Natale del Signore (Messa della notte)


ANNO A - 25 dicembre 2010
Natale del Signore (Messa della notte)

Is 9,1-6
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

LA NASCITA DI CRISTO
NOTIZIA PER IL MON DO

Uno dei simboli religiosi a più forte carica evocativa è certamente quello della luce. Ci è difficile, forse, rendercene conto in un mondo come il nostro in cui esercitiamo costantemente il comando sulla luce con semplici "click" e abbiamo perso quasi del tutto l'esperienza del lento passaggio dalle tenebre alla luce. Le culture antiche riconoscevano al sole un posto centrale nel sistema religioso non certo perché supponevano fosse al centro di una delle tante galassie che compongono l'universo, ma perché è la potenza della luce che decide della qualità della vita sulla terra. Per questo la tradizione cristiana ha fissato la celebrazione della nascita del Messia nello stesso giorno in cui i pagani celebravano la nascita del sole. Anzi, nella stessa notte. La notte in cui, nel susseguirsi delle stagioni, la potenza del sole vince sulla notte più lunga dell'anno. Diversamente però dal sole, che irrompe ciclicamente, il figlio di Davide è venuto nel mondo una volta per tutte in un preciso momento della storia.

Per l'evangelista Luca, infatti, la nascita di Gesù si iscrive, prima ancora che nel cosmo, nella storia umana. In continuità con la grande tradizione biblica, sono più importanti i tempi degli uomini che non quelli degli astri. La nascita di Gesù si gioca tra Nazaret, da dove viene la sua famiglia e dove egli passerà tutta la sua vita, e Betlemme, la città di Davide, stretta cioè in precisi confini geografici e religiosi. L'importanza di quella nascita supera però sia l'oscuro villaggio galilaico che la pretesa messianica della piccola città della Giudea perché Gesù nasce dentro una storia che va ben oltre i confini di Israele. Per questo la buona notizia della salvezza parlerà le lingue dell'impero e potrà raggiungere "ogni carne".
Sullo sfondo della grande storia, di cui proprio quella nascita cambierà le sorti, risalta ancora di più la sobrietà dei toni con cui essa viene raccontata. Forte è anche il contrasto con i fenomeni angelici che ne svelano il significato. Gesù nasce come tutti gli esseri umani da sempre sono nati e per sempre nasceranno. Una donna incinta dà alla luce al tempo stabilito il suo bambino e ha nei suoi confronti le attenzioni che qualsiasi madre ha verso suo figlio. Luca non ci dice di più: Giuseppe obbedisce alle leggi della società, Maria a quelle della natura. Nessuna pretesa da parte loro, nessuna rivendicazione di privilegio, nessuna ostentazione di forza. Anzi.

Se Dio non manda il suo angelo, però, la notte resta buia, la vita quella di sempre, il figlio di quei due modesti israeliti non è altro che uno dei tanti venuti al mondo come tutti. È quello che molti sulla faccia della terra hanno sempre pensato e continuano a pensare. Anche intorno a noi. La scena della rivelazione ai pastori è ricca di elementi teologici che ci avvertono che, come nessuno viene al mondo senza gestazione, così la nascita di un bambino venuto al mondo come tutti può divenire annuncio della pace finalmente ristabilita tra cielo e terra solo grazie alla gestazione di una tradizione religiosa. Nulla né nessuno nella storia nasce all'improvviso o per virtù propria: è la legge cui Dio per primo ha voluto sottostare.
Per i pastori la notte è tempo di vigilanza. Nulla di straordinario, soltanto l'abitudine di chi ci tiene a ciò che possiede, perché da esso dipendono la sua vita e il suo futuro. D'altro canto, però, le parole dell'angelo possono trasformarsi nell'annuncio di una grande gioia solo se la notte della vigilanza è tempo della memoria, solo, cioè, se la voce dei profeti non è stata messa a tacere.

Indulgere sull'immagine del dio-bambino, con il suo corredo di simboli familiari e accattivanti, è una tentazione a cui è difficile sottrarsi. Non solo però contraddice la sobrietà del racconto evangelico, ma ne altera addirittura il significato. In quella notte che il censimento imperiale sigilla come di portata storica, è venuto al mondo il primogenito di Maria, colui che appartiene alla casa di Davide, il re di Israele, colui che è stato annunciato dai profeti e atteso dai credenti di Israele. Di lui, di Gesù di Nazaret e non di un mitico dio-bambino, coloro che leggono il Vangelo e coloro che celebrano il Natale conoscono molto bene le parole e le opere.
La memoria liturgica della nascita del Messia non celebra però soltanto l'anniversario di un fatto storico unico e irrepetibile. Pone anche le Chiese di fronte alla precisa responsabilità di far diventare la nascita di Gesù evangelo per il mondo. Dove sono oggi i luoghi della veglia? Dove è stata conservata la memoria dei profeti? Intorno a questo ogni comunità cristiana può dare vita a un suo presepio che non cerchi di riprodurre un passato di cui non sappiamo quasi nulla, ma sia in grado di trasmettere un annuncio che apre il mondo al futuro.

Invece di riscaldare i cuori di buoni sentimenti, la nascita del Messia dovrebbe ingenerare quel timore che, nella Bibbia, accompagna sempre la manifestazione di Dio. Solo se scaccia ogni paura il Natale è riconoscimento che Dio è entrato nella storia degli uomini che egli ama come Signore della pace. D'altra parte, solo quando l'angelo del Signore avrà annunciato la nascita del Messia a tutti gli uomini la gioia potrà, finalmente, essere piena. Senza l'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria, la celebrazione del Natale non è altro che un click che accende una delle tante forme di luce artificiale.

VITA PASTORALE N. 10/2010
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)




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