di una missione e la possibilità stessa di un fare creativo. Allora diventano possibili tutte le degenerazioni. Con ciò Dossetti non voleva affatto negare a priori la possibilità di una conciliazione tra un agire coerente con la fede e un agire politico; a suo giudizio, l'incompatibilità presupporrebbe «una scissione del reale, che non è nel piano di Dio, nel piano provvidenziale del Signore che passa attraverso la Croce». Si tratta piuttosto di una conciliazione non sistematica, non intenzionale, non consapevole, di un servizio episodico, limitato nell'arco dell'esistenza, frutto di una disponibilità «a lasciarsi adoperare dalle circostanze, a lasciarsi adoperare da Dio, anche per un breve tempo, segnato magari da un grande insuccesso». La ragione di fondo di questa cautela è che «la politica educa a un bisogno di fare, a una necessità di comandare, a una mentalità che sancisce il primato dell'azione e della gestione, che è contraddittoria con una vita spirituale comunque concepita», anche se non c'è incompatibilità di principio tra fede e politica.
Senza questa disincantata visione - è il pensiero di don Giuseppe Dossetti - non si dà una vera spiritualità del servizio e si finisce, com'è accaduto, con il dare credito a una presenza dei cattolici in politica per se stessa, appoggiandosi a prospettive di corto respiro e industriandosi a ricercare soluzioni rattoppate di rimedi e scambi politici che hanno ristretto gli spazi profetici della Parola. Nel nostro paese abbiamo visto in passato il riserbo eccessivo mostrato dagli uomini di chiesa verso i potenti, fino a rinunziare a un giudizio severo verso scelte indifendibili o condotte più che reprensibili, aspettandosi di ottenere in cambio che cosa? Solo un atteggiamento più ossequioso verso la Chiesa, ricorda Dossetti, o una qualche concessione accattivante in questo quel campo, come a esempio nelle questioni etiche, nella politica familiare nella politica scolastica. La diaconia politica, intesa come missione e non come servizio, anche per la perdurante minorità e immaturità del rapporto laici-clero, anziché svolgere una vera ed efficace opera di mediazione moralizzatrice, rischia di collaborare al generale decadimento dei costumi oltre che al degrado dello stile di governo.

Scommettere sulla "differenza" cristiana
Testimonianze come quelle appena citate, non sono rinunciatarie o pessimiste perché il discepolo sa che le sorti di tutto e di tutti sono nelle mani di Dio che attraverso vie nuove e imprevedibili può sempre fare strada a un mondo diverso, più umano, più vivibile. Non è un pensare ingenuo e utopico perché nello spazio creativo dell'inarrivabile immaginazione divina che è l'eucaristia sta la vera "differenza" del realismo politico del cristiano che il mondo con tutta la sua presunzione fatica a riconoscere: il mistero della kénosis divina. Una verità inarrivabile vissuta nella consapevolezza che Dio è Dio a modo suo, testimoniata da una schiera di discepoli che hanno preso parte allo stesso annullamento di Dio proprio nella lealtà del loro "fallimentare" impegno politico, perché hanno creduto che Dio ci salva, non alla maniera mondana, vincendo e ostentando la sua terribile onnipotenza, ma accettando di mostrarsi nella sua debolezza di uomo, mancando, perdendo, morendo.
La "differenza" cristiana non consiste dunque nell'affermare sugli altri una propria, presunta, superiorità etica, spirituale o culturale, per difendere e giustificare l'esercizio del proprio potere; ma nel riaffermare la verità di Dio «dal punto più basso» (Sal 130,1), cioè dall'estremo stato di abbassamento e di svuotamento raggiunto dal Figlio in quella condizione di obbedienza del servo crocifisso, contemplata dalla primissima fede cristiana (vedi l'inno prepaolino di Fil 2,6-11). Servire gli ultimi da ultimo e i fratelli da fratello è la condizione necessaria che permette la mediazione di una vera diaconia politica che, non operando per rivalità o per vanagloria, mira a edificare la fraternità cercando non l'interesse proprio, ma quello degli altri che poi non è altra cosa che avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (cf. Fil 2,3-5).
Questa eccezionale lezione profetica, questa esemplare eredità di sapienza, questa mirabile opera di diaconia politica, oggi, da chi è stata raccolta? Le tante lodevoli iniziative pastorali sembrano girare a vuoto, perché la cultura viva continua a essere prodotta altrove. È vero, le organizzazioni cattoliche di volontariato sono il segno di una realtà solidale ancora viva, di una tradizione che, anche sul piano ecclesiale, dispiega il meglio di sé in varie modalità di assistenza in cui operano non pochi cristiani che, spesso, non hanno altra forma di partecipazione attiva alla vita della comunità. Supplire alle carenze delle istituzioni statali è certo un'opera meritoria ma non è diaconia politica se non sa annunziare la speranza. Il servizio politico dei cristiani non può accontentarsi di essere suppletivo, mettendo rattoppi ai mali della società, supplendo alle deficienze di governo, coprendo fino ai limiti della decenza colpe manifeste, per guadagnare cosa? Solo qualche venale prebenda e qualche servo encomio. Solo l'ascolto pieno della Parola consente un'apertura leale al divenire del mondo per svolgere una diaconia politica, valida e disinteressata a vantaggio della comunità e soprattutto dei poveri, testimoniando la presenza di Dio nella storia e rendere così finalmente ragione della speranza viva che abita coloro che credono (cf. 1 Pt 3,15). Alla custodia della Parola deve essere aggiunta la conoscenza della storia, come consigliava il monaco Dossetti, in una sorta di ultima consegna spirituale destinata ai giovani preti, ma quanto più necessaria ai cristiani impegnati nella diaconia politica.



Per continuare la lettura:
G. Bellia, Servi di chi. Servi perché. Piccolo manuale della diaconia cristiana, Editrice Rogate, Roma 2010.




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