II Domenica dopo Natale (A)


ANNO A - 2 gennaio 2011
II Domenica dopo Natale

Sir 24,1-2.8-12
Ef 1,3-6.15-18
Gv 1,1-18

IL LOGOS È VENUTO
AD ABITARE TRA NOI

Il fatto che per due volte nel ciclo liturgico del Natale il lezionario festivo insista sul prologo di Giovanni non rischia di banalizzare questa straordinaria pagina evangelica? La domanda non è del tutto peregrina. La solennità di questo testo, il ruolo che l'evangelista assegna a esso come degna introduzione alla lunga narrazione della glorificazione di Gesù, Verbo di Dio fatto carne, la profondità della riflessione cristologica in esso contenuta ci porterebbero a ritenere che il momento adatto per la proclamazione liturgica dell'inno giovanneo sia unicamente quello della celebrazione della festività del Natale. È anche vero, però, che, prima della riforma liturgica conciliare, la sua "ordinarietà" era invece attestata dal fatto che il testo giovanneo suggellava in modo quasi meccanico la conclusione di ogni messa, in ogni tempo liturgico.

La possibilità di fare del prologo del quarto vangelo un testo "ordinario" è allora plausibile e ne va, di conseguenza, ricercata . la motivazione. Con grande acume la liturgia di questa domenica ci invita a riallacciare la riflessione giovannea sull'incarnazione del Verbo alla grande tradizione sapienziale di Israele. Solo sullo sfondo della riflessione sul rapporto tra Dio e la Sapienza, infatti, è possibile capire che il significato teologico dell'inno al Logos va radicato, prima che nelle successive proclamazioni dogmatiche dei concili dei primi quattro secoli, nell'appassionata ricerca della Sapienza che ha portato i saggi di Israele a maturare una fede capace di "oltre": il cosmo oltre la storia, la preesistenza oltre il tempo, la morte oltre la vita. Tutto appartiene a Dio. Soprattutto, la Sapienza che si fa compagna della quotidianità degli uomini rivela il volto di un Dio amante della vita (Sap 11,26).
Ha ingenerato una certa emozione la scoperta, durante il restauro della Cappella Sistina, di una figura femminile che presiede alla comunicazione della forza vitale ad Adamo da parte di Dio. Ed è stata anche questa un'ulteriore prova di una mancata conoscenza della tradizione sapienziale biblica. D'altra parte, la tendenza contemporanea a considerare la Sapienza come il volto femminile di Dio, invece di rendere giustizia di un'assenza secolare dovuta, come nel caso della figura michelangiolesca, alle incrostazioni del tempo, rischia di banalizzare la rivelazione biblica di Dio in una logica di complementarità di ruoli. Soprattutto, rende ancora più ardua, forse, la possibilità di cogliere il legame tra Sapienza preesistente e incarnazione del Logos in Gesù Cristo.
L'inno cristologico con cui si apre la lettera ai cristiani di Efeso, invece, è chiara testimonianza di quanto la fede nell'incarnazione di Dio dovrebbe restare sempre ancorata all'esperienza sapienziale della fede. Al di fuori di questo non si può capire né il prologo giovanneo né l'intero quarto vangelo. Il "Logos" è innanzi tutto l'altro nome della Sapienza e la sua incarnazione in Gesù di Nazaret rende definitivo e manifesto che fin da prima della creazione del mondo il Dio di Israele ha voluto essere il Dio-con-gli uomini. Soprattutto, rende definitivamente manifesto che fin dalla creazione del mondo Dio ama tutte le cose che esistono (Sap 11,24): il motivo dell'incarnazione non sta forse proprio nel grande amore che Dio ha per il mondo (Gv 3, 16)?

Purtroppo la tradizione cristiana ha spesso collegato l'incarnazione più al peccato che non alla creazione, senza rendersi conto che in questo modo rischiava di considerare più forte Adamo che non Dio. Ed è ancora molto difficile ascoltare una predicazione "della" vita prima ancora che "sulla" vita, una predicazione che illumini gli occhi del cuore e lo renda capace di benedizione. Eppure, come la Sapienza di Dio fissa la sua tenda in mezzo a un popolo, lo sceglie, perché Dio non esiste al di fuori della relazione, e lo educa ad apprezzare la vita, a godere di ogni cosa, ad accettare perfino l'odioso mistero della vecchiaia e della sconfitta, della cattiveria e della morte, il Logos di Dio "venne ad abitare in mezzo a noi".
Quale più grande confessione di fede in un Dio che ha amato tutto ciò che ha creato?

In un tempo in cui sembra divenuto ormai così difficile apprezzare con gusto tutto ciò che ci è stato donato, colui che ha preso la stessa carne dei "suoi" ci chiede ragione della nostra fede nel Dio della benedizione nonché del nostro amore per il mondo. Senza né falsificazione né adulterazione, ma con quel realismo che rende amici della Sapienza e discepoli di Gesù, cioè di colui che non ha mai voluto servi al suo seguito, ma solo amici (Gv 15,15). Certo, nessuno, neppure Colui che era presso Dio e che ha preso la carne di quelli che Dio ha creato, può amare la vita negando l'evidenza: quel mondo che era stato fatto per mezzo suo non lo ha riconosciuto e proprio i suoi non l'hanno accolto. In fondo, il mistero vero non è Dio, ma il fatto che sia possibile non riconoscerlo. Mistero che Gesù, invece di sciogliere, non fa altro che confermare: la vicenda di Gesù di Nazaret è divenuta evangelo solo per coloro che lo hanno accolto. In Gesù, il Dio di Israele, il Dio della legge, rivela appieno il suo volto di grazia e di verità. Il rifiuto, la condanna e la morte non sono più forti di lui, perché non accendono la sua vendetta né il suo disprezzo per il mondo. Perfino il legno della croce diviene trono della sua gloria.

VITA PASTORALE N. 11/2010
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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