Diaconia politica, un miraggio?



Il diaconato in Italia n° 163
(luglio/agosto 2010)


Editoriale - Diaconia politica, un miraggio?
di Giuseppe Bellia


La diaconia politica è oggi una rara avis che volteggia molto in alto e assai lontano dai nostri luoghi che, per inerte convinzione, sono dichiarati liberali e culla della democrazia. Fino ad ora non si era mai assistito a un degrado della vita pubblica così accentuato, generalizzato e deprimente, accompagnato da un silenzio imbarazzato e persistente di chi in passato del servizio politico dei cattolici aveva fatto un impegno primario e quasi una bandiera. La confusione e lo sbandamento dei nostri cristiani sono evidenti e qui e là, con disagio e con profondo senso di amarezza, qualche lamento o qualche richiesta di lumi affiora anche nel prudente giornale cattolico, attento a non scontentare i potenti di turno, come si legge in una garbata e misurata lettera di un cristiano che in passato aveva fatto esperienza politica.
Ne riportiamo di seguito qualche brano: «devo constatare che da una parte, nel centrodestra, ci sono politici di chiara ispirazione cristiana che devono dire troppi sì a un leader che politico non è e che, anzi, per il modo con il quale occupa la scena pubblica, si dimostra in occasioni cruciali agli antipodi della nostra cultura politica. Dall'altra parte, nelle diverse opposizioni di centro e di centrosinistra, ci sono politici che si richiamano, anche per storia personale, ai valori del cattolicesimo ma che non hanno presenza o una capacità di incidere tale da far valere queste idee così importanti lì dove si trovano».
Una presa d'atto della situazione politica difficilmente eludibile che spinge lo scrivente ad auspicare il «lancio di una campagna» per far maturare l'elaborazione di una «proposta culturale del laicato cattolico al servizio del Paese», ma non per creare o rilanciare una nuova organizzazione partitica d'ispirazione cristiana e nemmeno per fare approvare singole leggi vicine alla sensibilità morale dei cattolici e agli interessi clericali, ma «come una coscienza civile che si attiva», perché «c'è una politica della società che precede e motiva l'impegno nei partiti e nelle istituzioni».
Le ragioni dell'attuale afasia politica dei cattolici sono molte e vengono da lontano anche se certo da ultimo ha funzionato come efficace strumento dissuasivo il cosiddetto «metodo Boffo». Il timore di scheletri nei soffitti delle chiese o negli armadi dei curiali e il continuo puntare il dito sui peccati del clero ha sortito un effetto deterrente, quanto mai umiliante e paralizzante per i ministri della parola. Eppure si doveva conoscere dai profeti, o dai sapienti scribi d'Israele, che i potenti sanno premiare e incoraggiare i sudditi devoti e che anzi li blandiscono e li invogliano ad assumere atteggiamenti opportunistici e servili. Quando però il loro governo non ha più freni, oppure quando il loro potere è minacciato, come insegna la Scrittura, allora non hanno ritegno nel mostrare il loro volto trucido, spietato e soprattutto sanguinario. Non hanno scrupolo nell'usare un linguaggio insincero e calunnioso, carico d'ira e non si vergognano di minacciare e perpetrare brutali azioni di rappresaglia. Eppure le risorse della nostra fede, la conoscenza della testimonianza dei nostri martiri ci dovrebbe dare luce e sostegno. Il cristiano non è chiamato ad annunciare solo ciò che vive ma la verità di Dio nell'impotenza del crocifisso. Non dei supereroi sono stati i primi araldi del vangelo e confessori della fede ma dei deboli e inermi coscienti della loro fragilità e del loro peccato: gli apostoli erano quelli che lo avevano tradito e rinnegato. Per quanto paradossale è questa la base più solida di ogni vera evangelizzazione: anche la consapevolezza lucida e inescusabile della nostra fragilità non è d'ostacolo alla testimonianza profetica, perché la potenza è più nella natura della Parola che nell'attendibilità e affidabilità dei servi inutili. Certo la santità di vita dei testimoni favorisce l'accoglimento dell'evangelo, ma è la fede nella parola che trasforma i servi inetti in strumenti privilegiati della grazia.
Quanto mai illuminante la riflessione del martire resistente Dietrich Bonhoeffer sulla possibilità di essere profezia pur nella consapevolezza della propria miseria. «L'idea che non possiamo mai soffrire innocentemente fintanto che qualche colpa si nasconde ancora dentro di noi è inesatta e del tutto contraria allo spirito biblico. Questo infatti non lo pensa né l'Antico né il Nuovo Testamento; se siamo perseguitati per la causa di Dio, noi soffriamo innocentemente, e ciò significa che allora soffriamo con Dio stesso; il fatto che noi siamo realmente con Dio e perciò siamo innocenti, si manifesta precisamente nel fatto che noi chiediamo il perdono dei nostri peccati».
Ecco, è questa la causa centrale della mancata visibilità politica dei cattolici: non tanto l'impeccabilità della loro condotta quanto l'assenza di conversione che procura quella forza mite perché nasce da misericordia sperimentata e quindi annunciabile. L'acquiescenza al peccato, per calcolo o per debolezza, genera nel nostro tempo il mutismo profetico di chi per dono di grazia o per ruolo ecclesiale potrebbe e dovrebbe dire parole di luce che danno speranza a ultimi e poveri.




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