Immacolata concezione della B.V. Maria


ANNO A - 8 dicembre 2010
Immacolata concezione della B.V. Maria

Gn 3,9-15.20
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

MARIA, UN'IMMAGINE
FACILMENTE DETURPABILE

A un certo punto del cammino dell'Avvento, il colore liturgico della penitenza, il viola, deve cedere il passo al bianco delle solennità perché la Chiesa cattolica celebra una delle grandi feste mariane dell'anno liturgico. Una festa che, imperiosamente, mette al centro dell'immaginario religioso giudaico-cristiano, fortemente connotato al maschile, una donna. Un processo analogo a quello attestato dai racconti che Luca utilizza come introduzione al suo vangelo mettendo al centro delle narrazioni dell'infanzia Maria.

Sappiamo bene tutti che, se si facesse un sondaggio tra i cattolici, la stragrande maggioranza affermerebbe che la celebrazione liturgica dell'Immacolata concezione di Maria rimanda al dogma della sua verginità. Raffinatezza riservata a pochi sapere che il concepimento verginale e la concezione immacolata sono due cose diverse. E, in fondo, c'è una saggezza in tutto questo, una sorta di "teologia dal basso" cui va riconosciuta una certa dose di intuito: molto prima di ogni femminismo, come tutte le donne della storia, anche le donne della Bibbia non hanno forse attestato che la storia, ogni storia individuale e collettiva, passa sempre attraverso il corpo delle donne? E non soltanto attraverso il loro utero, dato che nessuno, re o profeta, giudice o sacerdote è mai entrato nella storia senza nascere da donna, ma anche attraverso le loro parole e i loro intrighi, le loro gesta e i loro silenzi. Il femminismo ha obbligato a trarre da ciò le necessarie conseguenze, ma non ha certo inventato che le donne hanno sempre fatto la storia, e non solo con il loro utero.

Le tradizioni sul concepimento e sulla nascita di Gesù attualizzano, in fondo, in modo del tutto inedito per la grande tradizione biblica, a cui era familiare la sterilità, ma non la verginità, la consapevolezza che anche una cultura e una religione patriarcali, sempre e comunque, hanno a che fare con il corpo delle donne. Per un Dio che ha scelto di manifestarsi nella storia e non soltanto nei miti, anche il compimento della promessa deve passare attraverso il corpo di una donna. Per questo, al cuore della celebrazione della festa mariana dell'Immacolata viene proclamato il vangelo dell'annuncio dell'angelo a Maria. E per questo, forse, tutti sovrappongono un po' troppo rapidamente concepimento di Maria senza peccato e concezione verginale di Maria.

In effetti, però, tra l'uno e l'altra intercorre una riflessione lunga e articolata che la teologia cristiana è andata sviluppando attraverso i secoli. Una riflessione intorno a un problema cruciale: se, come dicono i vangeli, in quanto madre di Gesù Maria è madre del Messia e del Salvatore, e proprio di questo la sua verginità è sacramento, che cosa è la salvezza? come si compie la vittoria messianica di Dio nella storia, se la fine del tempo attesa e annunciata non è mai venuta? Sono domande che ben presto si affacciano alla mente man mano che ci si allontana dalla grande tradizione biblica e cresce l'esigenza di conciliare fede e speculazione intellettuale. Il problema cruciale, insomma, non è come Dio è entrato nella storia, cioè l'incarnazione del Salvatore, ma come Dio attua la salvezza nella storia.

L'inno che apre solennemente la lettera agli Efesini è, al riguardo, eloquente: l'idea dell'intervento salvifico di Dio supera gli stretti confini della storia del più piccolo di tutti i popoli e comincia a misurarsi con una prospettiva, oltre che universale, anche meta-storica. C'è un «prima della creazione del mondo» (1,4) che coincide con un'originaria integrità cui finalmente, dopo il grande esilio della storia, ci è dato di ritornare. Alla luce di questo anelito, il racconto genesiaco della caduta conferma che l'integrità perduta è, però, sigillo sul capo di ogni vivente. Passa infatti attraverso il corpo di colei che è «madre di tutti i viventi» (Gen 3,20).

In quanto luogo attraverso il quale, al prezzo della perdita dell'integrità fisica, ogni vivente entra nella vita, il corpo delle donne ben si presta allora, nell'immaginario patriarcale che fa da sfondo a tutta la tradizione biblico-cristiana, a raffigurare lo spazio in cui la perdita dell'integrità originaria può e deve essere risarcita. A parte le efflorescenze oratorie cui l'ha condannata una teologia che combatte un'estenuante lotta contro la sessualità, si tratta di un'immagine potente che chiama in causa tutti i viventi, nati da donna. Ad essi Gesù di Nazaret, il cui nome significa Dio-salva e che entra nella storia attraverso il corpo di una donna senza violarlo, risarcirà l'originaria integrità perduta. A differenza di Eva, madre di tutti i viventi, la madre del Salvatore e, grazie a lui, di tutti i credenti, Maria, non ha mai perso l'integrità creaturale degli inizi: a lei è stato fatto dono di essere concepita e di nascere, cioè di passare attraverso un corpo di donna, senza ricevere le stigmate della violazione, senza cioè il sigillo del peccato.

Come tutte le immagini potenti, anche quella di colei cui è stato fatto dono di una creazione senza caduta, è un'immagine deturpabile. Per capirlo sarebbe forse necessario mettersi di più all'ascolto delle donne, perché sul loro corpo, ancora prima che sulla sua raffigurazione simbolica, viene fatta violenza e mercimonio con la stessa facilità con cui si è capaci di fare retorica ed elegia o di sentenziare ingiunzioni o condanne. «Chi è senza peccato…».

VITA PASTORALE N. 10/2010
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)




torna su
torna all'indice
home