Gesù Cristo, re dell'universo - XXXIV Dom. del T.O. (C)


ANNO C - 21 novembre 2010
Gesù Cristo, re dell'universo - XXXIV Dom. del T.O.

2Sam 5,1-3
Col 1,12-20
Lc 23,35-43

UN NOME CHE TUTTO
DICE E TUTTO RIASSUME

Il personaggio centrale del passo evangelico propostoci per la solennità di Cristo Re, in questa conclusione di anno C, è il cosiddetto "buon ladrone". È importante, anzitutto, in conformità con la teologia di Luca, correggere il titolo che la tradizione cristiana ha universalmente dato al malfattore redento da Cristo e condotto in paradiso. La bontà per l'evangelista, come per tutta la spiritualità cristiana, non proviene infatti dalle proprie opere o dai propri meriti. È sulla giusta via chi invece riconosce il proprio peccato. Pensiamo alle frequenti figure di giusti apparenti come il fariseo che sale al Tempio a pregare in Lc 18 o a coloro che mormorano contro Gesù in apertura del capitolo 15, riassunti dalla figura del figlio maggiore della celebre parabola. Di contro, pensiamo invece alle sorprendenti figure "negative", come il pubblicano al Tempio sempre in Lc 18 o Zaccheo nel cap. 19 o altri che manifestano adesione al Signore Gesù sincera e inaspettata. Essi sono ingiusti giustificati dalla grazia di Dio.

Dunque, se il buon ladrone difende Gesù dagli attacchi dell'altro condannato, lo fa accusando se stesso e riconoscendo dunque la propria malvagità. Egli non è "buono", anzi merita quello che sta subendo, mentre riconosce l'innocenza di chi condivide fra le due croci la stessa condanna (vv. 40-41). L'altro vorrebbe un Messia, un "cristo" appunto, a proprio uso e consumo che salvi chi è in croce per mettervi Pilato mostrando così chiaramente dove stia la verità e dove l' errore nello scontro tra romani e giudéi. Lui, quindi, considera se stesso "buono". Se è in Croce, ciò è avvenuto solo per il fallimento della sua battaglia personale, battaglia nella quale vuole attirare il Cielo stesso. Il buon ladrone è, invece, giunto alla propria verità e a quella di Cristo: lui, colpevole, condivide la stessa pena con un innocente. Il modo regale in cui Gesù sta affrontando la propria morte, consumando il dono totale di sé al Padre e all'umanità, lo convince della sua estraneità alla colpa e al peccato.
Il secondo condannato diviene così il primo vero interprete della follia della Croce. Comprende che quel Giusto agonizzante accanto a lui è in Croce non per i propri delitti, ma per quelli altrui e dunque anche per i suoi. Comprende come Gesù sia in Croce per essere a fianco anche dell'ultimo malfattore, dell'ultimo delinquente della storia quale lui è. La sua preghiera, allora, non è il tentativo disperato, quasi casuale, di un uomo che ha ormai finito tutte le proprie risorse. Piuttosto è l'estremo atto di fede, paradossale, impensato, tuttavia capace di cogliere la pienezza della verità. Il titolo derisorio posto in cima alla croce del Salvatore - «Questi è il re dei Giudei» (v. 38) - acquista sulle sue labbra un peso straordinario e diviene il punto d'appoggio della preghiera più intensa e toccante di tutto il Nuovo Testamento: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno» (v. 42). Il buon ladrone non domanda un capovolgimento della propria sorte. Domanda di non essere più separato da Cristo. Lo fa nel modo più discreto e intenso allo stesso tempo. Egli chiede di essere "ricordato". Sono diversi i testi dell'AT in cui Dio, ricordando, agisce in modo salvifico. Non si tratta dunque di una semplice memoria psicologica, quasi che Gesù dovesse tenere a mente quell'uomo, il suo volto, la sua storia. Il ladrone sta chiedendo molto di più al Re, che ha scelto come trono il proprio patibolo. Chiede la salvezza. Se i rapporti di potere sono rovesciati, se Dio ha scelto di comunicare tutto se stesso nel dono regale del Figlio su una croce, allora davvero tutto è possibile.
La risposta di Gesù non delude il ladrone. L' ''oggi'' che udiamo dalle parole del Cristo riassume il discorso programmatico compiuto nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,21) ma anche il senso dell'incontro con Zaccheo narrato in 19,1-10. Il buon ladrone è il povero cui l'Unto del Signore è venuto a recare la buona novella. Il lieto annuncio è, come per Zaccheo, annuncio di comunione: «Oggi devo fermarmi a casa tua». Se per il capo dei pubblicani la salvezza era la visita di Cristo a casa propria, segno del perdono ricevuto, qui è il Re a concedere al povero, al derelitto che muore su un legno di essere nella sua dimora: «Oggi sarai con me nel paradiso» (v. 43). Il nuovo Adamo, o meglio, il vero Adamo riapre le porte del Giardino da cui il primo Adamo era stato scacciato per la sua disobbedienza. Là si era interrotto un dialogo; l'uomo era fuggito dalla presenza di Dio nascondendosi a motivo della propria nudità.

Sulla croce, un uomo, senza più temere la propria miseria esistenziale, ben rappresentata dalla condizione di totale nudità in cui morivano i crocifissi, rivolge di nuovo la parola al Re perché il Sovrano del cielo e della terra ha scelto di perdere il proprio Paradiso per rientrarvi solo assieme all'ultimo dei suoi figli fuggiti lontano. La Croce è il giudizio di ogni mondana regalità e di ogni potere. Dio ha scelto di essere per amore dove mai potevamo attendercelo. Questa è però la certezza consegnata alla nostra fede: nessuno, in nessun luogo e in nessuna condizione, muore solo e lontano dalla salvezza, se solo ha la forza di aprire le labbra e pronunciare l'ultima preghiera al Re che attende il sussulto della libertà umana per concedere un perdono immeritato e insperato. Possiamo davvero in questa solennità sperare per tutti. Non v'è sovrano così vicino a noi ogni volta che invochiamo il suo nome, quel nome sussurrato anche dal buon ladrone, nome che tutto dice e tutto riassume, "Gesù", "Dio salva".

VITA PASTORALE N. 9/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)




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