XVI Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 18 luglio 2010
XVI Domenica del Tempo ordinario

Gen 18,1-10a
Col 1,24-28
Lc 10,38-42

LA SOLA COSA
DI CUI C'È BISOGNO

La visita dell'ospite, come mostra anche Abramo protagonista della prima lettura, impegna sempre l'uomo nel fare concreto spazio all'altro, perché esso si senta a casa propria quando a casa propria non è. Abramo e Sara dispiegano grandi energie per preparare un sontuoso banchetto, più che sufficiente per un numero ben superiore di invitati. Anche la qualità del cibo, come notano gli esegeti, indica la percezione dell'importanza dell'ospite. Non sapremo mai se Abramo ha veramente riconosciuto i tre pellegrini, ma di certo egli ha riservato loro un'accoglienza davvero divina. Tuttavia, la brusca conclusione della prima lettura al v. 10 di Gen 18 impedisce di cogliere la fatica che sempre l'uomo sperimenta davanti all'azione spiazzante di Dio. Sara riderà scettica davanti alla promessa di un figlio. La promessa di Dio non entra nei suoi schemi. Sarebbe stato importante ascoltare anche i restanti versetti dell'episodio ambientato alle querce di Mamre per istituire un raffronto tra Sara e Marta.

La sorella di Maria è indicata come sola artefice della prima accoglienza. Possiamo immaginarla come padrona di casa, che apre le porte della sua dimora e si sobbarca il peso di preparare il pasto a Gesù. Questa "inutile" visita del Cristo alle due donne, senza miracoli o pubblici insegnamenti, senza la presenza dei Dodici, permette una breve incursione nella profonda umanità di Gesù e nel suo gusto dell'amicizia. Essa si manifesta non soltanto nel dare, ma anche nel ricevere. Non può esservi amicizia là dove il ricco è uno solo e così anche il povero, tanto da rendere la relazione sempre univoca, mai di vero scambio. Gesù accetta l'ospitalità attiva di Marta, come accetta anche la devozione con cui Maria siede ai suoi piedi udendo la sua parola. Il quadro è di grande quiete e intimità. La dispersione di Marta nel tanto servizio non va giudicata subito negativamente. È importante notare come Gesù muoverà un rimprovero alla sorella solo nel momento in cui ella pretenderà che Maria faccia esattamente quello che fa lei.
La diversità di accoglienza e le sue diverse fasi, che possiamo vedere rappresentate nelle due sorelle, non sono assolutamente problematiche. Crea invece difficoltà l'imposizione di un modello unico di accoglienza a Cristo. O si fa come Marta o non si fa. Tanti nostri conflitti ecclesiali nascono da qui. Istituzioni, movimenti o associazioni finiscono per intendere la propria spiritualità, ossia il proprio modo di accogliere Cristo nella realtà del vivere, come l'unico accettabile. Da qui al sentirsi la vera Chiesa e al sentire meno Chiesa coloro che praticano stili diversi il passo è breve. Dal cammino verso Cristo, si passa a un cammino a sé e verso i propri stili, come gli unici abilitati a essere autenticamente evangelici. Il proprio zelo sfocia nell'incomprensione dell'altro e del bene che reca con sé. In fondo, Marta ha già deciso come dovrà essere il giusto approccio a Cristo e si ritrova dentro a una forte chiusura mentale. Pensiamo alla moglie di Abramo. I confini del suo rapporto con Dio sono già tracciati. Il resto fa sorridere. Promesse che esulino dalla stretta evidenza dei fatti non hanno diritto di cittadinanza. Tutto è già dato e detto. Tutto è già stabilito come accade anche per Marta. Non v'è spazio per l'inedito.

Gesù invita dunque Marta a una duplice conversione. La prima è l'accettazione del Maestro in tutte le sue infinite dimensioni, non racchiudibili in una soltanto. La seconda è l'accettazione della sorella, semplice eco alla ricchezza di modi e tempi con cui il Cristo chiama l'uomo ad accoglierlo. La dispersione in cui Marta è caduta non è determinata tanto dalla quantità di servizi che svolge, ma dal fatto che ruotano attorno a lei sola, non a Gesù. Diversamente, dovremmo condannare qualunque forma di impegno attivo che conduca ad affrontare molte questioni e problemi umani e sociali. Molti santi della carità nella Chiesa hanno speso più energie di Marta, senza mai, tuttavia, considerarsi come unica espressione possibile dell'amore per Dio e per i fratelli. Il brano, come ben sappiamo non condanna chi opera a favore di chi è più "spirituale", ma stigmatizza chi dimentica l' altro tout court, Cristo anzitutto e dunque i fratelli.
Il terzo vangelo è un continuo invito ad accogliere il seme della Parola, che è Gesù stesso. L'ascolto è certo il primo atteggiamento del credente. Questo spiega il fatto che Maria abbia scelto la parte "buona". Il testo non parla di parte "migliore" come se si trattasse di scegliere tra il bene dell'azione e il meglio della contemplazione. Ne esiste una sola buona da scegliere e abbracciare con tutte le forze. Essa è buona perché non "sarà tolta". Torna alla mente la domanda del dottore della Legge sulla eredità della vita eterna. Il termine "parte" ci conduce dentro al lessico della successione testamentaria. Il dono di Dio non consiste anzitutto in quanto possiamo fare per lui, ma in quanto egli fa per noi. Questo divide Marta da Maria e ciò che non è buono da ciò che lo è. L'ascolto è il segno del primo tratto della fede che è la recettività e la passività. Noi siamo anzitutto coloro che Cristo ama, al di là di quanto abbiamo fatto o potremo fare. Questa è la nostra vera e ultima consistenza che non ci sarà tolta mai, neppure quando l'età o la salute inevitabilmente porranno termine al nostro fare per Dio e per gli altri. Ma non potranno arrestare il fare di Dio per noi.


VITA PASTORALE N. 6/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



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