Anche se non trova posto nella raffigurazione popolare del Natale, il battesimo di Gesù nel fiume Giordano ad opera di Giovanni Battista rappresenta la conclusione più adeguata del ciclo liturgico natalizio. Da questo punto di vista, la tradizione orientale, che riconosce nella celebrazione del battesimo di Gesù una epifania del Figlio, ha una comprensione teologica del significato dell'incarnazione, oltre che più completa, anche più efficace. Contenuto nella quadruplice tradizione (Mc 1,9-11 e par.), il racconto di un fatto storico con il quale ha avuto inizio l'attività di Gesù, a cui molti avevano assistito e di cui si era conservata la memoria, rappresenta la chiave di lettura di tutta la narrazione evangelica. Essa è tale, è cioè messaggio di salvezza e non semplice memoria storica, perché la vicenda di quell'uomo di Nazaret può essere capita e narrata a partire dalla sua risurrezione. VITA PASTORALE N. 11/2010
Battesimo del Signore
Is 42,1-4.6-7
At 10,34-38
Mt 3,13-17
RICONOSCERE IN GESÙ
L'EPIFANIA DEL FIGLIO
Riletto a partire dalla fede nella risurrezione come conferma della messianicità di Gesù, l'episodio del battesimo nel Giordano non perde però la sua problematicità. Anzi, il suo significato teologico emerge proprio come risposta ai problemi che esso pone. Che senso poteva avere, infatti, per colui che la risurrezione ha pienamente rivelato essere il Figlio dell'Altissimo, sottomettersi a un lavacro di carattere penitenziale a cui un profeta di Israele chiamava indiscriminatamente tutto il popolo? Da questo punto di vista, lo sforzo teologico di ognuno degli evangelisti è davvero paradigmatico.
Matteo ha un'attenzione tutta particolare nei confronti della sua comunità di giudeo-cristiani fortemente legati alla tradizione scritturale. Come mostra la solennità tutta particolare che egli conferisce alla presentazione del Battista che precede l'episodio del battesimo, per lui è molto importante la continuità tra il ministero profetico di Gesù e la tradizione profetica di Israele di cui Giovanni è venerato come l'ultimo grande testimone: entrambi chiamano a conversione in vista dell'arrivo imminente del Regno e si confrontano entrambi con gli stessi oppositori, cioè con gli esponenti del sistema religioso ufficiale, farisei e sadducei. Si tratta solo di una curiosità storica oppure la continuità tra il ministero messianico di Gesù e quello profetico-escatologico di Giovanni chiede anche al nostro modo di credere di fare un passo in avanti? La posta in gioco è molto più alta di quanto normalmente si pensi.
Tutto ciò che collega Gesù alla storia del suo popolo, storia di fatti e di personaggi, storia di idee e di convinzioni religiose, storia di istituzioni e di pratiche, è fondamentale per sottrarre Gesù alla magia. Non a caso per tutti e quattro gli evangelisti l'episodio del battesimo, e non un miracolo o un discorso ispirato, è la degna introduzione della narrazione evangelica. E ci obbliga a confrontarci con la condizione senza la quale la fede nella risurrezione si confonde con tanti altri miti religiosi. Gesù è il grande assente dalla predicazione, dalla catechesi, dall'istruzione cristiana. Nella seconda e nella terza generazione cristiana era già molto sentito. E ha spinto le Chiese a tornare alla tradizione di quanto Gesù aveva detto e fatto, a ricordarlo e trasmetterlo, interpretarlo e tramandarlo. Per questo sono nate la narrazioni evangeliche che hanno assicurato che la predicazione apostolica non perdesse il suo contatto con Gesù, ebreo di Palestina e profeta del Regno.
Senza sapere cosa significa e cosa comporta che Gesù sia Galileo e non gerosolimitano, oppure perché ha partecipato al movimento di Giovanni Battista accettando di sottoporsi al battesimo nell'acqua, senza capire perché la sua predicazione è stata segno di contraddizione per Israele e senza domandarsi perché abbia accettato di consegnarsi alla morte senza aver visto la realizzazione piena di ciò che aveva predicato, la fede in lui non può che alimentarsi di superstizione e di magia. Abbiamo imposto al mondo una scansione della storia secondo un "prima" e un "dopo" Cristo, senza renderci conto che è una unità di misura possibile come altre se coloro che credono in Gesù Cristo hanno perso il senso di ciò che viene prima e di ciò che viene dopo. L'epifania del Giordano, come quella di Betlemme, ci impone allora di farci i conti e di tradurlo in predicazione, catechesi e istruzione. Prima c'è l'oracolo profetico di Isaia sul servo di Jahwè con tutto ciò che richiama e comporta; dopo c'è la predicazione apostolica a tutte le genti con tutto quello che richiama e che comporta.
La liturgia della festività che chiude il ciclo natalizio, dunque, contiene in sé un monito molto grande e apre a un compito molto impegnativo. L'anno liturgico è impegno a mettere Gesù al centro della predicazione delle Chiese. Ricostruire la sua storia e interpretarla come teofania: da questo punto di vista, il racconto del battesimo nel Giordano è davvero paradigmatico. Rispondere alle domande e agli interrogativi e preferirli all'acquiescenza di chi è disposto a credere all'evangelo di Gesù come a qualsiasi altra possibile storia immaginaria, ma edificante. La teofania del Giordano ci dice che è possibile riconoscere in Gesù l'epifania del Figlio unigenito soltanto se le sue parole continuano a essere proclamate e ascoltate. Solo se la memoria di lui diventa evangelo e se la predicazione dell'evangelo altro non è se non memoria di lui. È meno semplice e meno banale di quanto si crede.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
Battesimo del Signore (A)
ANNO A - 9 gennaio 2011