XXI Domenica del Tempo ordinario
Is 66,18-21
Eb 12,5-7.11-13
Lc 13,22-30
FUORI DAL CRISTO
NON C'È SALVEZZA
Le letture proposteci in questa domenica ci annunciano la verità consolante per eccellenza, verità che sta al vertice di ogni consolazione: Dio è Padre di tutti gli uomini. Il suo amore è davvero universale. Mentre Isaia nella prima lettura profetizza il raduno universale di tutti i popoli, Gesù, in cammino verso Gerusalemme per rendere al Padre il culto perfetto della propria oblazione, offre alla domanda che gli è rivolta una risposta capace di aprire un nuovo orizzonte nella speranza cristiana. Il suo invito è quello di entrare per la "porta stretta", compiendo uno sforzo preciso e consapevole. Della "porta stretta" sono state offerte molte interpretazioni spesso centrate sull'idea di rinuncia e sacrificio. Noi preferiamo leggere l'immagine alla luce del quarto vangelo, dove il "Pastore bello" definisce se stesso anche come la porta del recinto delle pecore (Gv 10,7). Cristo è la porta da cui accedere ai pascoli della vita eterna (Gv 10,10).
Se essa si presenta stretta, questo accade semplicemente perché è una sola. Davanti a una moltitudine che cerca di entrare per un singolo accesso questo risulta sempre stretto, anche solo in virtù del fatto che è obbligante. Ripensiamo all'esordio della lettera agli Ebrei, tutta contrassegnata dal plurale dei modi, dei tempi, delle voci profetiche fino a quando si giunge al Figlio, nel quale il Padre ha detto tutto di sé, poiché egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza. In nessun altro c'è salvezza, ripeterà Pietro ai gerosolimitani radunati per ascoltare le sue parole, dopo l'evento di Pentecoste. Oggi come sempre, questo testo si offre a noi con una attualità sconcertante. In ogni tempo l'uomo religioso pratica il sincretismo e accomoda la parola di Dio secondo i propri gusti e orientamenti producendo una sorta di macedonia del sacro, per cui alla fede rivelata vengono associate pratiche e credenze estranee incollate dall'uomo che vuole forgiarsi un dio a propria immagine e somiglianza piuttosto che vivere a immagine e somiglianza del vero Dio che l'ha creato.
Non dobbiamo dunque intendere il testo in senso restrittivo quasi che fossero pochi quelli che si salvano. Il testo evangelico dice che molti si sforzeranno di entrare, sottintendendo per altre vie e porte, ma senza riuscirvi. Sarebbe antievangelico intendere il testo interpretandolo come affermazione della severità di Dio, quando il Figlio sta andando verso Gerusalemme dove spalancherà le braccia in un amplesso capace di stringere a sé l'umanità intera. La salvezza non solo è offerta a tutti, ma è intensamente desiderata e voluta da Colui che non ha esitato a dare il suo Figlio per tutti noi. Pensiamo alla parabola in cui il padrone invita i servi a riempire la sala delle nozze anche con la forza. Dio vuole la nostra salvezza molto più di quanto non lo desideriamo noi stessi. Se intendiamo il verbo greco del v. 25, reso con l'italiano "si alzerà", come preciso riferimento alla risurrezione di Cristo, indicata nel Nuovo Testamento spesso dal medesimo termine, comprendiamo come proprio la Pasqua del Figlio è la sua consacrazione a unica, esclusiva e definitiva via di approccio al Padre. L'ammonimento dello stesso v. 25 può essere allora inteso come rivolto particolarmente al popolo ebraico e a tutti coloro che supponevano di rivendicare una sorta di familiarità spontanea con il Cristo determinata dalla semplice frequentazione o da ragioni etniche. In realtà, non saranno riconosciuti e verranno trattati come estranei di cui si ignora la provenienza coloro che hanno misconosciuto l'origine del Cristo.
Nei Vangeli spesso risuona la questione dell'origine di Gesù. Non comprenderla equivale a fraintendere tutta la sua missione, generata dal seno stesso del Padre. Fraintenderla significa allora cercare altre porte, altre vie, altri modi per accedere alla vita eterna. È l'iniquità fondamentale o meglio l'ingiustizia, rendendo più fedelmente il greco del v. 27. Non esiste peggiore ingiustizia che la squalifica del Figlio di Dio come uomo autoproclamatosi Messia. La vera iniquità è allora l'incredulità e il rifiuto di Cristo. Esso rende estraneo ogni uomo davanti al Giudice eterno. I vv. 28 e 29 rafforzano questa interpretazione presentando coloro che siederanno nella mensa del Regno. Ci sono i grandi patriarchi, padri del popolo eletto come anche i profeti, custodi della Parola incorruttibile.
Ma troviamo anche una grande schiera affluita dai quattro punti cardinali, ossia da tutta la terra, senza esclusione o selezione etnico-geografica. Abbiamo una nuova conferma di come la porta non sia stretta in senso elitario o selettivo. Coloro che entrano sono molto più degli esclusi. I salvati sono appunto coloro il cui fine, una volta entrati attraverso la porta stretta che è Gesù, è precisamente quello di essere trascinati nella grande offerta sacerdotale e sacrificale del Cristo. L'amore di Dio investe tutte le creature. Non si arresta, non conosce coni d'ombra. Non ci sono zone escluse. Invade tutto più che il sole, ma passando attraverso un punto solo, il Figlio, come attraverso il vertice di un prisma. Non c'è salvezza fuori dal Cristo non perché lui sia il legislatore obbligante o il maestro condizionante, ma perché lui solo è il termine di tutta l'effusione e di tutta la risposta dell'amore di Dio nella sua morte salvifica e risurrezione. La salvezza è entrare nell'adorazione di Cristo al Padre, nella risposta unica d'amore del Figlio all'amore universale del Padre. L'unico contenuto di vita è in questo mistero d'amore e di dono.
VITA PASTORALE N. 7/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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