XVII Domenica del Tempo ordinario
Gen 18,20-32
Col 2,12-14
Lc 11,1-13
LA VERA PREGHIERA
SI FA INTERCESSIONE
È troppo ardito, in base al v. 1 dell'odierno brano evangelico, immaginare i discepoli presso il Maestro che contempla il volto e la presenza del Padre suo? Non è eccessivo supporre che la preghiera formulata dall'anonimo discepolo - «Signore, insegnaci a pregare» - sia nata proprio in conseguenza della preghiera di Gesù. L'evangelista non dice nulla in proposito, ma non possiamo dimenticare che nel terzo vangelo anche la Trasfigurazione avviene in un contesto di preghiera, come anche il Battesimo qualche capitolo prima. Esperienza dello Spirito ed esperienza di bellezza soprannaturale, la preghiera vissuta intensamente dal Cristo non poteva non muovere in coloro che lo vedessero raccolto in orazione autentica nostalgia per quanto traspariva dal suo volto e dal suo corpo: una totale comunione con il Padre, fonte dell'amore, che è lo Spirito santo.
Dunque la domanda del discepolo non va tanto a focalizzarsi su un apprendimento come tanti altri, che ogni buon maestro deve passare ai propri discepoli. La posta in gioco è decisamente maggiore. Il testo del Pater secondo Luca evidenzia una serie di temi che il lettore attento ha già incontrato e continuerà a incontrare lungo tutto il corso del vangelo. È la vita quotidiana del Maestro, gli elementi della sua predicazione, le costanti del suo agire verso gli uomini che ritroviamo nelle poche frasi del Pater lucano. Esso non è altro che vita. Dunque, la vita di Gesù altro non è che preghiera, nel senso più vero del termine. Tutto il suo desiderio, comunicato e trasmesso ai discepoli, è anche il contenuto della sua preghiera e viceversa. C'è totale osmosi tra preghiera e vita senza schizofrenie, senza inutili domande indirizzate al cielo che nulla abbiano poi a vedere con la concretezza della nostra esistenza. Più che una preghiera, le domande suggerite da Gesù nel Pater appaiono allora come uno schema cui attenersi, come all'anima di un gesto. Si pensi solo a quale straordinaria coloritura assume la prima parola - "Padre" - se accostata alla grande parabola dei due figli che incontreremo fra qualche domenica nel capitolo 15 come vangelo nel Vangelo.
La prima domanda inerente alla santificazione del nome si identifica con l'atto stesso della preghiera che è il primo riconoscimento di una differenza assoluta tra Dio e tutte le cose create. Solo Dio è santo. Il resto, se adorato dall'uomo, non è che idolatria. Nel momento stesso in cui un orante si immerge nella preghiera la prima petizione si compie: Dio è santificato, ossia riconosciuto come Signore, dispensatore di ogni vero bene, Padre di ogni uomo.
Se torniamo alla polemica di Gesù contro le autorità giudaiche, ritroveremo esattamente questa difesa del nome di Dio da ogni genere di strumentalizzazione a proprio vantaggio, soprattutto in ambito religioso, dove legalismo e presunzione possono fondare una spiritualità quanto mai carnale e lontana dall'autentico culto gradito a Dio. Anche il tema del "regno di Dio" è ritornato con una certa frequenza nei passi precedenti (Lc 9,2.11.27.60.62; 10,9.11). La regalità del Padre non è tesoro geloso, ma ricchezza che egli vuole partecipare a ogni uomo, specie ai bisognosi e agli esclusi. Questo spiega e motiva innumerevoli episodi e detti del terzo vangelo: dal discorso sulle ricchezze che troveremo più avanti fino alle guarigioni di ammalati e soprattutto fino al perdono del peccatore, primo atto di grazia di un sovrano che rinuncia a riscuotere quanto gli è dovuto perché anche il suddito faccia altrettanto, come emerge dal v. 4 del nostro testo.
Le altre tre petizioni si concentrano sul pane, sul perdono e sul rischio costituito dalla grande tentazione, motivo tipico dell'ultima ora, in cui le forze del male possono produrre l'inganno decisivo. Si pensi qui alla vicenda dei Dodici che Satana cercherà per vagliarli come il grano nel momento in cui Gesù si consegna nelle mani di Giuda e delle autorità giudiache (Lc 22,31). Ma anche la richiesta del pane quotidiano riporta al grande segno della moltiplicazione\divisione dei pani, narrata in 9,12-17, manifestazione della continua provvidenza di Dio. Uno dei segni della tentazione, cui l'uomo è sottoposto è il crollo della fiducia in Dio. È forse per questo che segue all'ultima domanda del Pater non tanto una esortazione al perdono vicendevole, come in Mt 6, ma l'invito a pregare con fiducia nell'esaudimento, basato sull'inenarrabile bontà di Dio.
L'esempio portato da Gesù è costruito sul metodo rabbinico che va dal minore al maggiore in una comparazione: se noi che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone, "quanto più" il Padre celeste (v. 13) darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono. Non è però inutile notare che l'amico nell'esempio portato dal Maestro non domanda per sé ma per un altro che giunge da un viaggio e che ha bisogno di mangiare. La domanda, in nome dell'amicizia, è motivata da un ulteriore rapporto di amicizia. Il donatore diviene così legato all'anonimo pellegrino che sarà nutrito dai suoi pani per la mediazione di chi li ha chiesti con insistenza. La vera preghiera non domanda anzitutto per sé, ma si fa intercessione. Gesù conclude nominando lo Spirito santo, effusione di amore che crea comunione e consente di vivere da figli del medesimo Padre e fratelli tra di noi, premurosi gli uni verso gli altri. L'esortazione a chiedere ha senso in vista dello Spirito, che mai ci è negato. Ogni altra richiesta si rivela inadeguata davanti a ciò che Dio vuole donarci: il suo stesso Soffio vitale.
VITA PASTORALE N. 6/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)