XIII Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 27 giugno 2010
XIII Domenica del Tempo ordinario

1Re 19,16b.19-21
Gal 5,1.13-18
Lc 9,51-62

LA FEDE È CAMMINO
DI LIBERTÀ VERA

Come spiegare il mutamento di tono che intercorre tra la prima e la seconda parte del vangelo di questa domenica? L'indurimento del volto di Cristo verso Gerusalemme (v. 51) lascerebbe supporre un riflesso anche su persone e situazioni circostanti: frasi nette, sentenze perentorie, scelte radicali. Ma chi sperimenta la durezza di Gesù, se così vogliamo chiamarla, non sono qui certo i samaritani, ma piuttosto Giacomo e Giovanni che vorrebbero un chiaro segno dal cielo (v. 55). L'episodio successivo sembra invece di nuovo riproporre una certa durezza: nessuno dei tre incontrati lungo il cammino riceve inviti o risposte morbide, ma piuttosto parole di eccezionale potenza. Questo spinge a ben intendere l'indurimento del volto di Gesù, non come esempio di intolleranza verso i lontani che rifiutano l'appello del Vangelo ma piuttosto come cristallizzazione della misericordia di Dio.

Gerusalemme sarà il luogo dove l'abbraccio della misericordia includerà ogni respiro e ogni sospiro fino a quello del "buon ladrone" sulla croce. Per noi, non tanto per i lontani, è una durezza che giudica il nostro peccato come compromesso da cui non vogliamo uscire. Il fuoco che consuma non deve scendere sui nostri avversari quanto piuttosto su di noi come Spirito che arde tutto ciò che in noi è pula perché a Cristo sia offerto solo grano buono (Lc 3,17). Il senso delle tre diverse situazioni con cui Gesù si trova a confronto è questo: se non dobbiamo attendere più nulla da Dio, possiamo consegnargli tutto. Noi spesso identifichiamo la radicalità della sequela con il beau geste, un singolo atto spettacolare, mediatico, televisivo, che impressioni fortemente perché poi possa calare il sipario sulla mediocrità di tutti i giorni. Qui la prospettiva è fortemente diversa. Si tratta di cambiare radicalmente la propria mentalità. Il primo dei tre incontrato dal Maestro è un tale di cui non sappiamo nulla se non l'intenzione di seguire Gesù. È facile per noi riconoscerci nelle sue parole. Sono perfette, impeccabili. Ma egli ha veramente capito chi è Gesù? Il suo assenso è nozionale, fatto di ragionamenti e pensieri astratti, ma non calati nella vita. Non è reale. Non ha afferrato tutte le implicazioni della sequela. Essa comporta l'uscire fuori dalla tana e il lasciare il nido. Questi due luoghi richiamano un chiaro simbolo di sicurezza e affetto. Rappresentano la volontà di restare nel seno materno senza esporsi all'aggressività del mondo. Non è una spiegazione così inutile del frequente fallimento delle nostre missioni al popolo, se pensiamo a cristiani di questo tipo incapaci di misurarsi con un ambiente dove non abbiano tutte le protezioni, incapaci di muoversi se non in mezzo a chi la pensa come loro. Il nido può essere il gruppo o la comunità o la famiglia dove sono coccolato, al riparo, al sicuro dal confronto con la diversità. La nascita, anche quella alla fede, è invece sempre un trauma che spinge l'uomo a rifarsi, dovunque vada, il proprio nido. Ma chi resta nel nido non potrà mai capire il Regno, nascita violenta, dura che spinge allo scoperto. Per questo è importante riflettere su come siamo in mezzo ad ambienti che ci sono estranei e nei quali non ci riconosciamo perché vige un'altra mentalità, non c'è la pratica della fede e siamo chiamati a una testimonianza ardua. A volte colpevolizzare il luogo in cui viviamo non è che una forma di espressione del nostro disagio in ambienti che hanno un loro tasso di aggressività.
La seconda figura è ancora più ricca. La metafora del padre rappresenta non solo la generazione fisica, bensì tutta la propria tradizione familiare. Ci sono abitudini o tradizioni familiari che non si possono conservare entrando in una sequela radicale. Pensiamo anche a certi principi di vita che agiscono in noi perché inculcatici dai genitori, come salvare sempre l'onore o non avere mai debiti con nessuno o lasciare un impiego e un posto solo per uno migliore. Mai retrocedere o scendere di grado. Si tratta di principi sacrosanti ma assenti dal Vangelo che possono bloccare la strada del Regno se divengono prioritari. Pensiamo anche agli assoluti razziali che non troviamo certo nel Vangelo. Eppure spesso lo superano in forza. Basti pensare al primo conflitto mondiale e a quanti milioni di morti portò con sé il culto della nazione e l'orgoglio per la difesa della patria. Il Regno ha una novità che non si identifica certamente con il buon senso. Seguire davvero Cristo significa imparare a riconoscere le nostre precomprensioni per snidarle con la grazia di Dio e vincerle.

La terza immagine è costituita da parenti e amici. A differenza del padre che rappresenta le tradizioni di famiglia, in questo potente simbolo possiamo leggere il culto della propria storia personale: amicizie, relazioni, vicende, successi. L'adulto è colui che si è compromesso con la sua storia e per il quale è più difficile accogliere il Regno come un bambino, ossia come una persona che non ha storia e posizioni prese difficili da smentire. Nei casi di conversione più eclatanti vediamo proprio questo: la capacità di liberarsi da tutto quel passato che ci ha procurato fama e stima. Quante volte abbiamo messo mano all'aratro, abbiamo dichiarato la nostra fede con forza per poi voltarci indietro e recuperare tutto quello che credevamo di aver appoggiato con decisione fuori dalla porta. La libertà dalla madre, dal padre e da se stessi è il compito di tutta una vita e dono della sola grazia di Dio. È la verità che ci fa liberi e ci mostra la radicalità della fede. La fede è cammino di libertà vera, che scende fino al fondo della vita.


VITA PASTORALE N. 5/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



torna su
torna all'indice
home